Se guardando una partita sentite il telecronista gridare “Penalty” al fischio dell’arbitro, non pensate che il giocatore falloso si sia preso una condanna (pena), ma che si tratti di un più prosaico rigore. Quindi esiste un primo significato della parola penalty in inglese che vuol dire “pena” e un secondo che vuol dire “rigore”. Stessa cosa si dica per l’uso della parola gender: se si parla di Global gender gap misurato dal World Economic Forum, si intendono
le differenze che nella società vengono rilevate tra uomini e donne (accesso al lavoro, all’istruzione, alla politica e così via). Se si parla di
teoria di genere (gender theory) o studi di genere (gender studies) ci si riferisce a “un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere”. Le due cose sono completamente diverse. Se non si comprende questa differenza di significato il dibattito sull’educazione di genere nelle scuole non ha senso: è come se tra tifosi al fischio dell’arbitro per un penalty uno parlasse di una condanna al carcere per Giorgio Chiellini dopo il fallo e quell’altro del fatto se c’era o non c’era il rigore contro la Juve. Come direbbe un collega: Facciamo a capirci!
L’educazione di genere appartiene alla prima accezione del termine, vale a dire
l’educazione alla differenza e al rispetto dei due generi, o se preferite sessi. In soldoni vuol dire: educare alle differenze fra uomini e donne e al rispetto reciproco delle peculiarità. Niente a che vedere con la scelta di orientamento sessuale dei ragazzi. Da qui si può partire per parlare del
disegno di legge presentato il 18 novembre 2014 come prima firmataria da Valeria Fedeli, neo ministra dell’Istruzione, che ha l’obiettivo di
“piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana, che dice di non discriminare in base alla religione o all’orientamento sessuale”, come lei stessa ha spiegato in diverse occasioni. L’impegno della neo ministra per i temi a favore della parità di genere è di lungo corso e noto ai più: è sufficiente seguirla sui social o controllare i convegni a cui partecipa e ascoltare i suoi discorsi.
Compresa l’accezione dei termini mi sembra imprescindibile la lettura del testo, che metto in calce a questo post nella versione integrale degli articoli. Cosa vorrebbe introdurre nei programmi scolastici la neo ministra? “
L’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere finalizzato alla crescita educativa, culturale ed emotiva, per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea”. Che è esattamente quello di cui si parlava poco sopra: insegnare ai bambini, fin da piccoli, il rispetto per le diversità e le pari opportunità perché siano combattuti fin dal nascere gli stereotipi, che poi condizionano i rapporti sociali degli adulti e fanno sì che le ragazze, ad esempio, non scelgano corsi di studio scientifici o che i ragazzi vengano derisi se scelgono di fare ostetricia. La legge, infatti, ha come obiettivo quello di “
eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società“, istanze previste dalla nostra Costituzione.
Sul fatto che sia lecito proporre un approccio simile, non sembra possano esserci dubbi di natura normativa. Sul fatto che ce ne sia la necessità di farlo non mancano poi le evidenze: basterebbe snocciolare tutti gli studi che dicono quanto le ragazze non hanno attualmente le stesse opportunità dei ragazzi soprattutto arrivate nel mondo del lavoro in Italia. Su questo basta consultare il già citato
Global Gender Gap del Wef, ad esempio, o i dati
sulle differenze salariali a parità di competenze e di mansioni. A questo, poi, si sommano i dati sulla violenza sulle donne, di cui periodicamente ci indignamo e per i quali sarebbe necessario iniziare a fare qualcosa da subito partendo appunto dalle scuole. Dal lavoro alla violenza, dall’accesso alle cariche pubbliche all’informazione, dagli stereotipi dei libri ai carichi di cura familiari: si tratta di tutti aspetti della stessa questione. Che ci piaccia o no
la questione di genere. Possiamo decidere di parlarne seriamente e di trovare una soluzione comune che porti a un cambiamento culturale. O possiamo decidere di farne una questione ideologica, mancando di onestà intellettuale e continuando a non intenderci sui termini che usiamo. In questo secondo caso forse si sta perdendo solo tempo. E questo Paese non può più permetterselo.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1. (Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere)
1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, d’intesa con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, adotta i provvedimenti necessari a integrare l’offerta formativa dei curricoli scolastici di ogni ordine e grado con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere finalizzato alla crescita educativa, culturale ed emotiva, per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea.
2. In attuazione di quanto disposto dal comma 1, i piani dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado adottano misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società.
Art. 2. (Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere)
1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, d’intesa con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, definisce linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale.
Art. 3. (Formazione e aggiornamento del personale docente e scolastico)
1. Al fine di garantire l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze per la realizzazione delle finalità di cui agli articoli 1 e 2 e l’integrazione dell’educazione di genere nei processi di insegnamento e apprendimento, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado attivano corsi di formazione obbligatoria o integrano i programmi di quelli esistenti, per il personale docente e scolastico.
Art. 4. (Università)
1. Le università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento dell’educazione di genere di cui all’articolo 1.
Art. 5. (Libri di testo e materiali didattici)
1. A decorrere dall’anno scolastico 2015/2016, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici corredati dall’autodichiarazione delle case editrici che attestino il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione «Pari opportunità nei libri di testo» (POLITE), realizzato da Presidenza del Consiglio dei ministri — Dipartimento per le pari opportunità, Associazione italiana editori, Centro innovazione sperimentale educativa Milano, Poliedra, Federación de gremios de editores de España e Commissão para a igualdade e para os direitos das mulheres del Portogallo e approvato dal Consiglio del settore editoriale educativo dell’Associazione italiana editori l’11 maggio 1999.
Art. 6. (Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge, valutati in 200 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, con l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente. Con uno o più regolamenti adottati con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità tecniche per l’attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi interessati.