Come può andare a lavorare una donna, o anche solo sostenere un colloquio, se non ha il diritto di uscire di casa senza permesso? Come può immaginarsi imprenditrice se, per legge, non può avere capitali o beni propri? Sono situazioni che esistono, in Paesi neanche troppo lontani da noi. E dove le condizioni sono queste, l’occupazione femminile è, naturalmente, bassissima.
Women, Business and the Law 2019: A Decade of Reform, una recente ricerca della Banca Mondiale, ha misurato la discriminazione di genere in 187 economie negli ultimi dieci anni. Nel Medio Oriente e nel Nord Africa, in particolare, dove si registra una sorta di biasimo sociale verso le donne che lavorano e forti stereotipi di genere sul tipo di mansioni, la percentuale globale di diritti sul lavoro per le donne che è circa il 75 per cento, si abbassa al 47 per cento. In sostanza, in questi Paesi le donne hanno meno della metà dei diritti sul posto di lavoro rispetto agli uomini. Secondo il Global Gender Gap Report 2018 del World Economic Forum, la percentuale di donne che partecipano alla forza lavoro rispetto agli uomini è diminuita a livello generale.
Le ragioni? La mancanza di sostegno per le madri che lavorano, il forte impatto dell’automazione sui lavori tradizionalmente svolti dalle donne e gli ostacoli per le donne che vogliono avere accesso al settore scientifico e tecnologico. E l’Italia? Il nostro Paese, secondo una ricerca della Fondazione Openpolis, ha i livelli più bassi di occupazione femminile nell’Unione Europea. Rispetto a una media di 66,5 occupate ogni 100 donne tra 20 e 64 anni, l’Italia si trova al penultimo posto con il 52,5%, appena sopra la Grecia (48%). Il gap occupazionale aumenta se si confrontano i soli uomini e donne con figli. Rispetto a una media europea di 18,8 punti percentuali di distanza tra padri e madri occupate, l’Italia si trova al di sopra di quasi 10 punti (28,1). Su questo punto, diverse ricerche concordano nel mettere in relazione la disponibilità di asili nido e scuole materne con l’occupazione femminile: più posti ci sono e più le mamme possono essere nella condizione di lavorare. Perché un tema fondamentale è la conciliazione tra genitorialità e professione. Ma, c’è un ma. Nel nostro Paese anche le donne senza figli, di età compresa tra 20 e 49 anni,lavorano nel 62,4% dei casi, contro una media europea del 77,2%. “La cosa interessante da notare – scrivono i ricercatori di Openpolis – è che nei maggiori paesi Ue le donne con due figli partecipano al mercato del lavoro in misura maggiore delle italiane senza figli. Una distanza che è nell’ordine di 12 punti se confrontata con Regno Unito e Germania, e di quasi 16 rispetto alla Francia (…)”. Per queste donne qual è il freno per lavorare fuori casa? Sono talmente qualificate da non riuscire a trovare un’occupazione all’altezza? A volte sì. A volte ci sono donne che preferiscono rimanere a casa, potendolo fare, perché vogliono evitare di trovarsi a lavorare per un capo che ritengono più incompetente di loro, non ci sono statistiche su questo punto ma diverse testimonianze in rete, dove sono nati anche gruppi di donne che hanno scelto di vivere per la casa o il proprio uomo. E poi ci sono le giovani, le 625mila casalinghe tra i 15 e i 34 anni in Italia che hanno dichiarato all’Istat di dedicarsi prevalentemente alle faccende domestiche, non avere un’occupazione e non essere disoccupate, cioè attivamente in cerca di lavoro. E di stare bene così. Insomma, la questione dell’occupazione femminile è, ancora, una questione aperta tra welfare, stereotipi di genere, leggi, retaggi e culturali e libero arbitrio.