L’avvio della fase 2 della pandemia ha portato la maggior parte di noi ad avventurarsi in previsioni e anticipazioni che possano soddisfare la nostra voglia di comprendere e forse dirigere il futuro. Cerchiamo ogni mezzo per abbattere l’incertezza e per tornare a quella sensazione passata di poter controllare tutto. Ma è la strada giusta? Esiste davvero una capacità che ci consenta di governare il domani nella modalità che più ci piace? O stiamo inciampando in una “trappola mentale”?
Quando ho iniziato a giocare a pallanuoto avevo dei riti e delle consuetudini, che, se ripetute la sera prima della partita con modalità ben precise, pensavo avrebbero guidato il risultato nella direzione da me desiderata: posizionare le ciabatte portafortuna in borsa e tagliare dal mignolo al pollice le unghie (nella pallanuoto le controllano gli arbitri per evitare graffi profondi) erano i miei mantra per una vittoria sicura. Col passare del tempo ne ho aggiunti altri. Quello a cui tenevo di più era avere in tasca una cuffia regalata da mio figlio. Eppure, a volte si vinceva ed altre si perdeva, c’erano partite in cui giocavo alla grande e altre in cui non ne imbroccavo una.
Dietro ad ogni nostra decisione ci sono aspetti di grande irrazionalità, che influenzano il nostro agire anche quando pensiamo di aver riflettuto a fondo sul da farsi. Questi sono definiti bias cognitivi, o anche trappole mentali.
La correlazione illusoria, da me ai tempi della pallanuoto chiamata erroneamente superstizione, è un bias che porta a individuare collegamenti tra fenomeni anche quando non esistono. Come ogni trappola mentale può fornire una grande tranquillità in chi spera di avere sotto controllo un evento. Allo stesso modo la trappola mentale della ricerca delle conferme, anziché delle confutazioni, ci porta a validare convinzioni ottimistiche e a dar meno peso ad argomenti che le possono contraddire. Molto spesso si cade in questi bias involontariamente a causa di una difficoltà nella lettura del contesto e nell’accettare di non poter controllare l’incerto.
Quando proviamo a prevedere il domani in un ambiente che aumenta costantemente la propria complessità ed imprevedibilità, spesso lo facciamo correlando fatti solo apparentemente connessi e nutrendo il nostro entusiasmo con illusorie conferme. Questo rischia di farci cadere in errore e mina la nostra capacità di fornire soluzioni o risposte al mondo che si trasforma.
La stessa cosa può succedere anche quando una pianificazione strategica rigida diventa il principale asset dell’attività d’impresa. La visione d’insieme tipica della fase di progettazione e della strategia va sostenuta dalla capacità di pensiero prospettico che consente una “proiezione” verso il domani. Per evitare le trappole mentali diventa fondamentale riorientarsi durante il percorso rispondendo al futuro con un occhio sul presente e sugli scenari che cambiano.
Ogni partita, ogni competizione, ogni mercato ed ogni contesto aziendale è in costante divenire e pertanto aperto ad un elevatissimo numero di possibili futuri, ognuno dei quali nasconde le sue minacce; saper usare la propria visione prospettica e strategica vuol dire saper raccogliere i “segnali forti” e i ben più insidiosi “segnali deboli”, saper mettere in discussione ciò che appare ovvio (evitando la trappola della pigrizia mentale che porta ad accettare conclusioni favorevoli e apparentemente valide senza approfondirle), avere il coraggio di accettare la possibilità di scenari inattesi e abbandonare l’illusione di controllare il domani.
Se già nel 1987, sulla base delle teorie sulla Leadership di Warren Bennis e Burt Nanus, il contesto post guerra fredda in cui si muovevano le imprese veniva definito con l’acronimo VUCA, ossia caratterizzato da Volatility, Uncertainty, Complexity ed Ambiguity, dopo la pandemia è necessario elevare la caratterizzazione dello scenario attuale almeno alla terza potenza: VUCA al cubo!
In un ambiente VUCA elevato alla terza appare importante riuscire a “falsificare” ciò che appare ovvio per fornire risposte al tanto rapido quanto inatteso divenire e risulta chiave poter cogliere potenziali alternative alla visione consolidata. Per far questo si devono sperimentare strategie di tentativo ed apprendimento e si devono leggere gli errori come un grande contenitore di preziose informazioni.
L’approccio da adottare deve muoversi agilmente tra le trasformazioni in divenire e deve saper trarre spunti e vantaggi dalla confusione e dall’incertezza. Questa fase due, che impone di non affrettare giudizi e di non cadere in approcci vincenti in passato, ma non necessariamente idonei oggi, ha bisogno di una programmazione strategica non condizionata da trappole mentali che sappia esser flessibile e supportata dal pensiero prospettico.
Di fronte alle partite più difficili di una intera stagione basarsi rigidamente su ciò che si può pianificare può portare all’incapacità di leggere, durante il gioco, le mosse impreviste degli avversari, così come l’assenza di schemi o di una pianificazione del gioco può condurre ad una partita priva di ordine. In entrambi i casi è molto probabile la sconfitta. La stessa cosa avviene nel contesto lavorativo, laddove vista una strada questa viene percorsa a testa bassa senza leggere il mutare del panorama che la circonda, si rischia di vagare senza approdare ad un minimo risultato.
Applicare efficacemente un pensiero prospettico e una pianificazione strategica flessibile consente di trarre vantaggio dall’integrazione dei due approcci e di affrontare ogni sfida con opportunità maggiori di quelle legate alle illusioni delle trappole mentali.