Se il punto di partenza è che uomini e donne siano uguali, i conti non torneranno mai. Allo stesso modo, se l’obiettivo è quello di “renderli uguali”, lo sforzo minaccia di essere sovrumano, nel vero senso della parola.
Siamo sempre alla ricerca di formule, e anche in questo caso gli studi vorrebbero dare una risposta definitiva alla domanda: quanto è natura e quanto è cultura ciò che ci differenzia gli uni dalle altre? Tradotto: il colore rosa alle bambine piace d’istinto oppure perché gli viene proposto così spesso? E ai bambini, spade e automobiline?
Quando diventiamo grandi, l’oggetto degli studi cresce con noi, e allora ecco l’ultima ricerca citata dall’Harvard Business Review sul tema: come mai maschi e femmine reagiscono in modo così diverso all’idea di competere?
Nella evidente resistenza delle donne all’entrare in competizione, le ricerche hanno individuato una delle cause del minor reddito delle lavoratrici americane nove anni dopo un MBA (10% in meno dei colleghi maschi) e del 76% del gap di carriera tra maschi e femmine economiste in Francia.
L’articolo, oltre a vedere in questo gap una “conseguenza” della minore propensione delle donne a competere, vi legge un segnale del fatto che sia proprio il saper essere competitivi a portare al successo socio-economico. Lega cioè cause ed effetti in entrambe le direzioni. Come se le regole fossero date e l’unica possibilità che abbiamo fosse di seguirle con minore o maggior talento. Essere competitivi sembra essere considerato un indiscusso fattore di successo, e infatti viene premiato con promozioni e aumenti di stipendio. L’autore dell’articolo, Professore Associato di Comportamenti Organizzativi alla London Business School, ha intervistato 230 persone e ha individuato alcune assunzioni sull’essere competitivi.
La competizione ha il potenziale positivo di:
1) migliorare la performance
2) sviluppare il carattere
3) spingere verso soluzioni innovative
Dal lato negativo, la competizione rischia di:
1) incoraggiare comportamenti poco etici
2) minare la fiducia in sé stessi
3) danneggiare le relazioni.
Ma il 63% delle donne intervistate sono risultate decisamente meno convinte degli uomini degli aspetti positivi della competizione. Non è un dettaglio. Quando competono, le donne hanno risultati non dissimili da quelli degli uomini. Ma preferirebbero non competere. Si cercano modi per convincerle a farlo, dato che chi non compete sembra “restare indietro”. Un’altra possibilità, finora poco esplorata, è quella di domandarsi se esiste un’alternativa alla competizione un’alternativa che produca risultati altrettanto buoni, magari abbassando il rischio di conflittualità.
E magari questa alternativa chiederla alle donne, che probabilmente non la conoscono ancora ma, se il sistema glielo chiedesse, potrebbero dedicare tempo ed energie a cercarla. Perché nella competizione risuona un istinto fortemente maschile: quello della caccia, che ci ha tenuti in vita per centinaia di migliaia di anni. E sì, questo ci ha geneticamente modificati. Per esempio, negli ultimi decenni gli studi neuroscientifici hanno rivelato che uomini e donne vedono il mondo in modo diverso. L’occhio maschile intercetta più facilmente ciò che si muove, e in generale l’ambiente, e vede i colori in modo meno vivido. L’occhio femminile è molto più sensibile ai colori e ai visi umani. Basta osservare i disegni dei bambini per vedere gli effetti di questa differenza di base, biologica ed evoluzionisticamente indotta.
L’importanza della caccia – saper individuare animali in movimento – ha modificato la capacità di visione degli uomini; l’importanza della cura – saper identificare cambiamenti nel volto del bambino a distanza ravvicinata – ha influenzato la capacità di visione delle donne.
Allo stesso modo la donna, se può, evita lo scontro: sa istintivamente che le sarebbe difficile difendere sé stessa e i propri cuccioli, che sono fisicamente i più deboli. L’uomo deve invece avere l’istinto di andare verso lo scontro, per procacciare il cibo.
Se il punto di partenza è che uomini e donne siano uguali, i conti non torneranno mai. Un miliardo di donne entrerà nel mondo del lavoro entro il 2022: perché quindi non approfittare della rivoluzione in corso per fare spazio a nuove regole del gioco, più adatte non solo alle donne, ma a un intero pianeta… che non può più sopravvivere a una logica “competitiva”, di gioco a somma zero?