Ora che abbiamo detto addio ai tradizionali colloqui di lavoro, possiamo dire addio anche alle modalità tradizionali per cercare lavoro. Nell’era della “gig economy” (l’economia dei lavori su richiesta, svolti in autonomia e a breve termine) si diffonde sempre più il modello economico dove non esistono più le prestazioni lavorative continuative, come il contratto a tempo indeterminato, ma si lavora solo quando c’è richiesta per i propri servizi, prodotti o competenze. In questo modello i lavoratori possono essere freelance, professionisti o studenti, che per sbarcare il lunario si prestano ad attività occasionali. E’ previsto un pagamento per l’attività svolta che di solito viene effettuato tramite una piattaforma digitale che unisce domanda ed offerta. L’economia dei lavoretti non è nulla di nuovo, la potenza del digitale ha solo accelerato l’incontro tra clienti e servizi offerti.
Le modalità di ricerca lavoro stanno quindi cambiando. Si moltiplicano le piattaforme digitali dove si può cercare lavoro a seconda della tipologia di competenze. Se sei un esperto di lavori domestici puoi iscriverti su TaskRabbit, se sei appassionato di lavori fatti a mano puoi venderli su Etsi, se hai competenze nella comunicazione, traduzioni, risorse umane, puoi offrire i tuoi servizi su Fivver e infine se sei uno studente universitario puoi arrotondare su TaskHunter con una miriade di attività da scegliere. Per alcune tipologie di lavori è richiesta la presenza fisica e quindi il criterio di vicinanza è determinate nel matching tra domanda e offerta ma altri lavori possono essere svolti da qualsiasi parte del mondo, allargando così le opportunità.
Anche i social sono uno strumento molto potente per trovare lavoro. Facebook ha lanciato negli Stati Uniti e Canada “Facebook Jobs”, uno strumento che consente a chi usa il social di creare annunci di lavoro e di candidarsi direttamente attraverso il tasto “Apply now”.
Vittoria, una diciannovenne che studia in NABA a Milano, ha trovato un lavoretto su Instagram: “Ho iniziato ad assistere un’emergente stylist/influencer milanese la quale non solo mi ha fatto assaggiare il mondo della moda ma ha dato il via ad altre opportunità, esperienze e contatti. Per quanto mi riguarda, essendo tutti lavori molto pratici, le soddisfazioni sono molte, i risultati arrivano presto e si è sempre circondati da persone eclettiche. D’altra parte, sono spesso lavori non pagati, ma essendo la competizione altissima e i canoni di scelta troppo ristretti si impara a prendere quel che arriva, senza pianificare. Viviamo nel 2017, detto anche “duemila e credici”.
La gig economy ha le sue luci e ombre. Ha il pregio di avvicinare al mondo del lavoro in maniera flessibile, di poter scegliere le mansioni più consone, di lavorare spesso in totale autonomia, di avere una ricompensa, di essere meritocratica perché ogni prestazione riceve una valutazione da chi l’ha acquistata, di poter interrompere quando si vuole. Le piattaforme digitali aiutano anche ad essere più efficienti nell’abbinare domanda/offerta e gli algoritmi di selezione aiutano a trovare velocemente un candidato in linea con la posizione ricercata.
I lavori “non-standard” stanno aumentando nel mondo e nei 29 paesi OECD sono arrivati a rappresentare il 33% dei lavori che comprendono: lavori temporanei, part-time e autonomi. In Italia raggiungono il 40% e sono in crescita rispetto ai classici lavori subordinati e a tempo indeterminato.
Le perplessità su questa nuova economia sono tante. Innanzitutto non sembra essere una scelta consapevole da parte delle persone ma derivata dal fatto di non trovare un lavoro stabile. Non può portare ad una stabilità perché i compensi medi non raggiungono un salario costante. Ci sono anche importanti riflessioni sulla sicurezza sul lavoro e tutti gli aspetti normativi che sembrano essere trascurati. Tutto questo con il grossissimo rischio di portare verso il basso un mercato del lavoro già in crisi.