Sono una freelance e per questo motivo non smetto mai di guardarmi attorno per nuovi lavori e collaborazioni. Spesso non mi sono candidata per una posizione aperta perché non mi reputavo all’altezza. Quando anni fa ho iniziato a lavorare, per lungo tempo ho pensato che i selezionatori si fossero sbagliati: avrebbero dovuto scegliere qualcuno più bravo di me. E temevo che prima o poi si sarebbero accorti dell’errore. È stato tempo dopo che ho scoperto che questi pensieri hanno un nome: è la “Sindrome dell’impostore“.
Non è un concetto nuovo. Il termine è stato coniato nel 1978 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes. Le loro ricerche si erano concentrate su donne di successo che tendevano a sminuirsi, a credere di non essere abbastanza intelligenti e pensare che gli altri sopravvalutassero le loro capacità. In modo esteso il termine definisce una condizione psicologica per cui si è incapaci di interiorizzare i successi personali, contraddistinta dalla paura di essere considerati degli “impostori” ed essere scoperti come tali. Spesso chi soffre di questa sindrome attribuisce la propria realizzazione personale alla fortuna piuttosto che al lavoro o alle capacità.
Vi riconoscete in questa descrizione? Benvenuti nel club, ragazzi.
La “Sindrome dell’impostore” tra i Millennials è stata oggetto di studio dei coach di Amazing If, agenzia per il lavoro guidata da due giovani imprenditrici di base a Londra. È emerso che quattro milioni di giovani nel Regno Unito ne soffrono in modo persistente sul posto di lavoro; uomini e donne in ugual modo. Mentre 12 milioni di Millennials hanno ammesso di soffrire di inadeguatezze in vario modo: il 52 per cento degli intervistati ha riferito del timore di “essere scoperto” come incapace. Due su cinque hanno paura di parlare in pubblico. Il 40 per cento delle donne ha detto di sentirsi intimidita di fronte a persone di alto livello, contro il 22 degli uomini. Mentre poco meno dei due terzi del campione sente che la propria mancanza di fiducia ha avuto un effetto negativo sulla sua carriera.
“Queste paure non sono una sorpresa, ognuno di noi ha qualche mancanza di fiducia, anche i più anziani. Ma questa generazione inizia a farsi strada tra le posizioni di vertice, ed è davvero importante che queste paure non li trattengano, sia per le loro carriere che per il mondo aziendale nel suo complesso” commenta Sarah Ellis, cofondatrice di Amazing If, all’Indipendent.
A cosa è dovuto questo senso di inadeguatezza? Siamo la prima generazione cresciuta con i social media e il confronto con gli altri è a portata di clic. Basta aprire la newsfeed di Facebook per vedere le vacanze da urlo degli amici o guardare su Linkedin gli avanzamenti di carriera degli altri. E noi finiamo per sentirci sempre un passo indietro. Inoltre siamo entrati nel mondo del lavoro in un momento di innovazione tecnologica rapidissima e ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da imparare, una novità da conoscere per essere competitivi. Anche questo ci fa sentire inadeguati, come se non avessimo mai a sufficienza l’esperienza necessaria. La recessione globale ha contribuito a rendere tutto più instabile. Compresi i nostri pensieri. La crisi ha coinciso per molti con il periodo degli studi o dell’entrata nel mondo del lavoro. Abbiamo dovuto adattarci ad un nuovo equilibrio. Il lavoro come lo conoscevano i nostri genitori non esiste più. C’è chi ha studiato e non ha avuto la possibilità di mettere in pratica ciò che aveva imparato e si è reinventato.
Forse non siamo in grado di riconoscere qualcosa di buono perché, semplicemente, non cisiamo abituati?