Ancora una volta l’Italia è al 118° posto su 149 Paesi nel mondo per partecipazione delle donne all’economia secondo il report annuale del World Economic Forum: abbondantemente ultima in Europa e tra i Paesi cosiddetti “avanzati”. Ma non è così grave. Abbiamo ancora la democrazia: possiamo migliorare. O no? Un recente articolo de la rivista Atlantic passa in rassegna le affinità tra i diversi “uomini forti” a capo di cinque Paesi nel mondo, trovandovi un evidente punto in comune: tutti stanno togliendo diritti alle donne. L’articolo si intitola infatti: “I nuovi autoritarismi hanno dichiarato guerra alle donne”.
Tra questi Paesi – Stati Uniti, Filippine, Ungheria, Polonia – c’è anche l’Italia. Il paragrafo su di noi, che comunque per partecipazione economica delle donne stiamo molto peggio degli altri quattro – è illuminante nella sua essenzialità:
Il vice primo ministro italiano Salvini nel 2016 ha paragonato l’allora presidente della Camera a una bambola gonfiabile. Un membro del governo ha proposto di perseguire le donne che accusano i mariti di violenza domestica se questi non risultano essere colpevoli.
Quando l’articolo è uscito non si sapeva ancora che, senza dare spazio e tempo a opinioni di alcun genere, questa finanziaria all’ultimo secondo ha privato le donne del diritto di partecipare a una decisione che le riguarda direttamente: se modificare o meno il congedo di maternità. La reazione? Debole. Si difende meglio il terzo settore – e meno male per loro e per tutti noi, che il terzo settore abbia una voce e la faccia sentire! Ma le donne? Garantire almeno due settimane di congedo prima del parto è un’indicazione che riguarda la salute ed è considerato obbligatorio da parte dell’Unione Europea. Molte hanno detto: è facoltativo, se non vuoi lavorare fino all’ultimo giorno non devi farlo.
Ma ci sono almeno due casi in cui questo non basta:
1) quando il tuo datore di lavoro ti chiede di restare fino all’ultimo, dandoti l’impressione di non poter scegliere, e una legge ti avrebbe protetta;
2) quando pensi di “poterlo fare”, e in buona fede ti impegni a farlo, e scopri solo dopo, quando è tardi, che questo ti ha affaticato troppo per poi affrontare il parto e la fatica delle settimane successive.
Si tratta di due pericoli concreti, che riguardano la salute e i diritti delle donne, non per niente sono temi monitorati a livello europeo. Eppure in Italia è andata così. Senza neanche bisogno di dire perché. Il congedo di paternità abbiamo avuto il tempo di salvarlo – si fa per dire: cinque giorni! – ma il congedo di maternità ci è passato sotto il naso.
Come se non ci riguardasse. Come se non ci fossimo. E in effetti no: non ci siamo. Non abbiamo potere economico, e di conseguenza non abbiamo potere politico.
Secondo l’autore dell’articolo dell’Atlantic c’è una precisa volontà di “restaurazione” in questi cinque Paesi, i cui leader raccolgono consenso e traggono forza dalla promessa di “abbassare il livello di minaccia rappresentato dalle donne”. Perché siamo tante, quindi se alzassimo la voce si sentirebbe. Perché votiamo, anche se non sappiamo bene per chi.
Non so dire se il giornalista abbia ragione: in quel che succede in Italia sul tema delle donne vedo noncuranza, disinteresse, approssimazione e ignoranza – con qualche estremismo restauratore di stampo religioso, ma che la società sembra ancora riuscire a contrastare. Siamo (ancora) senza bavaglio. Ma allora dov’è la nostra voce?