Iglesias, Di Battista, Zuckerberg. I congedi di paternità sono per tutti?

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Per due volte, nel 2015 e alla fine del 2017, Mark Zuckerberg ha lasciato il lavoro per dedicasi ai figli, nuovi nati. Anche Alessandro Di Battista lo ha fatto: nel 2017 ha rinunciato a una rielezione alla Camera dei Deputati pressoché certa per dedicarsi al figlio, appena nato. Poche settimane fa Pablo Iglesias, leader del movimento Podemos e parlamentare spagnolo, ha iniziato il suo congedo di paternità e tornerà agli impegni istituzionali ad aprile.

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Senza avere voglia e strumenti per entrare nel privato dei casi, si tratta di scelte moderne, in perfetta sintonia con i tempi e con la narrativa pubblica. Scelte che ispirano, direbbe qualcuno.

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Emma Barnett

Di converso, per accennare all’altra parte del cielo, nel 2012 e nel 2015 Marissa Mayer, allora alla guida della vecchia Yahoo, aveva fatto scalpore per le sue due maternità misurate in una manciata di settimane. Prima di lei Rachida Dati, ministra del governo Sarkozy scelse un congedo di maternità di pochi giorni. Più recentemente Emma Barnett, giornalista e volto della Bbc, ha raccontato senza imbarazzi la noia e il disagio del suo congedo di maternità.

In Italia il 70% delle dimissioni volontarie in Italia sono presentate da neo mamme e solo due neo papà su dieci usufruiscono del congedo. Costume mediterraneo, retaggio di un antico patriarcato? Temo, più semplicemente, che i diritti civili siano sempre meno agibili se non sono sostenuti da disponibilità economica e potere pubblico. Se fosse come ipotizzo, il rischio sarebbe notevole: da una parte le libertà e quei pochi che se le possono permettere, dall’altra gli altri senza libertà, in uno Stato libero e moderno. Mancano politiche di inclusione, ma questo pare interessare davvero a pochi.