In vacanza i luoghi su misura per noi: l’abbazia di Fontanella (Bergamo)

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Vista dell’abbazia di Sant’Egidio in Fontanella. Courtesy Abbazia Sant’ Egidio in Fontanella

Di cosa abbiamo più bisogno in vacanza? Evasione dal quotidiano, relax, divertimento, avventura certo, ma alla lista io aggiungo: uno spazio per noi, che calzi come un vestito su misura, sulla nostra misura.

Imbattersi in un luogo del genere è un’esperienza rigenerante, a maggior ragione se l’incontro è inatteso: un colpo di fulmine che non si può programmare, un momento nel quale – come dice il grande reporter americano Alex Webb – il mondo ci fa un regalo.

Con un luogo su misura non sto infatti pensando per esempio alla casa di vacanze di famiglia, nella quale siamo stati abituati ad andare fin da piccoli e dove periodicamente ritorniamo, per soggiorni lunghi o brevi. Questi luoghi domestici infatti rimandano a sentimenti, sensazioni e pensieri annodati al filo delle abitudini e dei ricordi: qui ritroviamo il letto che cigola, la persiana della stanza che chiude male, il bar dove si fa colazione la domenica, la trattoria per le ricorrenze e quella dove si mangia bene e spende poco (almeno così tramandano le narrazioni di famiglia), la spiaggia meno affollata e con l’acqua pulita, il sentiero fra i boschi insegnatoci dallo zio appassionato di alpinismo, la piazzetta dove ci si ritrovava tra ragazzi e ragazze dopo cena, prima di essere richiamati per andare a dormire, eccetera eccetera.

Nei posti di famiglia ognuno è accompagnato dai ricordi, quasi sempre mescolati di dolcezza e malinconia, perché la memoria ritorna – è inevitabile – alle persone care assenti, momentaneamente o, purtroppo, irrimediabilmente.

Certo i posti dove siamo soliti ritornare in qualche modo ci appartengono: parliamo infatti del nostro stabilimento balneare, della nostra pensione, della nostra casa. Ma sono i luoghi a nostra misura o siamo noi che, trascorrendo una parte significativa della nostra vita in essi – significativa non tanto per la durata, ma perché le vacanze sono, particolarmente nell’infanzia e adolescenza, un tempo speciale, vissuto con intensità – abbiamo assunto la loro misura? Insomma: è la casa dei nonni che ci calza a pennello oppure noi siamo stati e ci siamo abituati a farci indossare da lei?

La mia idea di uno spazio su misura per noi richiede invece una scoperta e, dunque, un incontro con un luogo inedito che sembra chiamarci, come fosse in attesa di nient’altri che noi.

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Vista posteriore con il campanile. © Gian Marco Sivieri

A me è accaduto in questi giorni all’Abbazia di Sant’Egidio in Fontanella, una ben conservata chiesetta romanica nei pressi di Sotto il Monte Giovanni XXIII (paese natale di Angelo Roncalli), in provincia di Bergamo.

Mentre si raggiunge la chiesa, risalendo le pendici del monte Canto, sono sufficienti poche centinaia di metri per lasciarsi alle spalle il traffico e i rumori dell’operosa zona chiamata Isola Bergamasca e immergersi nel verde, tra alberi di castagno e colline geometricamente decorate da filari di viti.

Fu Alberto da Prezzate di stirpe longobarda a donare, nel gennaio del 1080, questo terreno in collina ai monaci cluniacensi, ben sapendo che gli aderenti alla famiglia dell’ordine benedettino della grande abbazia borgognona di Cluny impiantavano in luoghi isolati le proprie comunità, cittadelle economicamente e giuridicamente indipendenti dal territorio circostante, per dedicarsi alla preghiera e al culto, lontani da lotte per il potere, guerre, saccheggi e violenze.

La vita della comunità monacale fu breve, già nel ‘400 fu soppressa, S. Egidio divenne parrocchia e solo recentissimamente (1998) rettoria della diocesi bergamasca, ma le vicissitudini storiche hanno permesso la sopravvivenza della chiesa e di una piccola porzione dell’antico monastero. E quel che resta è tuttora affascinante.

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Vista posteriore con transetto, presbiterio e absidi. © Gian Marco Sivieri

Non si tratta, come ho detto poco fa, di una “chiesetta”, perché questa costruzione in pesanti pietre squadrate, appena annerite qua e là dal tempo, emana una potenza che suscita un sentimento per lo più dimenticato: la reverenza. Le tre navate sembrano incardinate nel terreno come salde radici di un’enorme pianta, ombreggiata dal fusto possente del campanile; se circumnavighiamo la chiesa restiamo affascinati dal lato occidentale (quello posteriore), dove si rende leggibile come in un libro l’articolazione dei corpi interni: il transetto – il lato breve della croce formata dalla pianta della chiesa – taglia trasversalmente il corpo delle navate, subito dietro si alza l’alto volume cubico del presbiterio, poi si innestano le curve delle tre absidi che chiudono le navate. La decorazione, come è tipico della grande architettura romanica lombarda di cui Sant’Egidio è esempio emblematico, è minima: una cornice di archetti pensili lungo tutto il corpo dell’edificio, poche strette finestre a monofora (un’unica apertura) e la leggera sporgenza dal muro delle lesene (semicolonne).

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Vista dell’interno. Courtesy Abbazia Sant’ Egidio in Fontanella

Quando entriamo, l’oscurità accentuata dal contrasto con l’esterno assolato del mezzogiorno d’agosto ci avvolge, e dobbiamo lasciare qualche istante ai nostri occhi per abituarsi: Sant’Egidio ci insegna il valore del tempo, che non deve per forza essere divorato, al contrario lo si può centellinare come un bicchiere di vino d’annata, da assaporare col palato e il sentimento.

Abituato lo sguardo, ci stupiamo per il contrasto fra lo spessore dei robusti muri e le sottili colonne che delimitano le navate, grazie alle quali capiamo che quella potenza è frutto di un equilibrio delicato e complesso, infatti, avanzando verso l’altare, si mostrano i quattro possenti pilastri di sostegno dell’alta torre campanaria, il cuore strutturale e simbolico dell’edificio: qui sono messi in connessione la terra e il cielo nel passaggio dalla mole di questi basamenti di pietra, simili a speroni rocciosi di una montagna, allo slancio del campanile e all’aerea leggerezza del suono che ne propaga tutto attorno.

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Vista sulla zona absidale che mostra l’accostamento di colonne e pilastri. © Gian Marco Sivieri

Certo ci sono opere preziose nell’interno: eleganti affreschi cinquecenteschi nelle absidi, la copia di un polittico (ora al palazzo vescovile di Bergamo) nella navata destra, un cinquecentesco crocifisso in legno sull’arco del presbiterio; ma è l’edificio in sé a imporsi: la lingua muta ma eloquente della pietra è un canto sommesso, profondo e misteriosamente cristallino, se lo si sa ascoltare. Si può riconoscervi l’industriosità, l’abilità e la grazia della mano dell’uomo, capace di prendere la materia offertagli dalla terra, modificarla, modellarla e farne un edificio come questo, che è opera d’arte ma resta al tempo stesso pietra nuda, arte e natura in simbiosi, la cifra più vera dello stile romanico, da cui l’Europa del Medioevo è ripartita.

Su questi pensieri ci si potrebbe dilungare, ma il punto è questo: solo un luogo particolare può fare scattare la scintilla che li fa sorgere. Se i monaci usavano questi luoghi per la preghiera e meditazione, anche noi, religiosamente o laicamente non ha alcuna importanza, possiamo farne un utilizzo affine, che ci permetta di scoprire un tempo nostro, di sosta, anche di riposo perché no, certo di nutrimento.

Decisamente alla mensa di Sant’Egidio non siamo al fast food. E la differenza, si sente…