Covid-19, come stare nel tempo dell’attesa

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Sono giorni sospesi, giorni dell’attesa. Aspettiamo di capire che ne sarà di noi, delle nostre vite, della nostra città, del nostro Paese, dell’Europa e del mondo. Bramiamo di conoscere meglio questo virus, di trovare un vaccino o un farmaco efficace, e non vediamo l’ora che tutto finisca. Molti (a loro va un pensiero speciale) aspettano di guarire o la guarigione di qualcuno che amano; altri aspettano di rivedersi: figli di abbracciare genitori, nonni di coccolare nipoti. Altri ancora di tornare al lavoro e al proprio ruolo sociale, bruscamente sospesi. 

Se chi è isolato attende di poter tornare ai propri affetti, chi si sente costretto in una convivenza senza pause, spesso in spazi ridotti, è in attesa di ritrovare momenti di solitudine. Qualcuno non vede l’ora di tornare a fare colazione o l’aperitivo nel solito posto, vorrebbe solo ricominciare a nuotare, viaggiare, andare a teatro o al cinema, vedere una mostra o un concerto. L’esplorazione del mondo, per come l’abbiamo conosciuta e siamo abituati a declinarla, non è più concessa.

A complicare il tutto, la nostra difficoltà ad attendere. Ci siamo abituati ad afferrare immediatamente il piacere e a trangugiarlo con voracità per poi passare, mai davvero sazi, al successivo. Di default sceglievamo l’opzione “consegna entro 24 ore” o priority nel check in. L’attesa ci ha sempre fatto irritare, persino quella davanti ad una pagina di computer che fatica a caricarsi. Disposti ad aspettare una vita, “purché non ci metta troppo”, per dirla con le parole di Oscar Wilde.

Una delle tante sfide psicologiche che si trova ad affrontare chi in questi giorni resta a casa, riguarda dunque rallentare e soprattutto imparare ad aspettare. Siamo chiamati, tutti insieme, ad uno sforzo di adattamento: il gioco della vita è cambiato e bisogna imparare le nuove regole. Continuare con quelle di prima è il rischio più grande.

Per usare un termine proprio del mondo contadino, siamo nel “maggese” e ringrazio la mia amica Valeria per avermi insegnato quanto sia preziosa questa metafora. Ma cos’è, vi chiederete? Il maggese consiste nella messa a riposo di un appezzamento di terreno per restituirgli fertilità.

Restare a casa, allora, può rivelarsi il nostro “maggese”.  E’ un tempo che non abbiamo cercato e certamente non avremmo voluto, con giorni faticosi e difficili, ma che può renderci più fertili. 

Le nostre giornate non saranno accelerate, piene di stimoli e giravolte come erano in passato, né lo saranno quelle dei bambini e degli adolescenti che vivono con noi. Si è ristretto il perimetro fisico che possiamo percorrere, mentre si allarga il bisogno di essere in contatto con gli altri, di essere accuditi e di accudire.

Se è vero che “la curiosità può vincere la paura ancor più di quanto possa fare il coraggio”, proviamo a percorrere il territorio inesplorato che è questa nuova vita con curiosità. Potremo compiere gli stessi gesti di prima (cucinare, guardare un film, ascoltare della musica, leggere, studiare, parlare al telefono, persino fare le pulizie) ma in modo diverso, ad esempio guardandoci e ascoltandoci di più, regalandoci attenzioni che nella fretta spesso erano perdute. Potranno arrivare momenti di inattesa tenerezza.

E’ un tempo per la cura di sé e la responsabilità per l’altro. Se ci sforziamo di non rinchiudere le nostre menti nei labirinti delle informazioni sul virus (tenersi aggiornati consultando fonti attendibili è una priorità, ma se esageriamo rischiamo di alimentare uno stato di allerta già molto elevato), potremo trovare uno sguardo più attento e creativo. Alcuni, nel farlo, troveranno la complicità dei bambini e della loro fantasia.

Ricordiamoci di calmare il corpo, oltre che la mente. Sentire una voce amica, sorridere, camminare, cantare, ballare, dedicarci al giardino (“Abbelliamo il nostro balcone” è l’invito della splendida Viviane Lamarque), meditare e fare yoga vanno tutti bene.

Ciascuno cerchi e crei il suo spazio, magari in angoli della casa mai vissuti prima. E proviamo a riscoprire il silenzio, nella lettura di un libro o nell’affacciarci al balcone per guardare le finestre di fronte. “Non è necessario che tu esca di casa”, scrive Kafka negli Aforismi di Zurau, “Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato”.

Il tempo di questa emergenza così drammatica e così particolare (diversa da un terremoto, da una guerra e da un attentato) è anche una lente di ingrandimento per guardarsi e guardare le persone che abbiamo accanto. Forse ci appariranno verità che non ci aspettavamo di trovare. Alcuni dopo la tempesta si scopriranno più vicini, altri più lontani, altri ancora vicinissimi. Molti capiranno di essere dotati di una generosità e di un coraggio che magari non sapevano di avere (penso ai medici, agli infermieri e a tutto il personale sanitario che, senza sosta e senza riserve, sta mettendo la propria vita al servizio degli altri).

Nelle emergenze, l’attenzione ai sintomi psicologici è prioritaria e il concetto di crescita post traumatica è ancora sottovalutato. Ma si può ragionevolmente ipotizzare che non saranno pochi quelli che, malgrado tutto, si ritroveranno cresciuti e per molti aspetti rafforzati, perché avranno scoperto (o riscoperto) bisogni, desideri, priorità e valori, con i quali ripensare se stessi, gli altri e la società: nessuno di noi, questo è certo, tornerà quello di prima.

  • anna carmela ruocco |

    È bene che ci sia qualcuno che ci aiuti a rinascere. Grazie, Anna

  • Marco Francesco Doria |

    Ringrazio l’autrice dell’articolo per le riflessioni esposte e condivisibili all’interno di una testata giornalistica attenta alla dimensione economica della società. Una dimensione che in questo tempo ha il primato su tutte le altre dimensioni.La pandemia per essere foriera di “bisogni, desideri, priorità e valori” che rinnovino il genere umano deve essere accolta profondamente ed elaborata dentro un nuovo modello sociale planetario. Invito l’autrice e il giornale a partecipare a tale processo. Cordialmente, Marco Francesco Doria,Sondrio

  • Linda |

    molto bello questo articolo , la frenata , o fermata senza sapere quando si riparte , con una causa diversa però , non per il dramma-covid, ci voleva per farci tornare a vivere..

  • Vittorio Puglia |

    Davvero una riflessione importante,la condivido in toto.E’ strano esprimere le sensazioni che sensazioni che sto vivendo a seguito dì questo grande problema.sicuramente preoccupazione,ma allo stesso tempo sollievo, è come se una grande mano dall’alto abbia messo questo nostro film in pausa, dandomi la possibilità dì recuperare gli affanni le fatiche quotidiane lo stress sempre in aumento le ore di lavoro mai sufficienti.Ecco perché alla fine queste costrizioni non mi pesano per ora più dì tanto,avevo bisogno di tornare a godere la mia casa in modo appropriato e vivere la mia famiglia.Ma il mio pensiero va al dopo…..e dopo ? Mi viene in mente una sorta dì metafora… siamo come in un gran premio dietro alla safety car con piloti impazienti dì riprendere la corsa… quando la Mercedes argento si allontanerà prenderemo a quanto vissuto a quanto provato ai benefici dì una vita più slow, o riprenderemo subito ad inanellare giri veloci su giri veloci ? Io qualche dubbio ce l’ho. Vittorio

  • Ezio |

    Chapeau per Barbara. Ha espresso dettagliatamente quanto ho nel mio cuore.
    Grazie

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