La violenza maschile contro le donne è un fenomeno molto vasto. Nonostante i passi in avanti tutt’altro che trascurabili di questi ultimi anni, i numeri sono ancora lontani da quelli che vorremmo leggere. Alcuni dati, analizzati anche nelle pagine che seguono, ci indicano che fortunatamente c’è una consapevolezza crescente e una migliore capacità delle donne di denunciare questi abusi, di combatterli. Con fatica, dei progressi si compiono. Grazie al lavoro svolto dalle istituzioni, dalle forze dell’ordine e dalle associazioni sul territorio. Grazie alla più forte coscienza di sé e dei propri diritti che le donne hanno. Eppure non basta, dobbiamo fare in modo che le cose continuino a cambiare.
Quando mi è stata affidata la responsabilità della delega alle pari opportunità, prima nel governo Renzi e poi nel governo Gentiloni, come primo atto ho chiesto a Lucia Annibali di collaborare con me, come mia consigliera giuridica. Lucia è stata vittima, come tutti sanno benissimo, dell’azione ignobile di due sicari inviati dall’ex fidanzato.
Penso che Lucia con la sua sensibilità umana ma anche la sua competenza giuridica possa meglio di altri far arrivare al Governo la voce delle vittime e collaborare ad individuare le soluzioni più giuste per loro.
Abbiamo iniziato il nostro lavoro con il Dipartimento Pari Opportunità, cercando innanzitutto di partire dai dati: solo conoscendo il problema si può tentare di risolverlo.
Per questo con il Governo dei “Mille Giorni” abbiamo finanziato un protocollo di intesa con l’Istat per costituire la prima Banca dati nazionale attraverso un progetto triennale; e poi con il Cnr abbiamo instaurato una collaborazione per acquisire valutazioni di impatto ed efficacia qualitativa degli interventi, anche ex post.
La “filosofia” che ispira il nostro cammino si basa sulle “tre P” di cui tante volte si è detto: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli. Un passo importante è stato compiuto, come è noto, con la ratifica a giugno del 2013 della “Convenzione di Istanbul”, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che propone un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. E quindi ecco la cosiddetta “legge sul femminicidio” approvata dal Parlamento quattro anni fa e la norma nel Jobs Act che prevede per le donne vittime di violenza il congedo retribuito per tre mesi; ecco la scelta del “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” adottato a luglio del 2015 e la “Cabina di regia interistituzionale contro la violenza sessuale e di genere” a settembre dell’anno dopo; ecco l’istituzione di un “Osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza”, per definire le migliori e più efficaci azioni e politiche di intervento, a cominciare dal funzionamento delle case rifugio e dei centri anti violenza, dei quali giustamente qui si parla in modo diffuso.
Mettere intorno allo stesso tavolo le diverse amministrazioni centrali coinvolte, le Regioni, i Comuni, le forze dell’ordine, i sindacati, il mondo dell’associazionismo e dei centri anti violenza ha consentito per la prima volta di lavorare in modo coordinato e di poter individuare strategie più efficaci. È stato un cambiamento radicale nel modo di affrontare il fenomeno. Del resto, gli stanziamenti dei governi Renzi e Gentiloni per il sostegno delle politiche in favore delle donne vittime di violenza sono stati costantemente aumentati, passando dai 10 milioni di euro annui (di cui alla legge 119/2013) ai circa 30 milioni di euro annui previsti dal 2018 anche grazie all’ultima legge di bilancio. Tra gli ultimi interventi adottati si rammentano l’avviso pubblico del luglio 2017 per il finanziamento, nella misura di 10 milioni di euro di progetti volti all’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza, nonché programmi rivolti agli uomini maltrattanti e il bando da 12 milioni di euro del 2016. Grazie anche alle risorse stanziate dal Governo il numero dei centri antiviolenza e delle case rifugio è cresciuto significativamente, passando da 340 nel 2013 a 501 nel 2016.
Lo scorso 7 settembre, abbiamo presentato il prossimo Piano triennale sulla violenza maschile contro le donne, frutto del lavoro condiviso negli ultimi mesi con Cabina di Regia e Osservatorio, che verrà ora sottoposto all’esame della Conferenza Unificata e, successivamente, adottato dal Consiglio dei Ministri.
Il Piano triennale del Governo punta sulla formazione di tutti gli agenti in causa, dalla magistratura alle forze dell’ordine, fino ovviamente agli operatori sanitari e sociali, ma anche sulle politiche attive per il reinserimento lavorativo e l’autonomia abitativa delle vittime. Soprattutto, il Piano pone al centro l’investimento sulle nuove generazioni, perché solo una vera e propria rivoluzione culturale può evitare che tutte le altre azioni risultino effimere.
Le famiglie, ma anche la scuola, giocano un ruolo fondamentale per diffondere sin da piccoli l’educazione alla parità di genere e al rispetto delle differenze, la lotta ad ogni forma di violenza. Per questo, con il Miur abbiamo finanziato progetti nelle scuole e in attuazione alla legge sulla “buona scuola” la Ministra Fedeli ha emanato il “Piano per l’educazione al rispetto”: un pacchetto d’iniziative che si compone delle linee guida nazionali per la promozione nelle scuole dell’educazione alla parità tra i sessi, della prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni e delle linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo nelle scuole.
Da ultimo, la Conferenza Stato-Regioni dovrà approvare le prime linee guida nazionali per le aziende sanitarie ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio sanitaria per le donne vittime di violenza, che abbiamo predisposto cercando di far tesoro delle migliori esperienze già diffuse a livello locale, seppure ancora troppo eterogenee sul territorio. Una donna che subisce violenza deve avere gli stessi diritti e le stesse opportunità, a prescindere dalla città in cui vive.
Ovviamente, il lavoro svolto contro la violenza sulle donne non deve farci dimenticare l’attenzione puntuale che il Governo ha riservato alle vittime della tratta che subiscono una forma specifica di violenza.
Il Governo ha varato nel 2016 il primo “Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento”, raddoppiando i fondi a supporto passati da 8 milioni di euro nel 2014 a circa 15 milioni nel 2015 e 2016, per arrivare ai 22,5 milioni del 2017.
Il Governo italiano ha poi organizzato durante la propria presidenza di turno del G7 la prima ministeriale dedicata alle pari opportunità che si è svolta a Taormina il 15 e il 16 novembre 2017.
L’Italia ha voluto rimarcare che solo una piena parità di diritti e opportunità tra uomini e donne può garantire un adeguato sviluppo economico, ma soprattutto la costruzione di una società più giusta.
La battaglia per i diritti delle donne, a cominciare dall’essenziale diritto alla propria integrità fisica e psicologica, a vivere senza paura e minacce, sarà ancora lunga, ma la possiamo vincere. Abbiamo tutti, quindi, dalle istituzioni al mondo dell’informazione, una sfida ambiziosa ma necessaria davanti a noi. Dobbiamo combattere gli stereotipi di genere e ogni forma di discriminazione, per scardinare i principi di un sistema che in troppi ambiti è ancora pensato da uomini per uomini, per sradicare i pilastri – marci, ma ancora troppo presenti – di una mentalità che si lega a storie di violenze di cui quasi quotidianamente, purtroppo, veniamo a conoscenza. Per riuscirci serve anche il coraggio delle donne che la violenza l’hanno subita e che di fronte ad essa non si sono piegate, non si sono arrese. Come Lucia Annibali e Gessica Notaro. Come Antonella e Valeria, che si raccontano nelle pagine conclusive di questo libro.
Abbiamo bisogno del coraggio delle donne, ma anche di quello degli uomini. La lotta contro la violenza sulle donne non è la “rivendicazione” di una parte, ma una battaglia di civiltà, di giustizia che deve vedere dalla stessa parte, con la medesima forza e determinazione, donne e uomini. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che tutte le energie e le risorse messe in campo per prevenire e contrastare la violenza sulle donne non rappresentano un costo per la società, ma un investimento che produce benessere collettivo. Riuscire a fare tutto questo, diffondere una cultura che valorizzi la differenza di genere, che sradichi una volta per tutte ogni forma di violenza sulle donne, che rimetta al giusto posto vittima e carnefice e non lasci dubbi su chi debba ricadere la “vergogna”, è davvero il modo migliore per dire “no alla violenza”. Ed è il migliore investimento sul futuro che la nostra società possa fare.
(prefazione dell’ebook #HoDettoNo, come fermare la violenza contro le donne, scaricabile all’indirizzo)