Ma come ha fatto Trump ad ottenere tanti voti? La domanda che sta impegnando le intelligenze di tutto il mondo ma soprattutto di coloro che avrebbero dovuto rappresentare la base elettorale di Hillary Clinton: donne, afroamericani, ispanici e gay. Andiamo con ordine. Per prima cosa ci si è chiesti quante donne abbiano optato per i Repubblicani pur in presenza della prima candidata donna e nonostante le dichiarazioni sessiste del tycoon (che è riuscito, a un passo dalla sua prima vittoria alle primarie, a definire la sua avversaria una “pussy”, una “fighetta”). La risposta è stata: tantissime. Con qualche distinguo: le donne laureate abbiano preferito Hillary (con il 51% dei consensi) le altre hanno decisamente scelto Trump (con il 62%).
E poi: quanti afroamericani/ispanici hanno sostenuto il nuovo presidente degli Stati Uniti? Forse non così tanti, ma molti non si sono recati alle urne, segno che non si sentivano rappresentati da nessuno dei due candidati.
Resta, infine, la comunità LGBT che copre una fetta non banale dell’elettorato. Non è un segreto che nel corso dell’intera campagna elettorale Trump non si sia certo schierato dalla parte della comunità gay. Eppure le stime parlano di un 20% circa che ha scelto lui come presidente per i prossimi quatttro anni. Almeno uno su cinque fra gay, lesbiche, bisessuali e transgender, quindi, ha votato Trump, pur sapendo che ci sarebbe stato non soltanto il rischio di vedere cancellato il matrimonio same-sex ma anche quello di assistere a un generale passo indietro nella tutela dei diritti. Senza considerare che il suo Vice, Mike Pence, è uno degli oppositori più accaniti del mondo gay e che, negli anni, ha cercato di affossare qualsiasi riforma tesa a evitare discriminazioni basate sull’orientamento sessuale (strenua è stata la sua opposizione contro l’abolizione del “don’t ask; don’t tell” attuata da Obama) fino ad arrivare a sostenere le cosiddette teorie riparative.
A ben guardare il 20% non è una percentuale che fa girare la testa. E’ abbastanza naturale che anche la comunità LGBT abbia una fetta di forti conservatori tra le sue fila, così come di indecisi. Una perfetta fotografia dell’elettorato gay o gay-friendly americano è stata data dal mini-episodio inedito della sit-com cult degli anni novanta Will&Grace, appositamente lanciato a sostegno della campagna della Clinton qualche mese prima delle elezioni. L’avvocato gay Will (Eric Mccormak) e la designer di interni Grace (Debra L. Messing) cercano di convincere l’indeciso Jack (Sean Hayes) anche lui gay e perfetto rappresentante della middle-class americana (senza alcun interesse per la politica) a votare per la Clinton, mentre l’irriverente ed egoista (e moglie di un multimiliardario) Karen (Megan Mullally) inneggia Trump al grido di “Make America Win Again!”.
Ma quali sono in fondo le ragioni di questo voto LGBT a Trump? La motivazione principale sembra essere stata la paura; paura generata dalla minaccia del terrorismo e radicata in una latente xenofobia che non risparmia anche il mondo omosessuale. Non è un caso che, dopo l’eccidio di Orlando, l’apprezzamento nei confronti di Trump sia cresciuto, quasi raddoppiando il sostegno nelle statistiche. “Chiedete ai gay cosa pensano e cosa fanno, non solo in Arabia Saudita ma in molte di queste nazioni. Poi ditemi, chi è vostro amico, Donald Trump o Hillary Clinton?” dichiarava il tycoon a valle dell’attentato. Insomma Trump, affondando la lama in una ferita ancora aperta, spostava l’attenzione sull’unica cosa che avrebbe potuto mettere in secondo piano i diritti, ossia la sicurezza. Ed è proprio sulla questione immigrazione e sicurezza che hanno fondato la propria campagna a sostegno del candidato repubblicano i gruppi LGBT per Trump. Sulla pagina web di LGBT for Trump, fondata da Chris Barron, famoso conservatore e uno tra i sostenitori di spicco del neo Presidente, appaiono titoli quali “Donald Trump is the Only Presidential Candidate Committed to Protecting LGBT Americans from Radical Islam” e sulla pagina facebook LGBTrump, irta di fotografie e commenti xenofobi, campeggia un “Tonight the nation elected a candidate that will not only protect the LGBT community, but the nation as a whole”.
Tuttavia su queste pagine, così come sul web, si trovano anche altre posizioni, quelle di chi, pur non avendo sostenuto Trump, una volta incassata la sconfitta, comincia a vedere la cosa da un altro punto di vista: rimettersi in pista e cercare una mediazione. C’è chi ricorda che Trump ha sostenuto diverse campagne per la lotta e la prevenzione contro l’HIV, chi assicura che Trump ha molti amici gay (ha fatto gli auguri ad Elton John per il suo matrimonio), chi ha avuto persino il coraggio di definirlo il candidato più gay-friendly della storia repubblicana. Al di là delle forzature, quello che sembra accomunare molte di queste posizioni è la volontà di lasciare il beneficio del dubbio, fors’anche nella speranza che l’apertura di un dialogo possa minimizzare i danni. Quindi la parola d’ordine è rimboccarsi le maniche e lavorare sulle aperture. Dopotutto l’ultra-repubblicana, irriverente e multimiliardaria Karen Walker è una delle più apprezzate icone-gay della storia. Anche se, riflettendoci, non credo che nessuno avrebbe mai pensato a lei come presidente degli Stati Uniti.