La scuola che vorrei? Quella dove ogni bambino è valorizzato nella sua diversità

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Chi di noi non ha mai fantasticato su come dovrebbe essere la scuola ideale? Probabilmente lo abbiamo fatto da ragazzi, quando sedevamo tra i banchi di scuola, ma sicuramente ci troviamo in tanti oggi da genitori a desiderare per i nostri figli una scuola che sia davvero a misura di bambino, di tutti i bambini. E ancora di più se i nostri figli sono arrivati attraverso l’adozione, avendo già un vissuto partito in salita.

Qual è la scuola che vorremmo? Il convegno “La scuola che vorrei”, sabato 18 marzo a Roma, all’Itis Galilei, ha provato a dare delle risposte. L’evento è stato organizzato dal Care (Coordinamento delle Associazioni Familiari Adottive e Affidatarie in Rete che riunisce 33 associazioni familiari, adottive, affidatarie presenti sul territorio nazionale) in collaborazione con il ministero dell’Istruzione e rappresenta l’ultimo tassello di un progetto finanziato proprio dal Miu che ha visto impegnate 11 associazioni all’interno del Care su tutto il territorio nazionale, per un totale di 13 città italiane. La sala piena, con una partecipazione particolarmente nutrita di insegnanti, è stato il segno tangibile del forte desiderio anche da parte di tanti docenti di costruire una scuola davvero accogliente e inclusiva.

L’età media dei bambini che arrivano in adozione internazionale in Italia è di 5,5 anni. Questo significa che le famiglie neoformate devono fare i conti con la scuola fin da subito, spesso senza avere il tempo di costruire un legame e di conoscere il proprio figlio. Ci vuole una grande sensibilità e preparazione da parte di istituzioni e insegnanti per mettersi in ascolto delle esigenze di questi bambini, che si ritrovano catapultati tra i banchi di scuola mentre contemporaneamente affrontano cambiamenti radicali (di vita, di Paese, quando arrivano con adozione internazionale, di cultura, di lingua) senza avere punti di riferimento stabili.

Ma le criticità non riguardano solo il periodo dell’inserimento scolastico. Spesso questi bambini hanno un vissuto complesso, caratterizzato non solo dall’interruzione dei legami con le figure di riferimento (genitori, fratelli, parenti e caregivers in generale), ma spesso anche da traumi, violenze o abusi. Questi vissuti non possono non avere ripercussioni sia sulla capacità di concentrazione e apprendimento, sia sul comportamento, soprattutto in un’età critica come quella adolescenziale. Tra l’altro questo questo tipo di esperienze possono essere presenti anche in studenti non adottati ma che vivono quotidianamente situazioni di disagio all’interno della propria famiglia di origine.

La stesura delle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni adottati, siglate nel 2014, rappresentano una tappa importante nel cammino verso l’inclusione dei nostri figli nel tessuto scolastico, ma la strada è ancora lunga. Il progetto “La scuola che vorrei”, da maggio 2016 fino a oggi, ha cercato concretamente di diffondere una cultura dell’accoglienza che si attui attraverso buone prassi e la costruzione di un dialogo fecondo tra scuola e famiglia, dove le differenze siano valorizzate come risorse. Il progetto si è articolato in seminari con docenti e genitori di tutta Italia, nel concorso fotografico “Ritratti di famiglie accoglienti” promosso tra le scuole secondarie di secondo grado (la foto vincitrice è stata scelta per la locandina del convegno) e nella realizzazione del video “La camera del racconto: scuola, famiglia e futuro,” per la regia di Alessandro Ingaria, che ha dato voce e corpo ai pensieri e alle emozioni di alcuni giovani adolescenti adottati.

Durante il convegno ampio spazio è stato dato proprio alla presentazione del progetto “La scuola che vorrei”, raccontato nel dettaglio da Valentina Colonna, presidente di Mama Happy e consigliere del Coordinamento Care. Entrando nel dettaglio la complessità psicolinguistica del bambino con adozione internazionale e le dinamiche psicologiche ed emozionali alla base dell’apprendimento, sono stati i temi toccati dall’intervento del dottor Egidio Freddi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha osservato come l’acquisizione rapida della lingua è fondamentale per una futura integrazione di successo ma porta con sé aspetti identitari, affettivi, relazionali, fino a disturbi veri e propri, che sconfinano nella perturbazione del linguaggio, della relazione e dell’apprendimento. Un approfondimento sulle modalità di funzionamento delle emozioni nel nostro cervello e sulle risposte attuate dagli individui agli stimoli esterni aiutando i presenti a capire come i modelli di attaccamento della prima infanzia influiscano sullo sviluppo emotivo e cognitivo della persona è stato il fulcro dell’intervento della dottoressa Giada Lauretti, neuropsichiatra infantile del Centro Clinico FeelSafe.

Il convegno è stata anche l’occasione per tirare le fila del lavoro fatto fin qui dalle associazioni di genitori per costruire una scuola davvero inclusiva partendo dalle esigenze dei bambini (che hanno bisogno soprattutto di tempo e flessibilità), come ha sottolineato Anna Guerrieri, presidente di Genitori si diventa e vicepresidente del Coordinamento Care. I lavori si sono chiusi, infine, con l’intervento della professoressa Germana Paoletti, referente Adozione Ufficio Scolastico Regionale Lazio, che ha fatto un bilancio degli effetti della nomina dell’insegnante referente, ma soprattutto ha lasciato stimoli su quanto rimane ancora da fare ogni giorno per scardinare alcune dinamiche scolastiche e raggiungere quella apertura e flessibilità degli strumenti e dei metodi indispensabile per costruire una scuola a misura di tutti i bambini.

Per la vastità e la complessità dei temi trattati sarà fondamentale per sviluppi futuri del progetto la pubblicazione degli atti completi del convegno da parte del Care. Il materiale potrà, infatti, essere un utile strumento per docenti e famiglie per continuare a diffondere una cultura dell’accoglienza nelle scuole, all’insegna della diversità e dell’inclusione.

  • Stefania Vadrucci |

    Noi di Alley Oop cerchiamo nel nostro piccolo di fare cultura dell’adozione con questo spazio del venerdì, proprio perché tanto lavoro c’è ancora da fare su tutti i fronti. C’è poca conoscenza del mondo adottivo…

  • Francesca |

    Bisogna diffondere la cultura dell’adozione e parlarne e parlarne. Ogni scuola dovrebbe avere un referente, preparato sul tema per affiancare nuovi inserimenti e monitorare i vecchi. Il lavoro da fare è tanto ma siamo pronti. Grazie al Care per il coordinamento!

  • giuditta.matucci@unipv.it |

    Bellissimo lavoro quello del CARE, che seguo da anni essendo madre adottiva. Il cammino e’ ancora molto lungo, ma questo tipo di partecipazione alimenta la speranza che il progetto di una scuola davvero accogliente e inclusiva sia possibile. Fondamentale, però, e’ che vi sia un’attenta opera di vigilanza sul seguito che le Linee guida stanno avendo sull’intero territorio nazionale, perché la mia sensazione, però, e’ che tutto sia ancora rimesso alla sensibilità del singolo docente. Una scuola accogliente presuppone competenza.

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