Quei bravi ragazzi, figli anche nostri

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Sono tutti figli nostri: sono quelli più brutti, più cattivi; quelli che ci affollano le notti di angoscia e il giorno di pensieri. Sono i figli che non avremmo voluto avere, ma che pure hanno tutto il diritto di essere amati, educati e, nel caso, puniti.

Li abbiamo sempre avuti, hanno sempre abitato nelle periferie delle nostre città, negli anfratti dove delinquenza e bullismo si frullano in un unico enorme calderone di paura. A periodi alterni ci ricordiamo che esistono ma, per lo più, fingiamo che non ci siano.

Nel 1989, io avevo 16 anni, uscì un libro destinato, per una manciata di mesi, a ricordarci che i ragazzini sono spesso il risultato del contesto dove vivono e che, a volte, questo contesto è talmente degradato, misero, ignorante e feroce, da restituire al mondo adulti che si portano tatuata addosso la storia in cui si sono formati. Una storia fatta di violenza e legge della giungla dove il debole soccombe e il forte spadroneggia.

meryQuel libro, scritto da Aurelio Grimaldi, era la storia dei ragazzi del carcere minorile Malaspina di Palermo e del loro insegnante. Era una storia vera, in parte romanzata, ma profondamente reale. E, soprattutto, attuale. Da quel libro venne tratto un film dove i protagonisti erano ragazzi veri: ragazzi con un passato di delinquenza e un futuro che, in alcuni casi, li avrebbe tirati fuori da quel ghetto di barbarie in cui erano cresciuti. Non tutti, solo alcuni, solo quelli che accettavano la difficoltà che uscire fuori dal ghetto comportava: dallo stigma sociale all’isolamento da parte della famiglia. Perché sì, anche dove i proiettili sono la legge esiste una morale e chi vi si sottrae diventa un reietto. Un po’ come reietto è chi, oggi, decide di non fare più parte di un branco di teppisti. A parole che ci vuole: è un attimo dire: “io con voi non ci sto più”, in pratica significa abbandonare tutto quello che si conosce e che si è imparato a temere e rispettare.

Che sia Napoli o Palermo, Roma o Milano, Torino o Bologna non importa: i ghetti sono identici, a prescindere da latitudine e longitudine. La Baggina come il Pilastro, lo Zen come i Quartieri. Ovunque ci siano ghetti c’è criminalità, c’è delinquenza e, soprattutto, c’è un modello di riferimento che non è positivo, ma è considerato vincente. Di solito è quello di un boss di discreta grandezza che gira con un macchinone sotto alle chiappe, un orologio che costa come un bilocale, una donna parecchio bella e pittata e che sembra farla in barba alle leggi e ai suoi tutori. Un boss coraggioso che usa la paura per imporsi su chiunque. Magari anche sui genitori di quei ragazzini che hanno poco tempo per seguirli perché devono lavorare, magari a chiamata, magari a giornata. Magari al limite della legalità, probabilmente in miseria.

baby-gang-ladispoliE allora chiedo io a tutte le belle menti indignate per l’ennesimo caso di violenza messo in atto da un gruppo di delinquenti che non hanno nemmeno l’età della patente: voi cosa fareste se foste nei loro panni, se viveste nelle loro case, se veniste allevati da genitori troppo preoccupati di darvi da mangiare piuttosto che di controllare se avete fatto i compiti? Cosa fareste voi se a un certo punto in tv vi proponessero un modello di vita in cui se non sei ricco sfondato sei uno zero assoluto, se ve lo proponessero tutti i giorni della settimana, a ogni ora? Se non avete gli strumenti etici e culturali per comprendere che la ricchezza deve essere la conquista di un lavoro onesto? E cosa fareste, soprattutto, se la sola ricchezza che vi passa sotto il naso, reale, concreta, possibile, è quella di un delinquente davanti alla cui casa si ferma anche il prete con la Madonna in processione?

bullismo_fotogramma_3-1-1480440276Non tutti nascono eroi: ma tutti nascono umani. Solo che ad alcuni la vita si presenta facile: babbo e mamma con un lavoro fisso, una casa bella o almeno graziosa, la scuola, il liceo e poi l’università, il telefonino con la mela e le scarpe da ginnastica originali che costano un patrimonio. Gli amici giusti, che sono come te, e che proprio come te hanno genitori, case e percorsi di crescita “protetti”. Per gli altri – quelli che si uniscono in branco per rapinare un coetaneo che ha il telefonino con la mela e riversano su di lui la forza di un revanscismo malato e invidioso traducendola in calci, pugni e catene schiantate addosso – la vita è una lotta all’ultima stilla di sangue per conquistare quello che per i primi è scontato. Sopravvive chi è più forte, chi mena più duro, chi ha il ferro più grosso e non ha paura di usarlo. Inconcepibile, inammissibile per noi che viviamo la tranquillità, forse un po’ noiosa, della borghesia. Normale per chi vede nella banalità della borghesia un lusso irraggiungibile e ingiusto.

E dunque, evitiamo di indignarci, di stupirci, di invocare l’esercito e le punizioni esemplari, le forche e le tagliole, ma proviamo a capire il disagio, la fatica e le necessità  di cui questi delinquenti (non parlo di bulli, parlo proprio di delinquenti) giovanissimi sono un manifesto chiarissimo. Proviamo a offrire loro un modello di vita in cui la ricchezza non sia il valore più ambito, al punto da dover essere perseguito ad ogni costo. Proviamo ad andarli a prendere là dove sono e a regalare loro la possibilità di vivere una buona e bella vita. Una vita almeno un pochino borghese, che è comunque meglio di quella di miseria morale e materiale in cui, loro malgrado, sono cresciuti. Perché anche se non li abbiamo messi al mondo noi, anche loro sono figli nostri e hanno lo stesso diritto alla felicità di quelli che ci chiamano mamma e papà.

  • svalente1 |

    Comunque il branco è pericoloso e va eliminato. I ragazzi devono essere portati a scuola in qualsiasi maniera. Ciò che appare è che manca tutto: famiglia, comune, chiesa.

  • Pina Asteriti |

    Purtroppo ormai, da troppo tempo, tutti indistintamente pensiamo che tutto ciò che è fuori dalla soglia di casa mia, non è mio quindi non mi appartiene. Sono assetata di giustizia. Ti ringrazio per l’accorata denuncia .

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