«Parlare ai passeggeri mi piace, è bello fare annunci. È un momento molto atteso da loro, ma anche da me». Carlotta Galaffi, comandante easyJet, è in procinto di partire per l’aeroporto di Gatwick a Londra, “un classico” tra le destinazioni, e confida questo sentimento. La sua professione non nasce da una vocazione d’infanzia, quanto piuttosto da una scoperta e da una consapevolezza acquisite in età adulta.
Oggi lavora per la compagnia britannica che nel 2015 puntava a raddoppiare la percentuale di piloti donne sul totale dei piloti assunti ogni anno, portandola dal 6% al 12%. L’anno successivo l’obiettivo era stato raggiunto e ora il prossimo traguardo è quello di arrivare al 20% nel 2020, e dunque ogni cento piloti nuovi assunti almeno il 20% saranno donne. Il programma prende il nome di “Amy Johnson”, aviatrice inglese degli inizi del Novecento, la prima donna a pilotare un volo intercontinentale dall’Inghilterra all’Australia nel 1930.
Tra le attività programmate ci sono visite nelle scuole per promuovere il lavoro di pilota tra le bambine e le ragazze, comunicazioni nei media in cui donne pilota figurano come testimonial, e campagne di reclutamento mirate a target femminili. Non c’è bisogno, infatti, di scomodare le statistiche per capire che pilotare un aereo è da sempre visto come un mestiere da uomo: nel mondo le donne pilota sono appena il 4%. Eppure qualcosa sta lentamente cambiando, sebbene di lavoro da fare ce ne sia ancora tanto.
Da una ricerca condotta su un campione di 500 piloti lo scorso anno dalla compagnia low cost britannica è emerso che i bambini sono più propensi a considerare la carriera da pilota rispetto alle bambine, che oltre un quinto dei piloti maschi (il 22%) aveva già scelto questa strada all’età di cinque anni, che più della metà dei piloti maschi (il 55%) sapeva di voler diventare pilota già all’età di 10 anni e che invece oltre il 50% dei piloti donna aveva iniziato a pensare a questa carriera solo dopo i 16 anni.
Lo scorso 6 marzo si è tenuto presso l’istituto onnicomprensivo Scuola Europa di Milano il lancio della campagna di sensibilizzazione “Un giorno da pilota” ideata da easyJet, e patrocinata dal Comune di Milano, dedicata ai temi della diversità di genere e dell’emancipazione femminile con lo scopo di promuovere una cultura più inclusiva e combattere gli stereotipi di genere fin dalla tenera età.
Carlotta, quando ha deciso di fare questo mestiere?
«Io sono un caso un po’ anomalo perché da bambina non sognavo affatto di fare questo lavoro, né tantomeno l’avrei mai immaginato neanche a vent’anni. Ho studiato lingue, mi piaceva viaggiare. Dopo un po’ di tempo mi sono ritrovata a fare l’assistente di volo, ho lavorato per poco, circa un anno, ma quello fu il mio primo contatto con il mondo dell’aviazione. In famiglia non ho nessuno, neanche lontanamente, che abbia fatto questo tipo di percorso o di lavoro. Però ero molto incuriosita sulla professione del pilota, mi chiedevo “Come si farà?”, perché non avevo studi scientifici alle spalle. All’epoca avevo all’incirca 23/25 anni. Qualche tempo dopo mi si è presentata l’occasione, in quanto ho ereditato una piccola somma di denaro che mi permetteva di iniziare quest’avventura e mi sono detta “Perché no?”. Ho continuato a lavorare e nel frattempo ho frequentato la scuola di volo di Bologna. Ho iniziato a volare a 27 anni, mentre come pilota di linea a 31 anni. Mi è sempre piaciuto volare, col parapendio o con l’aliante, dedicandomi a passioni spesso popolate da uomini, quindi lavorare in un ambiente molto maschile non ha fatto alcuna differenza per me».
Che cosa ricorda del primo volo?
«Ricordo bene il primo volo con la scuola, con l’aeroplanino ho girovagato da Bologna a Ferrara, mentre il primo volo di linea è stato un Malpensa-Rodi con un charter della compagnia per la quale lavoravo all’epoca. Tutto molto emozionante».
Come sono stati i suoi inizi in questa professione?
«In generale buoni, sebbene sia partita in ritardo rispetto a tutti gli altri, perché ho iniziato dopo, e questa non fosse la mia vocazione iniziale. Durante il percorso di formazione, però, è capitato, e talvolta sul lavoro (ma non nella mia attuale compagnia), di sentire commenti non positivi. Io non mi sono mai sentita diversa dai miei colleghi o dai compagni di corso, non mi è mai pesato. Qualche episodio più “acido” in cui qualcuno faceva lo faceva notare in maniera marcata, quello sì. Per fortuna si è trattato di casi singoli perché l’atmosfera è sempre stata, comunque, abbastanza rilassata».
Che cosa le chiedono i bambini negli incontri con le scuole?
«Non ho partecipato all’incontro della scorsa settimana a Milano, però posso dire che quando vado nelle scuole è bellissimo vedere la curiosità nei bambini e nelle bambine e la loro purezza. Chiedono, innanzitutto, molte cose tecniche, sul volo e sull’aereo, anche quando vengono nella cabina di pilotaggio, e sempre più bambine vengono invogliate anche dalle mamme a salirci sopra. Mai mi è capitato di ricevere domande “demotivanti”, anzi ho sempre riscontrato sempre grande entusiasmo».
Si sente una pioniera? O comunque sente di essere un modello?
«Devo dire onestamente di no, perché già quando ho iniziato ce n’erano altre assai più pioniere di me. Le cose stanno cambiando e non erano poi neanche così terribili quando ho iniziato io. Più che altro mi sento originale nella vita reale: quando mi chiedono che lavoro faccio e rispondo “pilota di linea” vedo che suscita sempre un certo effetto e un po’ di stupore».
Che cosa si augura in questo momento?
«Mi piacerebbe che aumentasse il numero delle donne in tutti i settori dell’aviazione. Oggi sono comandante, sono stata copilota: di copilota ce ne sono tante, di comandanti meno. Ma soprattutto spero che aumenti la presenza femminile soprattutto nell’ambito dell’addestramento, dove troviamo per il 99% solo uomini. Noi donne, soprattutto umanamente, potremmo fare molto in fase addestrativa».