Covid-19: la scuola non si ferma, storie di insegnanti digitali

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E così è successo. Il metro di distanza non è bastato e adesso la misura non è più calcolabile, il vuoto si è amplificato. E’ stato necessario chiudere le scuole di ogni ordine e grado, a seguito del Decreto del 4 marzo, annunciato in una conferenza stampa dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, visibilmente scossa e amareggiata. Chiusura poi allungata per tutta Italia fino al prossimo 3 aprile.

“La scuola non si ferma”: è il motto che sta animando tutti noi, che nella scuola viviamo e agiamo. Me lo ripeto anche io, eppure mi sento in una bolla sospesa nell’aria. Si cerca, con non poco affanno, di trovare modalità alternative alla lezione frontale, attuando il cosiddetto smart-schooling: e via, a seguire webinar, corsi on line, video conferenze, per trovare la strada migliore. Piattaforme digitali, blog, youtube, whatsapp, verifiche on line, quiz. Ci si attrezza in fretta e come si può, con i mezzi che si hanno a disposizione e utilizzando al massimo la personale capacità di problem solving.

La scuola è chiusa, la scuola non si ferma. Cerchiamo disperatamente di ritrovare il capo del filo, di riprendere il gancio emotivo con gli alunni e le alunne, per far sentire la presenza di un’istituzione che, pure in piena emergenza, insiste nel sopravvivere come meglio sa fare, per sopperire al vuoto, all’assenza, alla perdita. La didattica a distanza, questa scoperta che è diventata urgente e applicabile, è diventata la realtà positiva di un momento storico inatteso, che ci permette di mantenere il contatto, di non sentire l’assenza di una routine che, più di ogni altra, conforta e rassicura.

La scuola. E’ mamma e papà, è famiglia, incontro e scontro, scoperta e delusione, meraviglia e rabbia, ostacolo e traguardo, salita e discesa. Ha in sé la rassicurante sensazione di essere vita normale, un termine abusato che ora ci appare di una bellezza abbagliante. La scuola non si ferma. O forse sì? Mi sono chiesta se quella che continua si possa davvero chiamare scuola. La didattica prosegue grazie all’utilizzo dei dispositivi tecnologici e, anzi, ci permette di fare un balzo in avanti in tema di avanguardia pedagogica. L’emergenza ci ha messo di fronte alla necessità di scoprirci insegnanti anche a distanza, trovando nuovi fili di interconnessione, nuovi modi per colmare la “non presenza”.

Abbiamo la possibilità di trasmettere informazioni, di condividere contenuti, file audio, video, ma soprattutto esperienze. Non dimentichiamoci adesso del gancio emotivo, non dimentichiamo di far sentire la nostra voce, di far vedere il nostro volto. Non stravolgiamo la scuola, dobbiamo migliorarla, senza perderne l’essenza: il rapporto docente-alunno/a. Seppur a distanza, dobbiamo ricordarci che la scuola è l’opposto, è vicinanza, è stare uno accanto all’altro, è guardarsi, condividere vissuti ed emozioni. La scuola è la rassicurante quotidianità dei volti conosciuti; è sperimentazione di fallimenti e ripartenze; è autonomia, è resistenza.

Resistiamo, allora. Resistono i docenti che inventano modi alternativi per rimanere in contatto con i propri alunni e alunne. Ho provato a raccogliere le loro testimonianze.
Claudio Ferrara è insegnante di musica per un progetto di potenziamento musicale presso due scuole primarie di Roma. “Appena ho appreso la notizia della sospensione delle scuole, ho pensato di supplire alle lezioni in classe inviando del materiale ai bambini, tra cui spartiti accompagnati da audio da cantare e alcuni compiti scritti” ci racconta, aggiungendo poi: “Tuttavia, ho pensato che il contatto visivo, almeno da parte loro, potesse essere più coinvolgente rispetto al materiale inviato senza commento. Essendo difficile se non impossibile organizzare una lezione per via telematica nella scuola primaria per ovvi motivi di età degli alunni, ho deciso di preparare delle piccole videolezioni, divise in due tipologie: teoria e pratica. Ovviamente le difficoltà sono tante: il principale vantaggio della presenza in classe è la capacità di discernere tra gli alunni chi riesce a seguire e quando invece è necessario spiegare in modo differente alcuni aspetto, o poter valutare il grado di coinvolgimento degli alunni e poter modulare il proprio approccio in base a questo”.

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Prof.ssa Giulia Zanasi

Giulia Zanasi insegna Italiano e latino al triennio di un liceo scientifico paritario, all’Istituto Sacro Cuore di Modena. “Abbiamo iniziato con la modalità on line già la prima settimana di sospensione della didattica a fine febbraio. Il mio Istituto utilizzava già Google Suite For Education, con account mail per studenti e insegnati, Drive per condivisione materiali. Quindi è stato abbastanza semplice implementare il sistema con Chat di classe e Meet in cui il gruppo classe si trova in videoconferenza. La scuola ha anzitutto finalità educative e formative e in un momento come questo non può stare a guardare né abdicare alla propria mission. I ragazzi hanno bisogno in momenti di smarrimento che le istituzioni siano presenti: la scuola deve esserci”.

“È un’occasione imperdibile per tornare a riflettere, anche alla mia età, sui famigerati nuclei fondanti delle proprie discipline: da lì ripensare una programmazione che fa del contenuto uno strumento e non il fine e una attività didattica con modalità per forza maggiore differenti. È inimmaginabile pensare al frontale in questo contesto. Occorre rispettare le regole del gioco: tutti sono i partecipanti, i tempi sono diversi, perdersi è facile, sparire pure. In un tempo che già faceva del mutamento la sua prerogativa oggi ci tocca cambiare. Dante non cambia? Non credo, ogni rilettura tiene conto di quanto c’è stato tra me e l’autore. Oggi il mio Dante è una novità persino per una vecchia prof” spiega Zanasi.

La professoressa è consapevole anche dei rischi in cui si può incorrere, infatti aggiunge: Il rischio maggiore che sento è che questa scuola “digitale” possa essere per pochi, quelli connessi, gli animali scolastici, quelli che sanno già organizzarsi. E soprattutto rischia di lasciare indietro i ragazzi socialmente più svantaggiati o quelli con difficoltà cognitive. Può alimentare un divario invece di aiutare a colmarlo. Questo pericolo nelle Scuole della mia città è ben presente alla sensibilità generale e a tutti i miei colleghi. E questo ci obbliga all’ottimismo”.

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Prof.ssa Carla De Ponti

Carla De Ponti, docente di italiano, è fra le prime ad essere partita con video lezioni. “La nostra scuola, l’IC Europa Unita di Arese, ha in uso le Suite di Google dallo scorso anno. Abbiamo la fortuna di avere le lim in ogni classe da parecchio tempo, sostituite quest’anno da schermi interattivi. Questo ha permesso a tutti di avvicinarsi gradualmente ai device digitali. Ciascuno coi propri tempi e attitudini. L’isolamento forzato ha dato un’accelerazione fortissima” spiega la prof. De Ponti, raccontando poi quanto vissuto subito dopo la chiusura delle aule: “Questo periodo così travagliato è vissuto da tutti noi con il desiderio di esserci per i ragazzi e la tecnologia si è rivelata un alleato potentissimo. Così alla fine tutti si sono messi in gioco, anche i più scettici, sperimentandosi in un bel gioco di squadra, a distanza. Telefoni roventi, “ripetizioni” di tecnologie da parte dei colleghi più esperti, chat fluviali. Il grande lavoro della collega esperta di digitale, la prof.ssa Caccia, che si è messa a disposizione, ha permesso a tutti di essere alla fine pronti, con un orario strutturato di 3 ore giornaliere, a incontrare le classi”.

E spesso non si tratta semplicemente di didattica. I” ragazzi ne avevano bisogno, la solitudine e la noia li spingevano a cercare il contatto con il loro vero punto di riferimento, la scuola. Ci siamo attivati quasi subito proponendo ai ragazzi di incontrarsi in Google Meet, la loro risposta è stata immediata. Dalle chiacchiere iniziali siamo passati alle lezioni vere e proprie. Leggere, ripassare, chiarire dubbi, confrontare i propri compiti con quelli dei compagni, discutere di ciò che stiamo vivendo. Anche vedere i propri compagni in videochat per loro è importante” sottolinea la prof.ssa De Ponti, conclidendo: “Certo insegnare implica la presenza, gli sguardi, i movimenti. Dico una cosa ovvia, è una soluzione di emergenza che non può sostituire la classe vera. A volte essere davanti a uno schermo a parlare, sola, mi fa sentire a disagio”.

La scuola continua, dunque. Nonostante le difficoltà, nonostante la distanza, nonostante sia stata snaturata della sua essenza. Il Miur ha messo a disposizione di docenti e alunni delle piattaforme digitali per attuare la didattica a distanza, oltre a dei video per ragazzi e bambini piccoli, per cercare di colmare il vuoto che il virus ha creato tra le persone.

Soluzioni simili sono state adottate anche dai privati. Digitally, la startup che punta ad accelerare l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro, effettua fin dal primo giorno di emergenza, la formazione a distanza e fornisce delle regole essenziali da seguire per la didattica a distanza.

Insomma, una molteplicità di risorse garantiscono la continuità del diritto allo studio per i ragazzi e le ragazze. La scuola è altro, certo. Eppure abbiamo l’opportunità di ampliare le nostre competenze digitali a favore dell’istruzione, un’occasione data da un’emergenza senza precedenti e che, però, può aprire nuove strade e nuovi approcci per i percorsi educativi e formativi futuri.

  • Rosaria Scaraia |

    Lo smart a scuola è poco intelligente… c’è la didattica a distanza …e tanti docenti ormai burocratizzati che compilano registri elettronici di assenza non meglio identificabile … esercizi da svolgere … esaurimento! Connessi e stremati . Qualcuno può dire sommessamente che a rischio c’è la salute e il benessere ? Di tutti. La didattica a distanza così come la valutazione sia un modo nuovo che non dimentichi le parole che curano …il 6 numero non dice nulla …ma raggiungere i ragazzi e ascoltarli è necessario e non si dimentichi le due Italia, problemi infrastrutturali anche con il digitale . Nessuna polemica …ma basta euforia … nonostante i miei ragazzi eccezionali .

  • valeriev carrasco |

    non tutte le scuole sono attrezzate, il Miur deve controllare il lavoro dei insegnate, perché cé qualcuno che non lavora come se devi, dovrete controllare cosa fanno le insegnate, si logorano finire il programma scolastico, sopra tutto Quelli che stanno per andare in pensione

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