Fondi pubblici per i centri anti violenza e case rifugio ancora insufficienti, riparto per il 2019 al palo, distribuzione delle risorse ancora a pioggia senza distinguere tra le varie realtà che esistono. A due anni dall’approvazione del primo piano nazionale anti violenza, e a pochi giorni dal 25 novembre, quando si celebra la Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, centri e associazioni impegnate nella lotta alla violenza di genere chiedono maggiori fondi e soprattutto maggiore attenzione nel passaggio delle risorse dalle Regioni ai Comuni. E cercando le cause di un sistema che ancora non funziona, puntano il dito sui continui cambi di esecutivo. Intanto Il 12 novembre l’aula della Camera ha approvato le mozioni della maggioranza e di Forza Italia che impegnano, tra l’altro, il governo anche sulla distribuzione dei finanziamenti. E la neoministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, ha di recente assicurato la ripartizione celere dei 30 milioni previsti per il 2019.
La ministra Bonetti: i soldi per il 2019 ci sono, puntiamo ad accelerare l’iter
“Il tema dell’effettivo utilizzo delle risorse esiste e mi è stato rappresentato – spiega la ministra ad Alley Oop – Il Sole 24 Ore – anche dalle associazioni. Tanto è vero che nel corso della riunione della cabina di regia nazionale anti violenza, lo scorso 30 ottobre, abbiamo convenuto sulla necessità di potenziare il monitoraggio sull’utilizzo delle risorse, sia a livello centrale, sia supportando le Regioni. Immaginando, per esempio, l’attivazione di un tavolo di monitoraggio per ciascuna Regione, al quale parteciperà anche il dipartimento per le Pari opportunità”. Quanto ai fondi per il 2019, assicura Bonetti, “i soldi ci sono” e “gli uffici stanno lavorando in queste ore al decreto per la ripartizione dei 30 milioni di euro che contiamo di sottoporre alla conferenza Stato Regioni entro la fine del mese. Una volta firmato il decreto, cosa che avverrà immediatamente dopo la conferenza, puntiamo anche ad accelerare la tempistica del consueto iter di distribuzione delle risorse”.
Ma occorre fare un passo indietro, a due anni fa, per comprendere quanto la questione dei fondi e del loro utilizzo sia centrale per affrontare il tema della violenza di genere in maniera sistematica e strutturale.
17 novembre 2017: il dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio vara, qualche giorno prima della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne che si celebra il 25 novembre, il piano strategico nazionale. Il primo impianto strutturale che, in attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul, prevede un intervento a 360 gradi e si basa su tre pilastri principali: la prevenzione, che punta molto su formazione e istruzione, la protezione delle donne, la punizione dei colpevoli. Il piano contempla anche l’azione congiunta di Istat e Cnr per effettuare un monitoraggio, anche qualitativo, dei centri anti violenza esistenti con l’obiettivo di individuare le strutture che hanno i requisiti e quindi ripartire le risorse in maniera più efficace, dopo le criticità rilevate dalla Corte dei Conti.
Novembre 2019: due anni dopo il varo del piano, i centri anti violenza continuano a denunciare le stesse criticità individuate già in passato riguardo alla ripartizione delle risorse. Risorse che ai centri non arrivano o che arrivano alle strutture che non hanno i requisiti, centri che conseguentemente chiudono, Regioni poco virtuose, risorse che si bloccano quando arrivano nei Comuni. Al piano nazionale è seguito a luglio scorso il piano di azione firmato dal sottosegretario Vincenzo Spadafora con la finalità di attuare concretamente le misure previste, ma anche quest’ultimo, col cambio dell’esecutivo, ha subito battute d’arresto. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” , diceva Tancredi ne’ Il Gattopardo, e purtroppo c’è un fondo di verità in queste parole anche nella gestione della lotta alla violenza sulle donne. Tra le criticità principali non aiuta, com’è intuibile, il continuo cambio di esecutivo, come rileva Lella Palladino, presidente dell’associazione D.i.Re-Donne in rete contro la violenza. “Il piano operativo che porta la firma del mio predecessore – dichiara la ministra Bonetti – e che definisce le modalità di utilizzo delle risorse stanziate nel 2019, è stato varato alla fine del mese di luglio. Appena mi sono insediata ho voluto confrontarmi con le associazioni, con le parti sociali e con i colleghi della cabina di regia proprio per capire come evitare ulteriori ritardi. A breve, nel corso della prossima riunione della cabina di regia, stabiliremo se vi siano correttivi da apportare. Ciò che mi preme sottolineare è che non vi è alcun intento demolitorio del piano che, anzi, puntiamo ad arricchimenti e integrazioni anche attraverso interventi e risorse nel 2020. E’ vero che i passaggi di testimone possono creare rallentamenti in tutte le amministrazioni, ma la violenza contro le donne non consente inerzie e, anzi, ci impone un’azione sinergia. Anche per questo motivo il piano operativo che ho trovato non sarà stravolto ma attuato. Con l’impegno di volgere lo sguardo e lavorare sin da ora alla strategia programmatica anti violenza del triennio 2021-23”
I numeri dei fondi stanziati dal 2017 ad oggi, in aumento ma ci sono ritardi
Ma guardiamo ai numeri. I fondi pubblici per i centri (che sono distribuiti attraverso le Regioni) sono saliti dai 12 milioni del 2017, che che divisi per il numero di donne prese in carico secondo calcoli di D.i.re danno 76 centesimi per vittima, ai 20 milioni del 2018 ai 30 milioni, confermati anche dalla ministra Bonetti, del 2019. In genere, per le politiche anti violenza, compresi dunque anche i fondi per i centri anti violenza, nel 2015-16 sono stati stanziati 39 milioni, nel 2017 21,6 milioni, nel 2018 35,4 milioni, nel 2019 37 milioni. Nel contesto generale, dunque, per l’anno in corso le risorse destinate i centri sono aumentate parecchio rispetto al 2018 (+50%). Nonostante il nuovo governo abbia dimostrato la volontà di ascoltare le esigenze delle associazioni e si stia cominciando a muovere per il riparto dei fondi del 2019, tuttavia a inizio novembre si registra già un ritardo di 10 mesi. A cui, come ha denunciato Valeria Valente, senatrice del Pd e presidente della Commissione d’inchiesta sui femminicidi, si dovrà sommare “quello medio di altri 8 o 9 delle Regioni per la procedura di effettiva assegnazione”.
La voce dei centri anti violenza
Il punto è che i centri anti violenza lamentano ancora: la distribuzione a pioggia dei fondi (nonostante ci siano stati i primi risultati del censimento del Cnr sui centri) e i troppi passaggi per assegnare i fondi, in particolare il passaggio da alcune Regioni ai Comuni, dove spesso si bloccano e non vengono distribuiti. Denuncia Lella Palladino, presidente di D.i.Re-donne in rete contro la violenza che raccoglie sotto lo stesso ombrello 80 centri: “C’è una grossa disomogeneità nella distribuzione delle risorse nel Paese. In alcune Regioni ci sono esempi virtuosi, i soldi della legge 119 vanno direttamente ai centri che hanno i requisiti. In altre Regioni ci sono gravi criticità. Pensiamo alla Campania, la Calabria, la Sicilia”. Il punto dove il meccanismo si inceppa è proprio il passaggio delle risorse attraverso i Comuni. Alcune Regioni vigilano con attenzione, come ad esempio la Puglia, unico esempio virtuoso al Sud, ma altre sono deficitarie in tal senso”.
Per risolvere il problema, secondo Palladino, occorre “distinguere i veri centri anti violenza dalle realtà che non ne hanno i requisiti. Spesso infatti si danno risorse a questi ultimi che non riescono a prendersi cura delle donne”. Tutto ciò avviene nonostante il censimento del Cnr che “ha scattato una fotografia dell’esistente, ma quello che c’è nei territori non sempre è di qualità. La prima parte del censimento è stata fatta, ora bisogna decidere come utilizzare questa conoscenza”. E infine l’appello: “Chiedo – dice Palladino – di fare distinzione tra i centri anti violenza e l’offerta multiforme che c’è su tutti i territori. Stanno chiudendo tanti centri storici, mentre nuovi centri lavorano. Due: bisogna evitare i tanti passaggi delle risorse eliminando quello dalle Regioni ai Comuni. Altrimenti i tempi di attesa ci strozzano”.
“”Il problema – afferma Simona Lanzoni, vice presidente di Pangea Onlus – è di lungo periodo, siamo solo al terzo piano d’azione nazionale, e siamo di fronte a una questione strutturale di gestione dei finanziamenti indipendente dal nuovo ministero delle Pari opportunità insediato da poco. Ovvero la vera questione è quella del coordinamento tra il dipartimento per le Pari opportunità e le Regioni, tra le Regioni e i Comuni. E’ lì il nodo che si deve sciogliere: bisogna cioè agire sulla governance territoriale delle risorse e sul monitoraggio delle stesse. Non possiamo aspettare che sia la Corte dei Conti a fare chiarezza. Sarebbe auspicabile che il nuovo governo, oltre a provvedere al riparto urgente delle risorse per il 2019, riesca a mettere a sistema la distribuzione dei finanziamenti.”
Carfagna: “I ritardi nell’erogazione dei fondi mettono in pericolo le donne”.
Di recente si è registrata l’approvazione dell’Aula della Camera alle mozioni di maggioranza e di Fi sulle iniziative di prevenzione e contrasto di ogni forma di violenza contro le donne. Il governo è quindi impegnato, tra l’altro, “ad assumere iniziative al fine di rivedere ed adeguare i meccanismi di finanziamento statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio sufficiente in linea con i parametri internazionali, privilegiando quelle che possono con sicurezza garantire la qualità dei servizi e la loro competenza di genere e sui diritti umani, oltre alla qualità professionale”. Su questa problematica, dichiara la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna (Fi) ad Alley Oop, il problema è che “ogni Regione lancia dei bandi per distribuire i finanziamenti ma sono aperti a chiunque e, talvolta, le istituzioni non verificano la documentazione, oppure si accontentano dell’autocertificazione. Soprattutto, al di là dei singoli casi, è importante che i fondi previsti dalla legge 119 del 2013 che vanno obbligatoriamente distribuiti ai centri non siano versati in ritardo, perché il ritardo generale in tutte le fasi di programmazione, sia di stanziamento sia di erogazione delle risorse, ha gravi ripercussioni sull’attività dei centri anti violenza e delle case rifugio, e mette a rischio la possibilità delle donne di accedere ai servizi necessari per salvarsi la vita e liberarsi da maltrattamenti e violenza”.
L’impegno dell’esecutivo e delle forze politiche, e questo lo riconoscono anche le associazioni c’è, ora è il momento che dagli enunciati si passi all’azione concreta per registrare un reale cambio di passo.
Di piano nazionale, fondi, norme e azioni concrete nella lotta a un fenomeno radicato nella società come la violenza sulle donne si parlerà al convegno nella sede del Sole 24 Ore organizzato da Alley Oop-Il Sole 24 Ore dal titolo #NONSEISOLA – #SEMPRE25NOVEMBRE
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