La Corte di appello di Genova ha disposto con ordinanza la trascrizione dell’adozione congiunta di un minore brasiliano da parte di due uomini, uno dei quali cittadino italiano. Il riconoscimento è avvenuto con l’aiuto dell’Avvocatura per i diritti LGBTI-Rete Lenford, che è intervenuta con l’avv. Susanna Lollini portando la questione davanti alla Corte affinché questa dichiarasse non contrario all’ordine pubblico il riconoscimento automatico della sentenza di adozione chiesto dai ricorrenti e, dunque, corretta la procedura amministrativa avviata presso il Comune. La Corte territoriale, con il parere favorevole della Procura generale, respingendo nel merito tutte le obiezioni dell’Avvocatura, costituitasi in giudizio per il Comune, ha ritenuto corretta e fondata la domanda della coppia di uomini, stante l’automatico riconoscimento della sentenza straniera che in questi casi è previsto dalla normativa di diritto internazionale privato (art. 64 L. n. 218/1995).
Secondo la presidente di Rete Lenford, Maria Grazia Sangalli, che esprime grande soddisfazione per il risultato raggiunto, “la decisione chiarisce come non vi sia nel nostro ordinamento alcun principio fondamentale che impedisca un’evoluzione in tal senso anche della normativa nazionale”.
Una sentenza storica insomma, ottenuta nell’ambito di un contesto giuridico, quello italiano, che non permette l’adozione alle coppie omosessuali e che pone le basi per un auspicabile cambiamento. Una sentenza che, come spesso accade, nasconde una storia che ho voluto conoscere incontrando chi l’ha vissuta in prima persona.
Ciò che mi colpisce subito di Marco (tutti i nomi di questa storia sono di pura fantasia per preservare la privacy della famiglia e, soprattutto, dei minori coinvolti) mentre chiacchieriamo su Skype è la sua età. Più o meno la stessa mia (una quarantina). Intendiamoci entrambi non siamo più ragazzi ma uomini adulti, professionisti e con una buona parte della propria vita alle spalle. Potrei esserci tranquillamente io al suo posto. Non che non ci abbia mai riflettuto, anzi, è un pensiero che ogni tanto fa capolino nella mia testa. Eppure la genitorialità mi è sempre sembrata lontana, “c’è tempo” mi sono detto. Ma quanto? Se avessi un figlio vorrei vederlo crescere ed essere in grado di affiancarlo nei momenti più importanti della sua vita, per più tempo possibile. Come tutti i genitori credo. C’è però un piccolo problema. Al di là del fatto che non ho un marito (né tantomeno un fidanzato a dire il vero… quindi siamo piuttosto lontani dall’obiettivo), in Italia, appunto, non è possibile per le coppie omosessuali adottare bambini. In Brasile invece sì. Tutte le coppie, etero od omosessuali (e a dire il vero anche i single), a seguito di un lungo percorso volto a verificarne l’idoneità, possono adottare figli biologicamente non propri. Per questo Marco, cittadino italo-brasiliano e Stefano cittadino brasiliano, hanno deciso di adottare Janet e Paolo che, ad oggi, hanno poco più di cinque e tre anni.
Tutto è cominciato nel 2013 quando i due papà, a seguito di un fortunato incontro con un magistrato del tribunale dei minori che li ha informati circa questa possibilità, hanno chiesto di essere ammessi nella lista dei genitori adottandi. “Eravamo in un periodo particolarmente felice e tranquillo” mi confida Marco con la sua voce profonda da baritono “sia dal punto di vista personale sia professionale e abbiamo deciso di compiere il primo passo di un lungo percorso di adozione”.
E’ stato un percorso complicato? In cosa consiste e quali sono i passaggi più delicati?
In Brasile ci sono moltissimi bambini in attesa di essere adottati anche perchè l’aborto è fuorilegge. Per farti un esempio a San Paolo una buona parte di questi bambini provengono da realtà come quella di “crackolandia”, il regno dei trafficanti di crack, dove, nella maggior parte dei casi, il padre è sconosciuto e le madri sono tossicodipendenti o in situazioni ben peggiori. In questo ambiente opera il Tribunale dei Minori che ha una competenza elevatissima e un ruolo molto attivo nelle adozioni. Attraverso un sistema specializzato di assistenti sociali e psicologi il Tribunale individua i bambini adottabili in quanto orfani, abbandonati o perché vittime di una situazione familiare insostenibile. Una volta verificata l’idoneità della coppia a compiere un percorso adottivo, le affidano il bambino o la bambina per un periodo di tempo determinato. A seguito di un complicato sistema di controlli, valutano poi se trasformare l’affidamento in adozione. Nel caso di Janet la giudice ci ha subito individuato e abbiamo avuto l’affidamento nel 2013 quando aveva 18 mesi. All’epoca nostra figlia si trovava in una situazione giuridica non definita in quanto non era orfana e l’affido si è trasformato in adozione soltanto da poco, nel 2017 all’età di quattro anni e mezzo.
L’affidamento è stato immediato o avete dovuto fare incontri di approfondimento?
Ovviamente l’avvicinamento è stato graduale, ma l’affidamento è stato molto veloce. I giudici, se vedono una situazione familiare solida ed equilibrata, tendono a fare rimanere i bambini negli istituti il minor tempo possibile. Le condizioni sono spesso al limite. Per esempio Janet a diciotto mesi stava in una struttura con bambini di tutte le età, soprattutto adolescenti. Quando l’abbiamo conosciuta aveva un’infezione polmonare piuttosto seria in corso e beveva regolarmente caffè e coca cola. Una situazione che farebbe rizzare i capelli in testa anche al meno apprensivo dei genitori. Con il nostro secondo figlio, Paolo, è stato un po’ più semplice. Ci è stato affidato il giorno del suo primo compleanno e la sentenza di adozione è arrivata molto più velocemente. Per questo siamo riusciti a far trascrivere in Italia la sua adozione prima di quella di Janet.
Quindi un percorso in tutto e per tutto uguale a quello di qualsiasi altra coppia, in un momento di calma e stabilità avete deciso di allargare la vostra famiglia, di costruirne un altro pezzo. Come coppia omosessuale avete trovato particolari ostacoli?
Direi di no. All’inizio devo ammettere che noi stessi avevamo qualche dubbio ma la giudice che ci ha seguito, una donna molto competente con alle spalle una carriera coi fiocchi, di fronte alle nostra perplessità ci ha rassicurato dicendoci che i bambini hanno bisogno di due cose durante la loro crescita: amore e regole. Se una famiglia riesce a creare un ambiente retto dall’equilibrio di questi due elementi non potrà che essere una buona famiglia.
Quindi il Tribunale dei minori era dalla vostra parte? Nessun dubbio sulla capacità genitoriale di una coppia omosessuale?
Il Tribunale dei minori è stata dalla parte della nostra famiglia. Non hanno mai sollevato dubbi di genere. Anzi la giudice che ci ha seguito ha voluto darci un conforto in più confidandoci quelli che, a suo parere, sono i pregi che una coppia omosessuale può avere in ambito adottivo. Il primo deriva dal fatto che spesso per una coppia eterosessuale l’adozione è una scelta che deriva da una impossibilità di procreare. Per questo è una scelta che nasce da una sorta di “lutto” che la coppia deve superare per andare oltre. Questo comporta, almeno inizialmente, insicurezze che, in genere, le coppie omosessuali non hanno. Voi – ci disse – partite da una situazione differente, c’è sempre fin dal principio un entusiasmo contagioso. La seconda ragione, altrettanto importante, deriva dalle situazioni da cui provengono questi bambini. Spesso vivono in contesti di estrema emarginazione e discriminazione e, non da ultimo, hanno un’etnia diversa dai genitori. Essere adottati da una coppia omosessuale significa entrare a contatto con persone che sanno cosa significhi essere discriminati, che hanno compiuto un percorso difficile di accettazione e sono aperti alla diversità. Elemento fondamentale per ragazzi che hanno una forte possibilità di sviluppare problemi di autostima. Da ultimo la giudice ci ha confessato che qualche volta accade di trovarsi di fronte a genitori che cercano figli molto piccoli così da inserirli all’interno delle proprie famiglie come propri e non adottati. Queste situazioni sono molto dannose soprattutto quando la verità viene allo scoperto. Nel caso di coppie omosessuali, perlomeno queste tre preoccupazioni non ci sono.
Tre ragioni piuttosto importanti direi. Ma la differenza nella composizione familiare resta un dato di fatto, avete già parlato con i vostri figli della loro situazione?
Con Paolo evidentemente no ma Janet ci ha già sottoposto a un paio test, anche perché è influenzata dalle domande dei suoi coetanei. Noi abbiamo colto l’opportunità per dire la verità: lei ha due papà che le vogliono bene e una mamma che le vuole altrettanto bene ma ha dei problemi di salute che le hanno impedito di tenerla con sé, per cui ha chiesto il nostro aiuto.
Quindi nessuna domanda sul numero dei papà? E da parte vostra nessun dubbio che possano intervenire momenti difficili?
Devo dire di no, per ora almeno. I più bei momenti della nostra nuova vita, le emozioni più forti sono state quando i nostri figli ci hanno riconosciuto come genitori. Si avvicinano a te, ti prendono a la mano, vogliono dormirti accanto Senti che hai costruito un vincolo e sei diventato il loro punto di riferimento. Marco sorride perché nel frattempo, manco a farlo apposta, Janet irrompe sulla scena con un bel cane marrone dal pelo lucido, questo lo ha adottato lei al parco sussurra sorridendo. Per quanto riguarda eventuali problematiche esterne, è negli occhi degli adulti la differenza. I bambini non la notano, magari fanno qualche domanda ma, in ogni caso, non gli danno importanza. Quando li vediamo giocare e divertirsi con i loro compagni senza che nessuno li discrimini non puoi che sentirti sereno.
E le vostre famiglie come l’hanno presa?
C’è stata perplessità in un primo momento. Già il coming-out e il matrimonio con Stefano non sono stati passi per nulla semplici. L’adozione, in un primo momento, ha portato inevitabilmente con sé ulteriori dubbi. Ma i nostri figli, la loro educazione, la loro felicità sono state contagiose e hanno fatto da collante. I nonni, da entrambe le parti, adorano i loro nipoti.
Dopo il riconoscimento della Corte di appello di Genova nei confronti di Paolo, il prossimo passo sarà la trascrizione dell’adozione di Janet. Pensate che ci saranno problemi?
Quando nel 2016 abbiamo chiesto il riconoscimento della sentenza di adozione di Paolo, l’Ufficiale di Stato civile del nostro ultimo comune di residenza in Italia aveva opposto un rifiuto, sostenendo che la questione dovesse passare al vaglio del Tribunale per i minorenni. Per fortuna la Corte di Appello di Genova ci ha dato ragione. Ora non resta che chiedere il riconoscimento anche della sentenza di Janet così che possano finalmente essere fratello e sorella anche per lo Stato italiano. Sono molto legati, Paolo ha un’ammirazione infinita per Janet e i loro comportamenti, finanche le mimiche facciali, sono talmente simili che in molti ci chiedono se sono effettivamente fratelli. Questo riconoscimento è per noi fondamentale anche perché vorremmo che, un domani, possano contare l’uno sull’altro anche dal punto di vista giuridico.
Ancora una volta, insomma, i giudici si sono dimostrati più avanti del legislatore e non potranno che essere uno sprone per un cambiamento radicale del nostro ordinamento. E’ ciò che auspica Rete Lendford che proprio l’1 Dicembre ha organizzato un convegno per fare il punto della situazione sui diritti in occasione dei suoi primi 10 di attività. Tanti i temi, dalla proposta di legge per contrastare l’omofobia e la transfobia al riconoscimento, appunto, delle adozioni. Numerosi anche gli interventi previsti, Lyas Laamari de Il Grande Colibrì, Camilla Vivian del blog Miofiglioinrosa, Claudio Rossi Marcelli giornalista, Ivan Cotroneo regista produttore e scrittore, Diego Passoni conduttore RadioDeejay, che racconteranno di quanto le recenti conquiste del diritto abbiano inciso sulla loro esistenza e su quella delle loro famiglie.
Non resta che incrociare le dita.