Abbiamo chiuso il 2017 con un lieve aumento dell’occupazione in Italia, come registra l’ultimo rapporto dell’Istat, ma se sommiamo i disoccupati e le forze di lavoro potenziali, le persone che vorrebbero lavorare ammontano a 6,4 milioni. Il risultato è leggermente positivo, ma è determinato da fattori non strutturali e legati a fatti contingenti. È stato determinante l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sul mercato del lavoro che contribuisce a spiegare la crescita del numero degli occupati ultracinquantenni, crescita che è indotta anche dall’allungamento dell’età pensionabile. Si registra anche un aumento dell’occupazione giovanile, ma se guardiamo alla condizione dei giovani in Italia c’è da preoccuparsi: ci sono sempre meno giovani e il fenomeno Neet (giovani che non studiano e non lavorano) è in aumento e riguarda 2,2 milioni di ragazzi.
Se si considera il complesso dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, uno su quattro si trova nella condizione di Neet, gli altri o sono ancora impegnati in attività di istruzione e formazione (il 46,1 per cento) o sono occupati (29,6 per cento). La condizione di Neet continua a essere più diffusa, oltre che tra le donne, nelle regioni meridionali e tra i giovani che vivono ancora nella famiglia d’origine. Se si guarda alla distribuzione per gruppi sociali dei giovani, si osserva tra i Neet una maggiore incidenza dei gruppi più svantaggiati, mentre ad esempio nei gruppi a maggior reddito si segnala una maggiore incidenza dei giovani ancora in istruzione.
Questo è il dato più scoraggiante, perché vuol dire che l’ascensore sociale non è più in grado di far salire i giovani che provengono da famiglie meno abbienti a un livello medio alto di istruzione e a un lavoro professionalizzante. Infatti, il 45% dei Neet appartiene ai gruppi sociali delle famiglie a basso reddito (sia con stranieri sia di soli italiani). Questi ragazzi difficilmente possono permettersi di investire in formazione per rendersi autonomi e si ritrovano costretti ad interrompere quel disegno di vita che normalmente hanno tracciato le generazioni precedenti: non possono affrancarsi dalla famiglia di origine e non possono costruire una propria famiglia. Anche il tasso di natalità in Italia sta scendendo ed è proprio la paura del futuro a ritardare o annullare questa scelta. Questi ragazzi sono talmente scoraggiati che non vanno neanche all’estero. Dagli ultimi dati Eurostat risulta che il 60% dei ragazzi disoccupati dice che non vorrebbe muoversi per trovare lavoro.
Ancora una volta le ragioni prevalenti di questo stallo risalgono in almeno 3 fattori. Innanzitutto le competenze che i ragazzi italiani imparano a scuola non sono allineate al mercato del lavoro e anche i percorsi di studio sono spesso lunghi e non incoraggiano lo sviluppo professionale. Un altro fattore è il dialogo tra le famiglie, scuola e impresa che spesso non funziona soprattutto nei casi di dispersione dei Neet. Infine il tema della formazione dovrebbe divenire un asso portante della politica economica, individuando in essa non un semplice ed episodico benefit ma una scelta strategica necessaria a risollevare il Paese: le opportunità di lavoro dovrebbero sempre coincidere con la volontà di mettere a frutto le proprie conoscenze.