C’è sempre un calzino solo, che ha perso la sua metà e attende tristemente di ritrovarla. Un po’ come nel magnifico libro di Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi” c’è un senso di ineluttabilità, di impotenza e al tempo stesso di legame con l’altra metà.
Ai tempi del Covid-19, anche fare lavatrici può assumere allora un senso metafisico. Nonostante la regola della casa “i calzini entrano in due in lavatrice ed escono in due dall’asciugatrice”, non succede mai. In un presente continuo dove ora la cesta della biancheria si riempie automaticamente appena la svuoti, i calzini dovrebbero essere insieme, sono sempre due. Invece sono singoli e separati.
Eppure anche questo, a voler ben vedere, può diventare un esercizio di resilienza: cercare e sapere aspettare che l’ennesima lavatrice “sputi” l’altro, mentre il primo attende il #congiunto. Il calzino primo sfida le leggi della fisica e della Fase2 e rimane lì, in uno spazio non-spazio”, in un luogo di attesa. E noi con lui, guardiamo questo luogo che è espressione dell’impotenza, dell’imprecisione, di qualcosa che non funziona e impariamo ad accettarlo. Anche questo ormai è parte del nostro lavoro, della nostra quotidianità. Ci stupiamo che sia più difficile di quanto avessimo mai immaginato, accettiamo la sfida e constatiamo con pazienza che non sempre ce l’avremo vinta, nonostante tutto.
E poi ci meravigliamo, come un bambino davanti ad una magia, nel momento in cui le cose tornano come dovrebbero essere. Quando si palesa ai nostri occhi il secondo calzino, e improvvisamente ci sentiamo eroi ed eroine perché abbiamo sfidato l’ineluttabile: abbiamo tenuto da parte il primo. Il ricongiungimento allora è un momento emozionante, per il calzino – perché sono di nuovo un paio – e per noi, perché siamo vincitrici nonostante tutto. Il ricongiungimento ci regala un sorriso e ci consegna la speranza che anche noi – ora divisi da famigliari, lontani dal nostro quotidiano “di prima”, soli nelle nostre fatiche di una vita di “adesso” così strana – ce la possiamo fare. Che ritroveremo il nostro “altro”, l’altra metà della vita che abbiamo perso, qualsiasi fosse, reale immaginaria idealizzata o altro ancora.
E se anche non sarà così, se anche quell’altra metà tanto agognata riusciremo solo a sfiorarla – come il paio di calzini che resta unito solo il tempo di un’”indossata”, per poi riperdersi nei meandri della cesta e dei lavaggi – l’avremo comunque vista. Chiudendo gli occhi la sapremo riconoscere, sapremo di cosa è fatta e che in un qualche luogo esiste, l’altra metà che vorremmo. E allora anche solo il saperlo è un grande lascito di questo strano periodo, e lo sforzo per provare a raggiungerla sarà già un grande traguardo.