La recente sentenza in Cassazione in merito agli alimenti non più dovuti da Silvio Berlusconi all’ex moglie Veronica Lario – ma soprattutto i criteri giuridici su cui si basa – dovrebbe diventare oggetto di riflessione durante i corsi pre-matrimoniali. Mette infatti nero su bianco, e in più con la sostanza di numeri da capogiro, un nuovo modo di guardare al binomio matrimonio-patrimonio: non c’è più niente di sottinteso, e i patti devono essere chiari sin da “prima”– o si corre il rischio di dover restituire 45 milioni di euro al marito fedifrago, come farà la signora Lario.
Su patti non chiari si basano purtroppo molte delle false aspettative e dei soprusi che nei quasi 50 anni di vita del divorzio all’italiana hanno portato a battaglie, lacrime e improvvise povertà, e probabilmente hanno avuto un’influenza nefasta anche sui dati di occupazione e reddito femminile del nostro Paese.
Le tre parole avvelenate, il cui senso la recente giurisprudenza ha per fortuna rivisto ma la cultura italiana ancora no, sono “tenore-di-vita”.
Vediamo il caso di Veronica. La signora, che può sicuramente contare su avvocati molto validi, stava appunto difendendo il suo diritto a “mantenere lo stesso tenore di vita” che aveva da moglie, continuando quindi a ricevere alimenti per 26.000 euro al giorno. Come aveva acquisito questo diritto?
Grazie a compiti chiave svolti con fedeltà e a tempo pieno nei 20 anni di matrimonio:
1) essersi occupata in via esclusiva dei figli sotto tutti i profili educativi e di cura;
2) aver giovato all’immagine pubblica dell’ex coniuge e al suo successo anche in termini di ricchezza.
Veronica pensava quindi di aver firmato un contratto che, in cambio di tali mansioni, le avrebbe garantito una pensione d’oro a vita. Non è così. In assenza di accordi pre-matrimoniali che valorizzino in termini economici le attività che uno dei due coniugi svolge in vece dell’altro, tutto quel che mogli e mariti fanno in ambito familiare vale zero.
Se quindi, facciamo l’ipotesi, una donna decide di (o deve) lasciare il lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla famiglia, questo non le dà nessun diritto automatico a parte dello stipendio che nel frattempo il marito continua a guadagnare. Un trasferimento monetario avviene infatti solo in caso di “mancanza di autosufficienza economica del richiedente”, mentre ben più pesanti e importanti sono diventati i criteri di autoresponsabilità, indipendenza o autosufficienza economica che entrambi i coniugi devono perseguire dopo la separazione – ma magari anche prima.
E’ una buona notizia? Sì, se questo vuol dire pretendere ed essere capaci di garantire maggiore trasparenza ai temi economici tra coniugi.
Nella maggior parte delle coppie che conosco, invece, le finanze familiari sono gestite da uno dei due e l’altro “si fida”. Durante la luna di miele, poi, sembra impossibile sedersi al tavolo per prezzare gli impegni di ciascuno e mettersi d’accordo su un’equa valorizzazione. Poi arriva il momento della “exit” – termine economico che indica la fine di una partnership – e statisticamente non c’è momento peggiore per negoziare le condizioni con cui lasciarsi… e soprattutto per scoprire se fidarsi è stata una buona idea.