PostCovid, la parità di genere serve anche in emergenza

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“Una buona politica di genere è una buona politica economica e sociale”.

Questo è, da sempre, il “credo” che guida la mia quotidiana lotta per una piena ed effettiva parità di genere. A differenza di alcune frasi “motivazionali” e di “impatto”, questo semplice pensiero rappresenta a mio parere un punto di partenza per qualunque iniziativa che riguardi questa delicatissima problematica. E questo perché l’obiettivo principe, in tutti i settori, deve essere quello del perseguimento di una proficua ed equa politica economica e sociale.

Un pensiero che deve, o quantomeno dovrebbe, rappresentare una direttiva anche in questi giorni di emergenza sanitaria in cui siamo tutti coinvolti nella lotta contro un nemico invisibile e che vede in prima linea una serie di medici, infermieri e di tutto il personale del comparto sanitario che fanno di tutto per assicurarci le cure adeguate e che sono alla continua ricerca della soluzione alla pandemia. Tra queste persone, che non esito a definire eroi, come è noto, ci sono tantissime dottoresse, ricercatrici ed infermiere che rappresentano motivo di orgoglio per tutti gli italiani e che rischiano la propria salute e la propria serenità al pari dei colleghi uomini. La presenza femminile nel settore è talmente rilevante che, secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre il 65% del personale sanitario al mondo è di sesso femminile, con un gap retributivo del 28%. Quindi si può senza dubbio affermare che la maggioranza del personale sanitario è, oggi, donna. Ad una così importante e “dominante” presenza femminile non corrisponde, purtroppo, una proporzionale rappresentanza ai vertici.

La più amara e veritiera delle fotografie di tale realtà è data dall’elenco dei componenti del comitato tecnico-scientifico istituito con ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 663 del 18 aprile 2020. Tale comitato, composto senza dubbio alcuno da vere e proprie eccellenze (non si mette minimamente in discussione la preparazione e la competenza) e che sarà di strategica e fondamentale rilevanza nella cd. “fase 2” è composto da 20 professionisti: tutti di sesso maschile.

Questo dato non è soltanto sconcertante in sé: purtroppo siamo abituati a tali realtà (si veda anche la composizione delle numerose task force messe in piedi nelle ultime settimane). Ciò che va sottolineato è che le nomine non sono ad personam, ma nella qualità di vertice delle strutture di riferimento con la ovvia constatazione che nessuno di questi organismi sia diretto da una donna. Ciò è a dir poco inconcepibile in quanto migliaia di medici e ricercatrici sono ogni giorno in trincea al pari degli uomini, effettuando gli stessi sacrifici svolti dai colleghi di sesso maschile, senza una adeguata rappresentanza apicale. Tale dato non ha una rilevanza solo numerica o statistica, o anche etica, ma, ricollegandomi al “pensiero” che apre queste mie brevi riflessioni, ha una rilevanza sulla politica economica e sociale portata avanti nel Paese.

Una politica che, di fronte a dati del genere, dimostra la propria fragilità (nella migliore delle ipotesi) o la propria indifferenza di fronte ad una tematica che ormai non può essere posta in secondo piano perché dall’effettiva parità di genere (a livello rappresentativo, economico, numerico) dipende l’organico e fruttuoso sviluppo della politica socio-economica del Paese. Perché l’Italia non può restare indietro rispetto al resto del mondo e di fronte ad una rappresentanza dei vertici sanitari composti da soli uomini, a livello internazionale troviamo invece importanti Agenzie quali l’UNWOMEN e l’UNFRA (United Nations Fund for Population Activities) che raccomandano ai decisori politici a prestare attenzione all’uguaglianza di genere ed a non perdere di vista, nelle loro risposte, le vulnerabilità di donne e ragazze, ancor più esacerbata dalla crisi in atto. Di fronte ad un’attenzione a 360 gradi alle problematiche attinenti alla disparità di genere a livello internazionale, non possiamo rispondere con una rappresentanza del genere femminile a livello nazionale perennemente sottodimensionata (per non dire inesistente).

Chi scrive conosce benissimo quelle che sono le difficoltà che si riscontrano per tentare di ottenere un risultato in questo settore e, ancora prima, nella scelta dello strumento da utilizzare per perseguire una rappresentanza paritaria in tutti i settori. Posso dire di aver vissuto in prima persona il dibattito sulle “quote di genere” quando furono normativamente introdotte grazie all’instancabile lavoro dell’On.le Lella Golfo, all’epoca deputata. Tali misure sono state a lungo osteggiate in primis anche da una parte delle donne che le hanno ritenute inadeguate e “ghettizzanti”, quando, in realtà, sono le uniche misure che hanno consentito di ottenere dei primi, importanti, risultati in tutti i settori.

Sono la prima a ritenere che si tratta di misure “temporali” che devono essere applicate fintanto che le percentuali non si saranno stabilizzate, ma l’esperienza attuale dimostra che sono tuttora necessari in tutti i settori. E’ pertanto auspicabile, anche con riferimento alla gestione dell’attuale crisi sanitaria, che la politica di genere non rappresenti un fanalino di coda nelle scelte che dovranno essere intraprese a livello governativo, ma che, al contrario, costituisca un faro che guidi l’attività istituzionale a tutti i livelli: da quello delle rappresentanze nei diversi comitati e nelle task force, a quello delle politiche economiche finanche in tema di lavoro con lo smart working e degli altri strumenti a tutela del lavoro che dovranno essere applicati in modo paritario tra uomini e donne. Perché la ripresa del Paese in un momento così cruciale e delicato dipende anche da una corretta politica di genere.

  • Fabiana Conti |

    Condivido pienamente l’articolo.E’ora che dobbiamo farci sentire e soprattutto essere presenti.Non ci sara’ alcun nuovo inizio senza le donne anzi andremo ancora più indietro

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