Blu ride, rosso piange: la mappa del benessere delle donne

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Di quali ingredienti è fatta la ricetta del benessere di una donna? Ci vogliono una buona dose di parità di diritto – cioè nelle leggi che regolano la vita di un Paese – e una quantità ancora superiore di parità di fatto. Ci vuole senso di sicurezza, tanto per le strade del mondo quanto fra le mura domestiche. Ci vogliono disponibilità finanziarie, accesso all’istruzione. Ci vuole un lavoro. Secondo gli esperti dell’Institute for women, peace and security dell’Università di Georgetown, Washington, per il benessere di una donna ci vogliono undici ingredienti. Come ce la caviamo con la ricetta della felicità, qui in Italia?

L’indice elaborato dall’ateneo americano ci vede al 32esimo posto nel mondo su 153 Paesi monitorati. La buona notizia è che siamo nella Top 50; la cattiva è che ci battono in parecchi, compresi Paesi insospettabili come la Serbia (24esima), la Polonia (28esima), la Slovenia (addirittura quarta) e Singapore (al decimo posto). Dove siamo carenti? Sul fronte dell’occupazione femminile, soprattutto: la distanza fra il numero di donne e quello degli uomini nel mondo del lavoro ha fatto sì che al nostro Paese venisse affibbiato il semaforo rosso. Nel punteggio dell’indice l’Italia ha anche un semaforo giallo, alla voce sicurezza, non tanto in casa quanto tra la comunità. Al contrario, gli esperti della Georgetown ci reputano adeguati sul fronte della legislazione, dell’istruzione e delle disponibilità finanziarie appannaggio delle donne.

Chi è che fa meglio di noi? Al primo posto, ancora una volta per quanto riguarda le classifiche al femminile c’è l’Islanda, in testa anche nell’ultima edizione del Global Gender Gap Index. Dieci semafori verdi su 11: l’unico giallo è andato alla violenza fra le mura domestiche, alla quale non scappa nemmeno l’avanzatissima isola dei ghiacci. Seguono i “soliti” scandinavi ma al quarto posto ci sorprende la Slovenia, così come al quinto scopriamo la Spagna. Cosa ha Madrid, che non abbiamo noi in Italia? Non tanto la parità occupazionale, per la quale la Spagna è parimenti deficitaria, quanto piuttosto un grado più elevato di sicurezza. Le donne spagnole non hanno paura, quando camminano per strada, nè di venire molestate né di essere schernite.

Anche la Germania, nella classifica della qualità della vita al femminile, è messa meglio di noi. Eppure, gli esperti le imputato un tasso di discriminazione legale superiore al nostro: le leggi sulla parità, a quanto pare, a Berlino sono meno incisive che in Italia. In compenso, però, le tedesche sono meno penalizzate dei colleghi uomini nel mondo del lavoro, ed è per questo che loro sono dodicesime, mentre noi solo al 32esimo posto. Gli Stati Uniti, 22esimi, ci battono sul fronte occupazionale, ma rispetto alla Germania scontano un livello molto alto di violenza fra le mura domestiche: secondo gli ultimi dati forniti da Washington il senso di sicurezza in famiglia è una chimera per una donna americana su tre.

In fondo all’Indice del benessere femminile – c’era da aspettarselo – ci sono soprattutto i Paesi colpiti dalle guerre, quelli musulmani, quelli poveri dell’Africa nera. Paesi come la Siria (all’ultimo posto), l’Afghanistan, il Pakistan, l’Iraq, il Sudan, il Camerun, il Chad. Ma attenzione a generalizzare troppo: una realtà come gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, si piazza al 42esimo posto, più in alto dell’Ungheria che è un membro della Ue o della Russia, dove il passato regime comunista ha fatto piazza pulita delle leggi discriminatorie nei confronti delle donne. Dubai non è l’Arabia Saudita (99esima) e nemmeno la Tunisia (93esima) o l’Egitto (addirittura 138esimo): merito della ricchezza diffusa, della quale partecipano anche le donne, così come dell’accesso all’istruzione.