Succede ogni volta che viaggio: c’è sempre qualcuno che si sente in dovere di chiedermi ‘dove hai lasciato tua figlia?’. Di solito quel qualcuno è un uomo e spesso ha figli anche lui, ma nessuno gli ha posto la stessa domanda. Quando lo faccio io, ridacchia. La norma, in fondo, è questa: la donna sta a casa con i figli, il marito è in giro a lavorare. La donna abbandona o rallenta la carriera, l’uomo – di contro – la potenzia per mantenere la famiglia. Quando è anche la donna a farlo, deve dare delle spiegazioni. Deve giustificarsi. Deve viverlo male, indossando i sensi di colpa che la società ha cucito per lei. Deve arrendersi all’idea di non essere una brava madre.
E’ facile dare la colpa alla società ‘maschilista’ se ci è imposto di aderire a questo modello, parte di uno schema di famiglia patriarcale superato, ma alcune regole non scritte resistono nella nostra testa prima che fuori. Il paradosso è che gli uomini c’entrano meno del previsto. Il vero maschilismo, quello più rigido, giudicante, umiliante, l’ho visto esercitare per lo più da donne verso le altre donne.
Quando mia madre è venuta a sapere che io e mio marito ci dividevamo equamente i compiti in casa, il che significa che anche lui come me stira, lava, pulisce wc e stende lavatrici, il suo commento è stato ‘ma poveraccio! Queste sono cose da mogli’. Quando ha saputo che accade lo stesso per quanto riguarda la cura di mia figlia, ha esclamato inorridita ‘ma la madre sei tu!’.
Quando viaggio, sono alcune lettrici del mio blog a commentare con un passivo-aggressivo ‘ma come fai a lasciare tua figlia? io non potrei mai’ o un più generico ‘e Viola con chi sta?’. Come se il senso di colpa fosse l’inevitabile prezzo da pagare per non stare a casa con mia figlia. Ma soprattutto come se un padre non ci fosse, come se l’unica figura responsabile dei figli fosse la madre.
Ci siamo raccontate che i figli si fanno in due ma si crescono sole. Siamo noi, solo noi, le sacre detentrici del ruolo di genitore. Il padre deve esserci come colonna portante della famiglia ma è genitore in modo limitato, quasi accessorio. Sicuramente part-time.
Il padre gioca coi figli, aiuta coi compiti saltuariamente, dà le regole. Eppure spesso non ha il numero del pediatra. Non è mai stato ad un colloquio con gli insegnanti. Non ha mai aiutato i figli a lavarsi e vestirsi. Non ha mai preparato loro da mangiare. Non ha mai affrontato una crisi di pianto. Ha sempre letto la favola della buonanotte quando erano già nel letto, pigiama e denti lavati, ma non ha mai messo i pigiami né lavato i denti. Non ha mai lasciato una riunione a metà perché il piccolo era caduto all’asilo.
Di nuovo, sarebbe facilissimo dare la colpa agli uomini. La verità? Le madri sono attaccatissime a questo ruolo di ‘indispensabili’ e fanno una fatica incredibile a delegare. Dal momento che gli uomini fanno le cose in modo diverso da come le farebbero loro, sono automaticamente bollati come incapaci. Demotivati a continuare a provare. La frase tipica è: ‘mi piacerebbe lasciare i figli a mio marito, ma lui (elenco di cose che non sa fare)’.
Altra frase tipica richiama la presunta rarità e anormalità dell’uomo che fa effettivamente il genitore: ‘che bravo tuo marito, che sta coi bambini mentre tu lavori’. Primo: trovatemi un marito al quale è stato detto ‘che brava tua moglie, che sta coi bambini mentre tu lavori’.
Secondo: un padre che sta con i figli ed è intercambiabile rispetto alla madre non è un supereroe. Non è un santo. Non è bravo. Non è neanche un mammo, con accezione quasi dispregiativa per definire un uomo che sa prendersi cura dei bambini come una madre. Non fa ‘il babysitter’. E’ semplicemente un padre. E fa il padre.
Sento sempre più battaglie su quanto sia sbagliato considerare lavori, hobby e persino colori e giocattoli come ‘da maschi’ o ‘da femmine’, e pochissime su quanto sia sbagliato fare lo stesso con i compiti genitoriali, dividendoli drasticamente in compiti ‘da madre’ e compiti ‘da padre’. Il risultato? Stiamo portando avanti un modello genitoriale in cui il 90% dei compiti, del lavoro e della responsabilità è sulle spalle della madre.
Potreste obiettare che questo deriva dal fatto che le madri sono quelle che soffrono di più demansionamenti e licenziamenti una volta avuti figli, e questo è purtroppo molto vero. Ma come possiamo pensare di cambiare la situazione se perpetriamo un modello in cui la madre si fa carico di quasi tutti gli impegni della vita familiare?
Come combattere gender gap e sessismo sul lavoro quando siamo le prime ad alimentare lo stereotipo che vede le donne come le uniche responsabili dell’organizzazione, dei doveri, degli impegni e degli imprevisti legate alla famiglia, proprio quelli per i quali siamo considerate meno presenti e affidabili dei nostri corrispettivi maschili?
Ho paura che sia necessario agire a monte, e iniziare a dare per scontata la parità che vorremmo avere. Questo non significa solo dividerci i compiti, ma anche rivalutare le capacità e l’importanza dell’altro genitore. Perché il rovescio della medaglia è che agli uomini non è concesso fare i padri. Che il presenzialismo sul lavoro è più importante dell’equilibrio lavoro-famiglia. Che chiedere un congedo di paternità o anche solo un permesso per vedere la recita della scuola è quasi imbarazzante. Che certe cose sono ancora da femmina, punto. Saper fare il padre sembra agli antipodi dell’essere uomo, e del poter fare carriera.
Credo sia ora di reclamare la parità genitoriale, e la parità inizia nella nostra testa.
Solo dopo, può riflettersi su tutto il resto.
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