Che cosa rischiamo di perdere se non riconosciamo i confini delle diversità

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Non è la prima volta che succede: qualcuno mi avvicina dopo una conferenza e mi fa notare che il programma formativo di cui ho parlato, che dice che “la maternità è un master”, rischia di svalutare tutte le donne che madri non sono. Di riflesso, questa volta ho risposto: essere madri è un tipo di diversità, ce ne sono molte altre. Ma poche come la maternità fanno sentire minacciato chi non ne fa parte. Se per esempio dico che una partita di calcio è una metafora della leadership, e che giocare a calcio migliora alcune competenze di gioco di squadra, chi non gioca a calcio non alza la mano per dire “e allora, io?”.

Anche la malattia, per esempio, è un’esperienza che ha l’effetto di un master: tutte le transizioni della vita e le relazioni intense insegnano molto. Credo che nessuno possa contestare l’assunto che la vita stessa sia un master

…ma la maternità accende questo senso di minaccia, di esclusione. Tocca delle aree sensibili, dove evidentemente si annidano, non visti, dei tabù. “Ci sono molte donne” è uno degli argomenti, “che avrebbero voluto essere madri e non hanno potuto. Un programma di questo tipo può farle sentire escluse”. Questo però vuol dire che:

1) stiamo immaginando delle iniziative di inclusione che, non potendo escludere nessuno, annullino le differenze: ma siccome le differenze ci sono, ignorarle equivale a creare delle enormi aree di non detto, di tabù;

2) stiamo accettando di perdere l’enorme quantità di risorse che la diversità può portare sul tavolo: come racconta un recente articolo dell’Harvard Business Review, infatti, le persone che sentono di poter portare tutte se stesse al lavoro riescono a fare delle loro caratteristiche “da minoranza” la fonte principale del loro valore aggiunto.

“Mobilizzando le loro identità”, ossia usando consapevolmente la propria differenza invece di nasconderla, si sentono autorizzate a esprimere opinioni “diverse”, costituiscono quasi un controllo qualità di secondo livello sui progetti e liberano energia creativa.

Le diversità ci sono, sono molteplici, e non si tratta più solo di genere, razza, religione e orientamento sessuale. I modi e i motivi per cui possiamo sentirci “diversi” sono così tanti che è proprio il concetto di standard a essere messo in discussione. Tracciare delle linee, definire perimetri e caratteristiche della diversità, può dare la sensazione di stabilire un dentro e un fuori a cui associamo in automatico un’idea di giusto e di sbagliato. Ed è questo a mettere a rischio la nostra capacità di accogliere e usare questa ricchezza. Perché non darsi da fare, invece, per scoprire e rivelare al mondo l’aspetto di minoranza che c’è in ognuno di noi?