Il futuro del lavoro non è ancora democratico

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Il futuro del lavoro è al centro di numerosi dibattiti e ricerche a livello internazionale perché, mai come in questi anni, tutto il mondo sta vivendo una profonda trasformazione tecnologica che cambierà il modo di lavorare di tutte le persone. Nell’ambito di questa attenzione al futuro del lavoro, l’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ha lanciato la campagna “I am the Future of Work“, io sono il futuro del lavoro. Questo progetto internazionale dà voce direttamente alle persone che raccontano i loro lavori e anche le loro aspettative sul futuro. Un sito web dedicato presenta ritratti e testimonianze di persone di tutto il mondo, condividendo le loro storie sul futuro del lavoro e su come i loro lavori si stanno trasformando. È incentrato su 4 temi chiave: l’impatto dell’automazione e dell’intelligenza artificiale; l’impatto sulle competenze; l’impatto sulla  sicurezza e come dovrebbe evolvere la protezione sociale; e infine l’impatto sulla qualità del lavoro. Attraverso questa campagna, l’OCSE sta cercando di contribuire a fare cultura sulla digitalizzazione dei lavori per ridurre le disuguaglianze attualmente esistenti tra le persone e tra i Paesi.

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Satomi Fuluya

La storia di Satomi Fuluya, ragazza giapponese di 31 anni, è molto interessante perché racconta come ha inventato e trasformato il suo business seguendo i 4 temi chiave proposti dall’OCSE. Satomi è la fondatrice di una piattaforma on line per trovare lavoro in aziende che siano eque, che abbiano un sistema di welfare adeguato, che rispettino l’equilibrio di genere, che siano flessibili. La sua piattaforma, Clarity, offre una mappatura delle posizioni più inclusive possibili ed è interessante notare come le esigenze di flessibilità, supporto alla maternità e paternità, benessere, parità di salario, siano molto simili in Giappone come in Italia. La sua storia è di ispirazione a molte donne che vogliano intraprendere una carriera imprenditoriale e allo stesso tempo aiutare le altre donne a fare carriera e a lavorare in un contesto inclusivo.

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Tommy Leep

Spostandoci da un’altra parte del mondo, troviamo la storia di Tommy Leep, ragazzo americano di 35 anni che lavora in AngelList, piattaforma che unisce startup ad investitori e persone che vogliono lavorare in queste realtà. La tecnologia può trasformare positivamente il lavoro? La risposta di Tommy è “Sì, Internet – e in particolare l’IA – hanno cambiato il modo di fare il mio lavoro. Sono online per l’80% del mio lavoro. Sono in un’azienda che sta costruendo software per rendere più facile per più persone diventare investitori. Penso che il software consentirà ad una nuova serie diversificata di investitori, tra genere, etnia, età, posizione, di accedere al mondo delle start up. Quindi credo che ci siano effetti positivi della tecnologia rispetto a quello che stiamo costruendo”.

C’è un file rouge in queste storie fatto sopratutto di determinazione ma anche di competenze. Le persone che raccontano i loro lavori, raccontano anche le competenze che hanno dovuto acquisire per poter lanciare le loro professioni. I lavori che non esistono oggi richiederanno competenze che non abbiamo ancora identificato. Ciò richiede cambiamenti nel modo in cui apprendiamo, per tutta la vita. Ma coloro che ne hanno più bisogno ottengono la formazione di cui hanno bisogno? Le ricerche dell’Ocse mostrano come l’acquisizione di competenze sia uno dei problemi più rilevanti perché non è affatto democratica: chi impara di più, sono le persone più ricche, più giovani e che già lavorano. Per questo motivo è importante raccontare storie diverse per ispirare al cambiamento persone e Paesi.

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