“In base alla mia esperienza, se i tribunali in Italia cominciassero sul serio ad aprire i fascicoli, un 60-70% dei minori in affido potrebbe tranquillamente rientrare nella propria famiglia d’origine“. E’ la provocazione dell’avvocato Francesco Miraglia, che da 15 anni denuncia casi di allontanamento dei minori e difende famiglie coinvolte nell’inchiesta Angeli e Demoni. Lo scandalo affidi in Val d’Enza, scoppiato il 27 giugno, ha mostrato un presunto sistema illecito di gestione di minori attraverso falsi report di assistenti sociali e psicologi, falsificazione delle testimonianze dei bambini, manipolazioni e violenze. L’obiettivo, secondo l’accusa, è togliere i bambini a famiglie in difficoltà e affidarli dietro pagamento ad amici o conoscenti.
Al momento le indagini sono in corso, una trentina gli indagati. “Servono maggiori controlli – ci spiega l’avvocato Miraglia – la normativa c’è e deve essere rispettata, le relazioni dei servizi sociali devono essere controllate e i servizi affidati esclusivamente alla pubblica amministrazione. Chi controlla le case famiglia? Quanto guadagnano? Non sappiamo neanche quanti minori sono affidati ai servizi sociali: solo alcune regioni hanno inviato i numeri”.
Secondo i dati dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, al 31 dicembre 2015 le comunità in Italia erano 3300. Nel 2016 – come riporta l’indagine del 2017 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – i minori allontanati dalle famiglie erano 26.600, il 2,7 per mille della popolazione: 14 mila in affidamento familiare, 12.600 in comunità. A tornare in famiglia è il 41,6% dei ragazzi in affido familiare, il 39% di quelli in comunità. Gli altri iniziano un percorso di adozione o altra accoglienza, pochi un percorso di autonomia.
Sul fronte economico, la Legge 149 del 2001 stabilisce che Stato, regioni, enti locali intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci. “La materia sociale è di titolarità esclusiva delle regioni e i contributi spettano ai comuni: abbiamo dimostrato che le rette delle comunità spesso sono inferiori al giusto prezzo dell’accoglienza“, ci spiega Liviana Marelli, responsabile Infanzia, adolescenza e famiglie del CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.
“La retta equa – sottolinea Marelli – dovrebbe essere tra i 100 e i 120 euro al giorno a minore, mentre oggi ammonta a 70-110 euro: a Milano ad esempio è di 90 euro. Le comunità familiari percepiscono 60-80 euro, le famiglie affidatarie volontarie hanno un rimborso spese dai comuni tra i 200 e i 550 euro al mese”. In base a uno studio del 2014, le rette medie vanno dagli 70 euro di Roma ai 118 di Veneto ed Emilia Romagna. Se tutti i comuni pagassero almeno 80 euro al giorno alle comunità e dessero rimborsi anche in caso di affido parentale, i contributi ogni anno per i 26.600 minori ammonterebbero dunque a 400-460 milioni di euro.
Ma “spesso mancano famiglie affidatarie e risorse, i comuni non pagano o pagano in ritardo”, aggiunge Marelli. Nel distretto di Milano, costituito da otto province, ci sono 600 comunità che “dal 2016 vengono ispezionate una volta l’anno con molta fatica perché non ci sono le risorse“, ci racconta il procuratore capo del Tribunale per i minorenni di Milano, Ciro Cascone, che specifica: “abbiamo i numeri sui minori in comunità, 2100 al 31 dicembre 2018, ma non sui ragazzi in affido familiare”.
“Sugli affidi serve una banca dati nazionale – continua Cascone – Oltre a modifiche normative che recepiscano un sistema di contraddittorio in tutte le procedure minorili, tempistiche certe nel momento di allontanamento dei minori in casi di pericolo (articolo 403 del codice civile) e maggiori controlli sul dopo. Una volta che il minore viene affidato a una famiglia o comunità servirebbero step precisi di verifica una volta l’anno per vedere se ci sono le condizioni di rientro dei minori in famiglia. Ora gli step non sono regolamentati”.
Un caso particolare di affido in questi giorni arriva dalla Sicilia. Filippo (nome di fantasia) – 11 anni – è rimasto orfano nel 2017 dopo che il padre, ora in carcere, ha ucciso la madre. Filippo viene affidato alla zia, che a giugno chiede però la ricollocazione del minore per problemi familiari. Finita la scuola, il bimbo si trasferisce dai nonni materni, ma un decreto del Tribunale dei minori di Catania stabilisce che deve essere collocato presso una famiglia affidataria o comunità, in attesa dell’udienza fissata per il 3 ottobre. Udienza che viene anticipata al 2 agosto per esaminare la richiesta formale di affidamento avanzata a luglio dai nonni. “Il solo interesse è quello di dare stabilità al minore”, racconta l’avvocata Irene Scala. Il decreto è stato sospeso e il bimbo al momento resta con i nonni. Tutto rimandato a ottobre, in attesa della relazione dei servizi sociali.