Svetta in cima alla classifica la Norvegia, seguita da altri Paesi dell’Europa del Nord. Ultima, fanalino di coda, è la Repubblica Centrafricana. Stiamo parlando dell’indice di We World 2017 che misura, ormai da tre edizioni, il grado di inclusione di donne, bambine e bambini. E il nostro Paese? L’Italia si piazza al ventunesimo posto della classifica su 170 Paesi, indietro di tre posizioni rispetto ai risultati precedenti. Il punteggio è però invariato a 66; la retrocessione è cioè dovuta non tanto a un peggioramento ma al progresso di altre realtà, oltre a un numero maggiore di Paesi considerati. In Italia sono migliorati alcuni fattori: ad esempio, ci sono timidi segnali di miglioramento per il gender gap che misura il grado di pari opportunità delle donne. Anche se, per le donne, restano forti differenze di salario e e si avverte la mancanza di politiche a sostegno della maternità. Altri aspetti, come sicurezza di bambine e bambini, sono peggiorati. La causa è da rinvenire nei recenti eventi catastrofici, tipo i terremoti, per i quali non si è avuta adeguata prevenzione. Eventi che minano soprattutto la popolazione più giovane e più vulnerabile. Inoltre pesa, soprattutto su bambini e adolescenti, la crisi economica che ha tagliato le opportunità di larghe fasce della popolazione più giovane. Basti pensare che oggi i NEET, cioè i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, sono il 31,1% contro una media Ue, nella fascia 20-24 anni, del 17,3 per cento. We World, il cui indice 2017 (riferito al 2016) viene presentato il 3 maggio in Senato, è una onlus che promuove i diritti dei bambini e delle donne in Italia e nel mondo.
UN’EUROPA A VARIE VELOCITA’
I Paesi europei sono quelli in cui l’inclusione di bambine, bambini, adolescenti e donne è migliore. Tuttavia mentre nei Paesi ai primi posti nel WeWorld Index 2017 (Norvegia, Islanda, Svezia, Finlandia e Lussemburgo), l’inclusione di bambine e bambini va di pari passo con l’inclusione delle donne, nell’Europa Occidentale ed ancor di più in quella Orientale questo non accade. In diversi Paesi (come Francia, Spagna, Italia, ma anche Germania) non migliora l’inclusione delle donne; peggiora quella di bambine, bambini e adolescenti. Ciò può essere rivelatore di una disattenzione verso l’infanzia e l’adolescenza, due fasce d’età colpite dalla crisi economica anche di più della popolazione adulta. La questione dell’inclusione dei giovani europei (autoctoni e non) si profila dunque all’orizzonte come la sfida più rilevante per i paesi europei nei prossimi anni. In particolare per l’Italia e la Spagna.
IN ITALIA BAMBINI MENO SICURI E CON MENO OPPORTUNITA’
Guardando nel dettaglio la situazione del nostro Paese, si nota che alcuni indicatori mostrano segni di miglioramento, altri rivelano invece un progressivo deterioramento. Tra le note positive, la popolazione con accesso a internet è aumentata (dal 58,46% del 2015 al 65,57% del 2017), e vi è stato un timido avanzamento nel gender gap Index, che misura il grado di pari opportunità tra uomini e donne. Tuttavia è regredita la posizione italiana tanto nel Global Peace Index quanto nell’indicatore relativo al numero di persone colpite da disastri tecnologici e naturali. Il contesto in cui vivono bambini, bambine, adolescenti e donne è cioè meno sicuro. E i soggetti più a rischio sono proprio i più vulnerabili, donne e popolazione under 18. Si pensi ad esempio alle conseguenze del terremoto su bambine e bambini, in particolare rispetto al progetto educativo, interrotto e poi ripreso, spesso in località lontane da quella di residenza. In generale il sisma ha evidenziato come l’Italia manchi ancora di una strategia nazionale di resilienza alle emergenze, non solo nel caso di terremoti, ma verso le ancor più frequenti alluvioni. Ma gli aspetti negativi non finiscono qui.
L’Italia registra un leggero scadimento nelle dimensioni relative a educazione, violenza sui minori, capitale umano e maggiore per il capitale economico. Le conseguenze della povertà economica ed educativa sono ben visibili: la dispersione scolastica in Italia si attesta al 15% (contro una media europea del 10%) e con picchi importanti in alcune regioni (intorno al 24% in Sicilia e Sardegna, al 17% in Campania e Puglia, per citarne alcune). Infine, in relazione al livello di inclusione delle donne, non vi sono stati cambiamenti di rilievo. Rimane invariata la dimensione relativa alla salute e migliora quella della partecipazione politica (nel WeWorld Index 2017 le donne occupano il 43,80% delle posizioni ministeriali contro il 30% nel WeWorld Index 2015). Le donne restano tuttavia sempre penalizzate quando entrano nel mercato del lavoro. La dimensione relativa alle opportunità economiche, nonostante il lieve miglioramento del reddito delle donne rispetto a quello degli uomini dal WeWorld Index 2015 al WeWorld Index 2017, mostra il permanere di forti differenze di genere. Le donne sono occupate in lavori più precari, meno retribuiti, con contratti di lavoro part-time, e ricoprono meno frequentemente degli uomini posizioni apicali. La maternità incide in misura notevole sull’inclusione delle donne nel mercato del lavoro e l’assenza di politiche a sostegno delle madri lavoratrici ostacola il raggiungimento della parità di genere.
DOVE AGIRE IN FUTURO
Tirando le somme, l’Africa Sub-Sahariana e l’Asia Meridionale continuano ad essere le aree geografiche più critiche per l’inclusione di bambine, bambini, adolescenti e donne. In Medio Oriente e America Latina sarebbe necessario affermare pari diritti alle donne rispetto agli uomini nella vita economica, sociale e politica, condannando in particolare la violenza di genere. Ma c’è molto da fare anche nei Paesi più sviluppati, dove bisogna agire per assicurare l’inclusione sociale dei giovani e dove, “benché siano garantiti i diritti fondamentali in ambito educativo sociale, politico e sanitario – conclude We World – un’effettiva parità tra uomini e donne è ancora lontana. In tali Paesi, tra cui l’Italia, sono necessari interventi puntuali sul piano della parità salariale, della prevenzione e del contrasto alla violenza maschile sulle donne, per l’accesso delle donne alla vita politica“.