Inclusione sociale, sostenibilità ambientale, armonia con la natura: sono queste le basi su cui Agitu Ideo Gudeta ha fondato “La capra felice“, azienda di agricoltura biologica in Val di Gresta, in provincia di Trento. Partita con 15 capre di una razza in via di estinzione e un secondo lavoro con cui sostentarsi, oggi il suo gregge conta 180 capi. Grazie a loro produce formaggi biologici e cosmetici a base di latte caprino e presto espanderà l’azienda con delle stanze e una cucina dove ospitare viaggiatori e cuochi da tutto il mondo.
Quarantenne, nata ad Addis Abeba, Agitu approda in Italia otto anni fa. Non era la prima volta nel nostro Paese. In passato infatti la donna aveva passato qui un periodo di studi e in quell’occasione aveva visitato anche il Trentino Alto Adige che diventerà casa sua quando si troverà a scappare dall’Etiopia. É il 2010, su di lei grava un mandato di cattura ed è costretta a partire. Da allora Agitu non è più tornata in Africa. Di quel periodo ricorda: “i contrasti con il governo militare sono iniziati perché contestavo la pratica del land grabbing: avevano sottratto degli appezzamenti di terra importanti a favore delle multinazionali. Questa pratica ha un impatto forte sia sull’ambiente che sull’economia e la cultura locale”.
Già in Etiopia Agitu aveva avuto modo di entrare in contatto con gli animali che in seguito le avrebbero dato la possibilità di rifarsi una vita in Italia: le capre. Ad Alley Oop racconta: “La nonna materna le allevava e da lei ho imparato come interagire con loro, la conoscenza del prodotto e la sua qualità dato che anche in Etiopia facevamo il formaggio con la fermentazione acida”. Ma è dopo la laurea in sociologia che Agitu conosce a fondo il mondo dell’allevamento grazie a progetti di cooperazione e agricoltura sostenibile portati avanti con i pastori nomadi. “In Etiopia il problema era che non c’era abbastanza acqua ed erba per gli animali e bisognava fare lunghissimi giorni di spostamenti con il gregge. Qui – continua l’allevatrice – invece il problema è contrario: il bosco si è ripreso tutti i terreni che l’uomo ha abbandonato dopo il boom economico”. Nel dopoguerra infatti gli abitanti di alcune zone montane del Trentino si spostarono in cerca di lavoro nelle industrie, lasciarono le loro case e si trasferirono in città. All’inizio quindi per Agitu non è stato difficile trovare i terreni dove portare al pascolo il suo piccolo gregge.
Da sempre attenta alla questione ambientale, l’allevatrice sceglie una razza rustica locale in via d’estinzione: la capra pezzata mòchena. Un investimento che ben si adatta all’ambiente. Come spiega: “è una razza resistente, chiede poche risorse, bassa integrazione di cereali e riesce a vivere fuori la maggior parte dell’anno. Ciò che rende le capre ancora più sostenibili è che i piccoli ruminanti pascolano anche in zone dove le mucche non arrivano e fanno una bella pulizia del manto erboso. Calpestando il terreno, poi, aiutano ad ossigenarlo e a drenarlo”.
Le giornate iniziano presto a “La capra felice”. Ci sono da fare la mungitura e la caseificazione e poi ancora la vendita dei prodotti senza dimenticare la pulizia. Quando devi prenderti cura degli animali è difficile staccare perché “se la gente non viene da noi – confida – a volte si fatica a socializzare e ci si sente un po’ isolati. Questo può essere un limite ma è il lavoro che mi piace”.
C’è molto da fare in azienda ma in questo periodo Agitu non è sola. Ad aiutarla ci sono due ragazzi provenienti dal Mali. L’integrazione è un altro ideale che le sta a cuore e cerca di aiutare chi fatica a trovare lavoro, soprattutto rifugiati. “Lavorando con me mantengono la loro famiglia. C’è chi ha già fatto questo lavoro nel suo Paese di origine ed essere a contatto con la natura e gli animali li fa sentire un po’ come a casa. Poi entrano in contatto con la clientela, si mangia insieme. Sono tutti modi per recuperare la propria vita e per integrarsi”, dice Agitu che vuole dare testimonianza quotidiana di quello che per lei è l’inclusione sociale. “Si costruiscono relazioni perché è attraverso la conoscenza che si abbattono i muri”, sintetizza.
Fondamentale per lei è anche il senso di comunità, per questo motivo presto un altro tassello si aggiungerà alla creazione de “La capra felice”. Da una scuola materna abbandonata nascerà una struttura dedicata all’accoglienza. Del nuovo progetto racconta orgogliosamente: “L’ho acquistata dopo che due bandi erano andati deserti. L’obiettivo è fare al primo piano il caseificio e nella parte superiore delle camere. A giorni partirà il crowdfunding”. E ci anticipa: “faremo una grande cucina comune dove organizzare eventi con cuochi di diversi paesi che potranno cucinare i loro piatti tipici con i nostri prodotti”. Sarà come portare un pezzo di Africa nel cuore del Trentino Alto Adige perché, come dice Agitu: “Qui siamo abituati a vivere isolati ma noi africani viviamo in mezzo alla gente. È una questione di necessità avere persone intorno a noi”.