L’ascesa dei consumatori consapevoli: cosa vogliono i giovani dalla moda?

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Il pianeta brucia e le nostre abitudini di acquisto non l’aiutano. La situazione è tale che il Guardian ha scelto di adottare nuovi termini per raccontare la crisi climatica in corso. Linguaggio e immagini – ha comunicato la testata anglosassone – saranno più duri rispetto al passato per mostrare la situazione che stiamo realmente vivendo. Chi sembra avere afferrato la dimensione del problema sono le generazioni più giovani: Millannial e GenZ. Scendono in piazza a protestare contro chi ruba loro il futuro e chiedono azioni concrete per il clima da parte dei decision maker della politica e dell’economia internazionale. Poi, nel loro piccolo, cercano anche di fare acquisti più consapevoli. In cima alle loro priorità? Sostenibilità ambientale e responsabilità sociale. La moda per i giovani italiani sta diventando sempre meno fast ma più consapevole e con un filo diretto con il web, archivio prezioso di ispirazioni e informazioni su brand e prodotti.

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In occasione del 24° Pambianco Fashion&Luxury Summit, Pwc Italia ha rilevato gli ultimi trend del settore moda, legati in particolare alle scelte di consumo di Millennial, nati cioè tra gli anni 80 e la metà degli anni 90, e GenZ, nati invece dal 1995 al 2010. Secondo quanto emerge dall’indagine, il principale driver d’acquisto per queste due generazioni è la qualità, ricercata dal 69% degli intervistati nei capi d’abbigliamento (in crescita del 6% sul 2018), e dal 74% negli accessori (con un incremento del 14% rispetto al 2018). Ciò si traduce nella maggior parte dei casi nell’acquisto di prodotti made in Italy che per tre giovani su cinque è indice di maggior pregio. Se ciò significa fare un piccolo sacrificio di portafoglio e spendere di più, non c’è problema. “Il 90% dei giovani è disposto a pagare un premium price per l’acquisto di prodotti fashion realizzati in modo etico e sostenibile” chiarisce Erika Andreetta, consumer markets consulting leader di Pwc Italia. In particolare, il 28% è disposto a spendere di più per marchi noti per le loro pratiche di sostenibilità e il 24% per prodotti realizzati in modo sostenibile o eco-friendly.

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Se da una parte sale la propensione alla spesa, dall’altra aumenta l’apertura a nuovi tipi di consumi come la condivisione e il mercato dell’usato. La sharing economy oggi entra anche l’armadio di casa tanto che tre giovani su 10 si dichiarano disposti a spartire con altri beni come calzature, borse, gioielli e abbigliamento.

wedding-teamdressyoucan-bridal7425Nasce con questo intento per esempio la startup Dressyoucan di Caterina Maestro. Durante un viaggio a Marrakech la founder si lasciò tentare da un abito bellissimo ma costoso, lo acquistò comunque e iniziò a condividerlo con le amiche. Questa intuizione diede vita a fine 2014 a Dressyoucan che oggi ha in catalogo più di 1500 abiti, un centinaio di accessori, 300 paia di scarpe e a fine ottobre ha ampliato l’offerta con il servizio Bridal per il noleggio di abiti da sposa. In occasione del lancio della nuova attività Maestro ha dichiarato: “a scegliere il fashion renting per il giorno del sì sono soprattutto donne che prestano particolare attenzione alle scelte consapevoli, che decidono di non acquistare un vestito che verrà indossato una sola volta nella vita”. Cresce anche l’appeal dei prodotti di seconda mano: dopo auto, attrezzature sportive e mobili, gioielli, borse, abbigliamento e scarpe sono le categorie di beni che i giovani sono più disposti ad acquistare usati.Per ThredUp il mercato degli abiti di seconda mano oggi vale 24 miliardi di dollari e i volumi sono destinati a raddoppiare entro il 2024 arrivando a 51 miliardi, con una crescita 1,5 volte più veloce del fast fashion.

Il 40% di Millennial e GenZ intervistati da Pwc si definisce “Attivista personal&planetary health”, e considera la salute personale e del pianeta un aspetto fondamentale per le proprie scelte d’acquisto, per cui “per conquistare questo target generazionale – raccomanda Andreetta agli operatori del mercato – diventano fondamentali la chiarezza di informazioni sulla filiera produttiva”. Ulteriori evidenze arrivano da un rapporto di Shelton Group: “quando i Millennial si fidano delle pratiche sociali e ambientali di un’azienda, il 90% afferma che comprerà da quel marchio e il 95% raccomanderà tali prodotti ad amici e familiari“. D’altra parte la moda è una faccenda seria tanto che il 61% di loro vorrebbe una carriera proprio in questo ambito. Il 45 % dei giovani italiani sceglie intenzionalmente brand sostenibili o socialmente responsabili, contro il 37% del 2018. I canali più frequentati per raccogliere informazioni sono il sito web del rivenditore (46%) e i social media (39%), canali che per le aziende diventano gli strumenti più efficaci per comunicare informazioni sulla propria sostenibilità.

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Il clima economico e sociale influenza sicuramente i consumatori nel modo in cui interagiscono con la moda e fanno acquisti. Questo vale ancora di più per Millennial e GenZ che sono cresciuti – o stanno crescendo – vedendo gli effetti del riscaldamento climatico o studiandolo a scuola. Anche quando passano dall’altro lato, e da consumatori si mettono in gioco come imprenditori gli under35 fanno la differenza in termini di innovazione amica dell’ambiente. Secondo il Rapporto Greenitaly della Fondazione Symbola e di Unioncamere un’impresa su tre oggi ha investito in prodotti e tecnologie per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. A questo risultato contribuiscono le imprese degli under35, che hanno fatto eco-investimenti nella metà dei casi, contro il 23% degli over35.