Il mio mondo inquadrato, foto di una hostess dal mondo

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Cinzia Rossi sta andando in auto a Roma per lavoro. La raggiungo la telefono per questa intervista. Mai viste, né sentite prima, ma la conterraneità aiuta lasintonia. Cinzia Rossi da 28 anni lavora come hostess per la compagnia di bandiera italiana, gira letteralmente per il mondo, imparando le regole non scritte che ti consentono di saper stare ovunque.

Da qualche anno una passione la accompagna nei suoi viaggi, quella della fotografia. Lo sguardo che rivolge ai luoghi  – ma soprattutto alle persone –  è nuovo. E non solo per la prospettiva dello scatto che avviene attraverso uno smartphone. Si posa sulle persone, su affreschi di vita quotidiana colti nella loro spontaneità e immediatezza, e per questo freschi, belli, pieni di calore umano e di semplicità. Cinzia Rossi impiega così il suo tempo tra un viaggio e l’altro, in giro durante le soste, tutte da godere lontano dagli stereotipi turistici, vicino alla vita vera. È il suo #tempoperme.

9deb4424-ec9c-426d-9c7c-fc53553d3190I suoi scatti sono diventati una mostra (ne sono stati esposti circa 90 su un patrimonio di più di 20mila) che si è tenuta nella terra natale, in Puglia, lo scorso autunno. Ma “Il mio mondo inquadrato” – questo il titolo dell’evento – è riuscito a varcare le soglie regionali, riscuotendo un notevole successo.

«È iniziato tutto quasi per caso, per gioco. E sono io per prima assai colpita e stupita della notevole visibilità che ha ricevuto il progetto, se consideriamo che sono un autodidatta. Il messaggio è questo ed è molto semplice: se ad una rapida occhiata il mondo sembra tutto diverso nei luoghi, nei contesti geografici, politici, religiosi, con uno sguardo più attento, capace di soffermarsi per cogliere qualche sfumatura in più, si fa presto a capire che siamo davvero tutti uguali. Come esseri umani ci muoviamo tutti nello stesso modo, facciamo le stesse cose, gli stessi errori, le stesse scelte. E ogni volta che scatto una foto, realizzo sempre più questa consapevolezza, ne sono sempre più convinta. Il titolo ha una doppia valenza: è il mondo “inquadrato” da uno smartphone e a portata di social network (@ilmiomondoinquadrato). Ma soprattutto sono contenta che chi vede le mie foto coglie davvero il senso di quello che volevo trasmettere».

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Come sceglie i soggetti?

«Non sono una fotografa professionista, né esco in giro con una macchina fotografica. Non programmo nulla. Quando sono in sosta e vado in giro, lo faccio da “cittadina”, non da “turista” perché voglio entrare in relazioni con le città, con la storia dei luoghi e ldella gente che vi abita. Prevalentemente scelgo persone, soprattutto laddove c’è meno libertà. Dalle donne col velo in Iran alle bambine vestite da geisha, educate a iniziare questo percorso, in Giappone, strappate così alla loro infanzia. Anche questo mi è sembrato un caso di limitazione della libertà, dove delle bambine sono costrette a seguire un percorso che non hanno scelto, né desiderato. In Iran, invece, mi era capitato di fotografare delle bambine col velo, mentre a me la pashmina, che è obbligatorio indossare, scivolava continuamente dalla testa: le piccole si avvicinarono perché volevano aiutarmi a sistemarla, ripetendo continuamente “Che cosa dirà la gente?”. Ed è stato allora che mi sono chiesta: “Quante volte lo pensiamo e lo diciamo anche noi?” Mi è sembrato di ritrovare, purtroppo, un certo Sud dei piccoli centri da cui provengo e che conosco abbastanza bene. Ecco, anche con le foto possiamo lanciare messaggi forti, imparando a riconoscere chi ci sta vicino».

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Che cosa le dà fare l’hostess?

«È stata la fortuna della mia vita. Ho partecipato ad una delle ultime selezioni per assunzioni perché accompagnai un’amica che non conosceva le lingue, mentre io le studiavo all’Università. Mi ha dato modo di conoscere e di vivere il mondo, per questo mi emoziono tanto quando scatto queste foto. E’ un lavoro faticoso, che ti richiede tanti sacrifici, ma non lo cambierei con nient’altro»

A chi dedica “Il mio mondo inquadrato”?

«A chi si impegna tutti i giorni, anche rischiando, a chi lavora per cambiare le cose nel piccolo del proprio quotidiano».

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