Siamo arrivati alla 68 esima edizione del Festival di Sanremo e io da buon millenials non posso averle viste tutte, almeno non dal vivo. Perchè sì, approfittiamone per sfatare questo falso mito, i millenials non sono coloro nati dopo il 2000 bensì coloro nati fra i primi anni ottanta e i primi duemila, quindi io, Gianluca Gazzoli, che di anni ne ho 29 sono un millenial e soprattutto guardo il Festival di Sanremo.
Faccio outing anche se outing non è, l’ho confessato più volte anche pubblicamente quanto ami questo grande evento, cosa significhi per me e sopratutto è stato indescrivibile aver partecipato a quest’ultima edizione ai microfoni di RaiRadio2. Mi piace il Festival, con tutte le sue tradizioni e le sue contraddizioni, con i suoi passi avanti e con i suoi passi indietro. Il motivo del suo successo, ciò che lo mantiene vivo e al centro dell’attenzione ogni anno è probabilmente lo stesso motivo per cui viene sempre criticato, cioè il fatto di essere così “retrò”, tutt’altro che innovativo ma proprio per questo incredibilmente rassicurante.
Per una settimana, un piccolo comune della Liguria diventa il centro dell’Italia, tanto che mentre sei lì hai la sensazione che al mondo non stia accandendo altro, che anche in Papa Nuova Guinea stiano aspettando il momento per fare la ola a Beppe Vessicchio e allora finisce che non ti accorgi neanche dall’altra parte dell’oceano è stato lanciato un razzo che potrebbe cambiare la storia dell’umanità. Sanremo ogni anno viene invasa da migliaia di persone che aspettano di vedere non si sa chi di preciso. Sembra che l’importante sia soltanto esserci.
La scorsa edizione, ho passeggiato per le strade di Sanremo in quei giorni e ho firmato autografi a persone che non avevano la minima idea di chi fossi ma il solo fatto di avere un pass o un cappello strano autorizzava la richiesta. Durante il Festival di Sanremo non si dorme mai, la sera ci sono le feste oppure si finisce nei salotti degli hotel a chiacchierare con personaggi che fino ad allora sembravano distanti. A Sanremo si decidono le carriere ed è il punto di partenza dei progetti musicali dell’anno.
Ma la domanda che mi pongo in questi giorni è: siamo forse noi millennials l’ultimo baluardo giovane a guardare il Festival di Sanremo, cresciuti con il mito della kermesse, del palco dell’Ariston e della musica italiana? L’avvento dei social network ha palesemente dato nuova linfa vitale a questo spettacolo. La facilità di poter commentare, spettegolare e giudicare live e pubblicamente un evento del genere ha fatto gola a tantissimi italiani che in questi giorno invadono le home di qualsiasi social con i propri pareri.
Ma quanti giovani e questa volta parlo di quelli davvero giovani, ragazzi nati dopo il duemila della Generazione Z, sono realmente interessati a tutto questo. I giovani, quelli che non guardano più la televisione, quelli che ascoltano musica di tutto il mondo, quelli delle app, quelli della trap, quelli che guardano le serie tv e gli show di tutto il pianeta, lo guarderanno Sanremo? Quanto potrà durare ancora uno show che parla la stessa lingua da 68 edizioni in un mondo in cui solo negli ultimi 10 anni di lingue ne ha cambiate almeno 5?
Quando non ci saranno più i nostri nonni, i nostri genitori e neanche noi, i nostri figli guarderanno il Festival di Sanremo? Forse sì o almeno io lo spero perchè vorrebbe dire che una manifestazione così importante ha saputo adattarsi al tempo che cambia. Non basterà mettere i video su youtube, non basterà fare live tweeting o mettere gli hashtag e non basteranno gli “anziani” a salvare lo share. Servirà un ricambio generazionale, il contatto con la realtà, servirà rischiare, serviranno le idee, un ritmo nuovo e qualcuno che sappia parlare una nuova lingua.
Dico “servirà”, perchè adesso mi sembra vada tutto alla grande, o forse no.