Sibilla, Ovada, Mora, Imperia, Pantera, Polonia, Guendalina, Adelina, Rondine, Senape, Latina, Rapa, Trottola, Uendy, Zea. Le mucche di Roberta Colombero hanno un nome e lei le conosce una per una. Roberta, una delle poche margare rimaste in Italia.
Quando ha rilasciato l’intervista ad AlleyOop, Roberta Colombero non aveva ancora letto “La vita segreta delle mucche” di Rosamund Young (Garzanti, 2017), ma si riprometteva di farlo al più presto, visto che l’hobby della lettura è tra le poche attività che ben si concilia con la sua vita di allevatrice dai ritmi serrati.
L’affresco sulla vita dei bovini e della fattoria ci aiuta a presentare la storia di Roberta, piemontese di Savigliano, vicino Cuneo, figlia unica, porta avanti l’azienda agricola di famiglia – una tradizione che dura da tre generazioni – dove è cresciuta, confrontandosi con un mondo professionale spesso declinato al maschile. Ha completato degli stage in caseifici e allevamenti in Virginia, North Carolina e Arizona, oltre ad aver vinto nel 2016 un periodo di formazione in Gran Bretagna, messo in palio da Face Network, l’Associazione Europea dei caseifici, aziende agricole e artigianali. Roberta appartiene a quella generazione di giovani che ha deciso di riappropriarsi con consapevolezza di un percorso difficile, ma non per questo meno affascinante, avvicinandosi al mondo dell’agricoltura e dell’allevamento.
Quando ha deciso che avrebbe fatto questo lavoro?
«La mia è stata una decisione spontanea e nello stesso tempo di tradizione dei margari. Noi siamo per i tre mesi estivi in montagna, a circa 2100 metri, e per gli altri nove mesi riportiamo gli animali in pianura, a differenza degli allevatori che sono sempre fissi nelle pianure e nelle stalle. È un lavoro che si sta estinguendo, in particolare il nostro dei margari transumanti».
Mi racconti una tua giornata?
«Ora che siamo in inverno mi alzo alle 5.15 e faccio una colazione abbondante perché la giornata è lunga e faticosa. Alle 5.30 passo alla mungitura a mano, è la prima della giornata. Se ci sono dei vitelli, vengono liberati, e poi si procede alla pulizia dei box. Alle 8 bisogna far mangiare tutte le bovine con mangime e fieno con successiva rimozione del letame. La mattinata si conclude con il pranzo e il disbrigo di commissioni o questioni burocratiche. Alle 16 si procede nuovamente all’alimentazione delle bovine e alla rimozione del letame, e alle 18 si effettua la seconda mungitura della giornata. Infine, vengono riportati i vitellini all’interno. Questa è una giornata standard, ma naturalmente possono esserci imprevisti o impegni più gravosi come può essere un parto difficile o un taglio cesareo. D’inverno conferiamo il latte al Caseificio Osella; d’estate, invece, portiamo il bestiame in montagna che pascola libero e al mattino faccio il formaggio, come toma, burro, yogurt».
Come sta cambiando il settore dell’allevamento?
«Anche in questo settore, seppur lentamente, si sta verificando un ricambio generazionale che porta all’unione di vecchi saperi con l’innovazione, così come sta crescendo anche il numero di donne. Confesso, però, che non è facile far passare nuove idee o nuovi approcci quando si è giovani».
Quanto si guadagna a fare il tuo mestiere? Perché sceglierlo, nonostante la fatica e i sacrifici?
«Non saprei rispondere perché la mia scelta è stata dettata dalla passione e non da un calcolo economico. Da bambina sono sempre stata attratta dalla natura, dalla vita all’aria aperta e il mio sogno era quello di fare un lavoro che mi consentisse di mantenere questa libertà, così dopo il diploma in agraria sono rimasta nell’azienda di famiglia, a lavorare con i miei genitori. Sono cresciuta insieme agli animali e sto bene insieme a loro e sapere che loro stanno bene, mi gratifica. Per questo come azienda abbiamo aderito al programma strutturato di valutazione e miglioramento del benessere animale, conforme al disciplinare CrenBa (Centro di referenza nazionale per il benessere animale dell’istituto zoo profilattico di Lombardia ed Emilia Romagna, e Fattorie Osella è la prima azienda casearia in Italia ad averlo applicato, ndr). Bastano pochi accorgimenti, come, ad esempio, aumentare il numero di abbeveratoi o aerare bene le stalle. Le mucche, e gli animali in genere, hanno delle esigenze ed è giusto e doveroso rispettarle».