Tre “Davos moment” straordinariamente ordinari (raccontati da chi c’era)

quattrucci-davos“Oggi ero venuto qui convinto che quello di cui avevamo bisogno fosse una nuova narrativa ispirata da un leader visionario. Ora penso che la chiamata di Leonardo ad assumere la nostra responsabilità come cittadini sia l’unico modo in cui cambieremo l’Europa. Ho cambiato idea. Grazie Leonardo”.

Non capita tutti i giorni di far cambiare idea pubblicamente al presidente di una delle più grandi multinazionali al mondo. Così come non capita spesso di essere citati da un Premio Nobel per l’economia come riferimento in una discussione sul futuro del lavoro nella quarta rivoluzione industriale. Eppure questi sono due dei miei cosiddetti “Davos moment”: episodi e incontri generalmente eccezionali che diventano ordinari quando a Davos, Svizzera, si riunisce la leadership mondiale da ogni settore per l’incontro annuale del World Economic Forum.

Ho ricevuto l’invito a Davos in quanto Global Shaper: Un’iniziativa del World Economic Forum che riunisce giovani tra i 20 e 30 anni nel mondo, uniti dal potenziale di leadership e dall’urgenza di realizzare una visione di progresso globale attraverso iniziative locali. Unico italiano in un gruppo di 50 Global Shaper selezionati a livello globale, la responsabilità affidatami è stata quella di rappresentare il 50% della popolazione mondiale che ha meno di mezzo posto al tavolo delle decisioni: i giovani.

pensioniNon ho certamente la presunzione di incarnare un mandato così oneroso (non so quanti giovani abbiano partecipato alla mia selezione!). Eppure esistono poche altre opportunità per far risuonare un messaggio come il palco di Davos. Nel salirci mi sono sentito tanto privilegiato quanto responsabile di portare la voce del futuro al tavolo delle decisioni, in un momento storico in cui questa generazione di giovani rischia di essere più povera dei propri genitori. Se i giovani di oggi diventano i poveri di domani, poi chi paga le pensioni? In altre parole, l’equità intergenerazionale deve essere il principio e il risultato del governare il futuro in modo che ognuno di noi, giovane e non, ne abbia una giusta porzione.

Il messaggio è passato: il dibattito sul futuro dell’Europa a cui ho partecipato era cominciato come un esercizio di geometria dell’integrazione per decisori; si è concluso con un impegno collettivo a stabilire una visione in quanto cittadini-imprenditori. Nell’arco di un dibattito, Peter (il Presidente di Nestlé a cui a Davos posso dare del tu) è diventato anche lui un Global Shaper! Insegnanti e studenti si sono ripromessi che partecipare alla costruzione di un Europa in cui crediamo e di cui siamo orgogliosi sarebbero stati i loro nuovi compiti.

Ma dopo un Davos moment così, cosa rimane? In realtà, i miei veri Davos moment sono tre lezioni di straordinaria ordinarietà.

Non confondere accesso e impatto. Non solo è bene ricordare chi non è nelle stanze di Davos, ma soprattutto che una conversazione non è il cambiamento. Spogliato della sua eccezionalità, Davos rimane un evento. L’impatto non richiede episodi ma tradizioni, stabilite e sostenute con disciplina.

Il vero lavoro comincia ora: non sarà il selfie con Bill Gates, Sheryl Sandberg o Jack Ma a cambiare le cose, ma l’abilità di mantenerci in ascolto ed estendere possibilità a chi non ne ha ancora. Davos non deve essere un momento di celebrità, ma un movimento per la formazione di una più ampia comunità.

Non cadere nella vertigine del cinismo. Nella stanza con alcune delle persone più influenti del pianeta, mi sarei aspettato un robusto ottimismo rispetto alle sfide che fronteggiamo, dalla crescita al cambiamento climatico. Se non hanno soluzioni loro, chi? Troppo spesso, invece mi sono ritrovato ad a partecipare a celebrazioni del “si stava meglio quanto si stava peggio”.

Prendiamo l’Unione Europea: oggi, la maggior parte degli europei riconosce che si starebbe peggio senza. Lo stesso vale per i partecipanti di Davos. Tuttavia, la conversazione è catturata da idee di divorzio e scenari apocalittici, che distolgono l’attenzione dal fatto che, insieme, gli Stati europei sono ancora il posto più equo del mondo in cui vivere; insieme, siamo ancora la più grande potenza commerciale del mondo. Invece, ci ritroviamo a leggere il foglio troppo da vicino, concentrandoci sul definire poche parole invece di scrivere i capitoli del futuro.

Parte della spiegazione è semplice: come ogni altro “cittadino ordinario”, i “personaggi straordinari” di Davos possono soffrire di vertigini nel momento in cui non invitano diversità di opinioni nelle loro riflessioni. Il conformismo è il motore della cecità. Per questo i 50 Global Shaper sono diventati i più ricercati di Davos: perché la sfrontatezza e la spontaneità delle loro domande riportava l’attenzione sulle questioni essenziali. Il che mi porta alla mia ultima lezione da Davos.

Non chiedere il cambiamento, coltivalo. L’ultima domanda postami nella discussione sul futuro dell’Europa è stata: chi è il leader che ci salverà? Siccome la domanda è sbagliata, mi sono rivolto alle centinaia di persone nel pubblico chiedendo: “Chi di voi ha meno di 30 anni alzi la mano”. Sorprendentemente, metà della stanza accetta il mio invito. “Ora, tenga la mano alzata chi pensa di impegnarsi in politica o servizio pubblico nei prossimi anni”. Non sorprendentemente, per me, solo tre mani rimangono alzate.

Questo è il problema: esigiamo che il cambiamento ci sia spedito come un pacco da Amazon, dimettendoci dal nostro ruolo di cittadini. Una signora mi dice che l’Europa dovrebbe formare una dipartimento di marketing. Io prendo nota, ma lei quanti falsi miti ha sfatato sedendosi a discutere con il vicino?

Ognuno di noi dovrebbe essere un servitore pubblico. Ogni cittadino un imprenditore. L’imprenditorialità è, infatti, una qualità della democrazia che non esercitiamo abbastanza. Soprattutto noi millennial, che confondiamo la sfiducia nei governi con l’istituzione democratica. Ma anche noi europei, impegnati in una politica della nazionalità che non rende giustizia alla forza della nostra solidarietà. Da italiani anche abbiamo molto da imparare nell’unirci collettivamente per rafforzarci individualmente.

Essere un Global Shaper con i Global Shaper mi ha dimostrato che, quando ci si organizza con insistenza, si cambiano anche le opinioni più inaspettate. E se si può cambiare un’idea, se ne possono cambiare altre. Con questa realizzazione, comincio il mio vero Davos: la quotidianità da cittadino-imprenditore perché non siamo solo vittime ma soprattutto responsabili.

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