Sul suo comodino c’è il volume Storie della buonanotte per bambine terribili. Eleonora Anna Giorgi, milanese, 30 anni, non è più una bambina per l’anagrafe ma per lo spirito e il suo stato mentale di sognatrice professionista è una bambina a tutto tondo ed è anche terribile, tenace, indistruttibile come ha dimostrato nella 50 km di marcia del Mondiale di atletica che si è svolto a Doha dal 27 settembre al 6 ottobre. Un calvario fra i grattacieli della capitale del Qatar, un massacro di fatica, di paura di non arrivare in fondo, di vomito e nervi da imbrigliare: Eleonora ha conquistato il traguardo e un bronzo bellissimo in 4 ore, 29 minuti e 13 secondi, alle spalle delle due cinesi Liang Rui, oro in 4h23’26”, e Li Maocuo, argento in 4h26’40”.
È stata l’unica medaglia azzurra del Mondiale. È stata una medaglia sognata, agognata, rincorsa, dopo migliaia di chilometri di allenamento e tante manifestazioni finite negli anni passati con squalifiche per marcia non regolamentare: «Sapevo – ricorda l’atleta lombarda delle Fiamme Azzurre – che Doha era la mia occasione: avevo lavorato con intensità nei mesi passati, avevo con meticolosità affinato la tecnica per non incorrere in squalifiche. Già prima di partire per Doha avevo ribaltato i miei ritmi vitali: sveglia di notte, a nanna di giorno, colazione all’ora di cena. Nulla era stato lasciato al caso. Quando, verso il 15° chilometro, ho cominciato a sentire i primi crampi all’addome, causati forse dall’acqua gelata che avevo ingerito ai rifornimenti, mi sono spaventata perché mancavano 35 chilometri alla fine e più di tre ore di gara. Come fare?». Poi, un vomito liberatorio e il passo che ritrova il ritmo: «A quel punto mi sono concentrata sull’alimentazione, sulla tecnica, sulle mie gambe e su mille pensieri che in tanta solitudine ti fanno compagnia».
E nei 35 e più gradi della Corniche, fra grattacieli e tifosi, in una notte appiccicosa come poche ha raggiunto il traguardo. Estasi pura, le sue treccine tricolori che brillavano nelle luci della notte – era quasi l’alba – di Doha, due tricolori fra le mani, uno sarebbe stato troppo poco per una gioia così indicibile, così piena: «Oggi, pensando alla gara, alla soddisfazione di quel traguardo mi pare quasi di vedere che sia stata un’altra persona a compiere ciò che invece è uscito dalle mie gambe e dalla mia testa». E dalla sua volontà d’acciaio: «Sì, è vero, l’aggettivo che meglio mi rappresenta è resiliente».
Nel deserto di Doha, certo, ma anche negli anni passati quando si preparava alle competizioni e poi le venivano sventolati sotto il naso quei cartellini rossi, come una muleta per far imbizzarrire il suo desiderio di marciare, competere e vincere. Era successo nella Coppa del Mondo di Roma 2016 («È la volta in cui ho sofferto di più, mi hanno fermato a ridosso dell’ingresso nello stadio, nella mia Italia, davanti ai miei tifosi»), ai Giochi di Rio de Janeiro 2016 e di nuovo ancora agli Europei di Berlino 2018. E lei pronta a ripartire con entusiasmo, con quel suo sorriso genuino e purissimo: nei suoi post su Twitter o su Instagram qualche citazione da Martin Luther King ad Antoine de Saint-Exupéry per rimettersi in pista e inseguire i sogni: «Tutte le squalifiche e le sconfitte bruciano e io avevo un bel dire che lo sport è come l’università, ma non è così. Al mio primo esame in Bocconi presi 14 in matematica, ma poi mi arrampicai fino al 26. Le gare, invece, non le puoi ripetere come gli esami, ti esplodono fra le mani come una bolla, pluf, e con esse mesi di fatica, preparazione e sacrifici». Traditi da qualche dolore fisico o dalle decisioni dei giudici: «Sono molto severi, soprattutto con le atlete del gruppo di testa, e sono pronti a squalificare alla minima disattenzione». È la marcia, bellezza. È la dura legge del tacco-punta.
L’intervista completa a Eleonora Giorgi è contenuta nell’ebook Donne di Sport 2019, scaricabile gratuitamente sul sito del Sole 24 Ore, cliccando anche sulla foto qui di seguito.