Donne e jazz, Ada Montellanico: «Più spazio e role models per abbattere gli stereotipi e il gender gap»

Foto di Stefano Barni

«Le donne selvagge non hanno la tristezza» cantava Ida Cox nel 1924. Nella sua Wild women don’t have the blues, la “regina senza corona del blues” denunciava la violenza e la sopraffazione maschile contro le donne e, attraverso la sua voce, mandava un messaggio chiaro: non rimanere dove sei oppressa. La genealogia femminile continua a parlarsi attraverso la musica e, un secolo dopo, ogni nota rinnova la sua potenza: dal 26 al 29 dicembre, a Napoli, il complesso monumentale di Santa Maria la Nova ospita “Racconti al femminile”, la rassegna gratuita che esplora e celebra i nuovi linguaggi sonori plasmati dalle donne. «Un percorso che attraversa le geografie sonore da una prospettiva femminile – spiega Ferdinando Tozzi, delegato del sindaco di Napoli per l’industria musicale e l’audiovisivo – Dove esperienze, culture e sensibilità diverse si intrecciano, dando vita a narrazioni che parlano al presente e alla dimensione internazionale della musica». Quattro artiste di rilievo internazionale, ciascuna portatrice di un universo musicale unico, plasmeranno la “geografia” della rassegna: Ada Montellanico, insieme a Beth Orton, Ginevra Di Marco e Indra Rios-Moore, sarà tra le protagoniste con il concerto del 27 dicembre. Sospeso tra ricerca armonica e poesia, omaggerà Billie Holiday: un dialogo intergenerazionale che attraversa nel tempo le voci delle donne. Attraverso la storia delle altre, scrivere e rinnovare la propria: «Dico sempre che una cantante di jazz matura nel tempo – spiega Montellanico ad Alley Oop – La nostra identità nella musica jazz sta nel raccontare la storia di quella compositrice, di quell’autrice, di quel brano facendola nostra: uno spazio di grande libertà ma che ti espone anche a dei rischi. Devi aver vissuto per poter acquisire la profondità necessaria al racconto: è qualcosa che va oltre la tecnica o l’abilità, si acquisisce con le esperienze della vita, ed è estremamente affascinante».

Cantare la libertà, «Il potere di raccontare la tua storia»

Vita e musica si muovono insieme: Ada Montellanico, autrice e cantante tra le più importanti e innovative della scena jazz italiana, ha collaborato con artisti di fama internazionale, tra i quali Jimmy Cobb, Lee Konitz, Paul McCandless, Enrico Pieranunzi, Enrico Rava, Paolo Fresu, Fabrizio Bosso, Danilo Rea. A fare la differenza, nel suo percorso, la costante ricerca di libertà e identità: ricercatrice di repertori inusuali ed originali, Montellanico unisce lingua, jazz e improvvisazione. Una “scintilla” che si accende dalla curiosità: «Il mio amore per il jazz nasce da John Coltrane: sono rimasta folgorata dall’ascolto di My Favorite Things e ho iniziato a studiare sax soprano alla scuola di musica popolare a Testaccio, a Roma, dove allo stesso tempo frequentavo i laboratori di musica popolare di Giovanna Marini». A fare da filo rosso, tra jazz e musica popolare, la forza delle radici che evolvono nella libera interpretazione artistica: «Mentre mi avvicinavo al jazz, negli stessi anni, portavano avanti un lavoro di ricerca sul tarantismo facendo interviste sul campo, in Puglia» racconta Montellanico, che dello spazio artistico ha fatto il suo spazio di libertà: «Quello che mi ha colpito del jazz è la libertà che nasce da un’identità forte: l’improvvisazione è possibile perché arriva da una base radicata, da uno straordinario rapporto con la musica e un grande orecchio. Il jazz ha il potere di raccontare la tua storia attraverso la rielaborazione dei materiali musicali, di cui bisogna mettersi in ascolto».

Foto di Luigi Candiani

Il divario di genere non riconosce la genealogia femminile nel jazz

«Nel concerto a Napoli omaggerò Billie Holiday, la più “inimitabile”: pur non avendo una tecnica precisa, sapeva raccontare la sua storia con grande profondità e passione – racconta Montellanico – È stata una grandissima interprete e con il suo brano Strange Fruit è diventata un punto di riferimento politico per la lotta per i diritti civili degli afroamericani»: le donne nel jazz hanno fatto del personale il politico. Dalle blues women degli anni Venti – Ma Rainey, Bessie Smith, Ida Cox, che usarono la musica come strumento di autodeterminazione e denuncia sociale – fino alle compositrici e band leader che hanno attraversato e trasformato il jazz del Novecento, come Mary Lou Williams, Carla Bley, Geri Allen e Alice Coltrane, la storia del jazz è segnata dal talento delle donne. Eppure, la genealogia femminile, ancora oggi, fatica a tradursi in pari accesso e riconoscimento. Come sottolinea Jazz Counts, lo studio del Berklee Institute of Jazz and Gender Justice aggiornato al 2024–2025, nelle istituzioni di formazione jazz statunitensi le donne rappresentano circa il 15% del corpo docente, una percentuale che scende a circa l’8% se si considerano esclusivamente le cattedre strumentali, con una forte concentrazione sul canto e una presenza residuale su strumenti storicamente centrali come batteria, tromba e contrabbasso. Il divario non si esaurisce nella formazione, ma accompagna l’intera filiera professionale. Secondo una ricerca della musicologa Kristin McGee, pubblicata nel Routledge Companion to Jazz and Gender, solo il 12% degli “star act” – gli artisti stabilmente programmati nel tempo – dei principali festival jazz europei include o è guidato da una donna. «Nel 600 le donne dovevano entrare in convento per studiare musica – ricorda Montelanico – C’è stata una vera e propria proibizione: le donne non potevano calcare i palcoscenici e non potevano vivere pienamente non solo l’ambito artistico. Ma anche quello civile e sociale. Per questo nella mia carriera le omaggio e ripercorro le loro storie, facendole mie: mi sono ritrovata a ripercorrere le loro storie di estremo coraggio. Hanno rivendicato la loro identità in situazioni di estrema oppressione».

«Le giovani donne hanno bisogno di modelli»

Con “Suono di donna”, nel 2012, Montellanico sceglie di rendere omaggio alle donne compositrici attraverso un progetto trasversale e un ensemble completamente rinnovato, con la partecipazione e gli arrangiamenti del trombettista Giovanni Falzone. «In quell’album ho omaggiato le compositrici, le arrangiatrici e le direttrici di orchestra: è stata una finestra aperta sulle donne pioniere che hanno incarnato una figura che prima non c’era, da Carmen Consoli a Johnny Mitchell» sottolinea l’artista, oggi anche docente di canto jazz al conservatorio L. Perosi di Campobasso: «Abbiamo per anni interiorizzato modelli maschili – dice ad Alley Oop – Il fatto che esistano donne che prima di noi hanno ampliato le rappresentazioni è fondamentale: alle giovani servono le role models. Penso a Esperanza Spalding che suona il contrabbasso. A Victoria De Angelis con il suo basso: tante ragazze hanno iniziato a studiare basso guardandola nei Maneskin». Dalla tradizione al presente, sottolinea Montellanico, «Servono modelli per far capire alle donne che possono farcela, abbattendo inibizioni mentali e barriere culturali. Lo vedo con le mie studenti: molte giovani si stanno aprendo alle professioni nella musica ma fanno i conti con tanti stereotipi interiorizzati che non le vogliono capaci. E invece non è cosi: dobbiamo spingere le ragazze a creare i loro progetti, a comporre, a studiare altri strumenti. Insomma, a diventare chi desiderano essere».

La responsabilità sociale della musica

Dai conservatori ai palchi, la musica non è neutra: lavorare sul repertorio afroamericano e tornare al blues, spiega Montellanico, significa assumersi una responsabilità politica in senso ampio, usare il suono e la parola per rendere visibili le disuguaglianze e riattivare una memoria collettiva che parla ancora al presente. «Gli artisti hanno il dovere di sensibilizzare il pubblico attraverso la musica – spiega – soprattutto in un tempo segnato da conflitti e regressioni sui diritti». Una postura che distingue anche “Radici”, il progetto più recente, che parte dal blues inteso non come stile ma come messaggio di denuncia sociale. Gli esempi sono lampanti: «Nel brano Wild Women Don’t Have the Blues, Ida Cox nel 1924 invita le donne a non accettare la violenza e la sopraffazione, a rifiutare il ruolo di figure docili e angelicate: è stato scritto un secolo fa e noi siamo ancora qui a fare i conti con femminicidi e disuguaglianze devastanti», osserva Montellanico. Per questo motivo, nei suoi concerti, il racconto si accompagna al canto: prendersi il tempo di spiegare da dove nasce un brano, perché è stato scritto, cosa racconta, diventa parte integrante dell’esecuzione.

Donne nella musica. «Ricoprire ruoli apicali a beneficio delle altre»

Oggi, essere una delle “wild women” cantata da Cox, significa anche rivendicare spazio quando manca. Nel corso degli anni, insieme alla carriera artistica, Montellanico ha ricoperto incarichi di rappresentanza. Dalla presidenza dell’associazione nazionale dei musicisti di jazz a ruoli nella Federazione del jazz italiano e nel Consiglio superiore dello spettacolo. «Pur essendo stimata come cantante, quando sono diventata presidente ho dovuto dimostrare di essere all’altezza» sottolinea, mettendo in evidenza quanto l’accesso delle donne ai livelli decisionali resti ancora limitato.

«Per un uomo non c’è una prova da superare. Per noi donne sì: dobbiamo sempre dimostrare di essere in grado di ricoprire un ruolo. Non c’è curiosità, c’è sempre un esame da passare» continua Montellanico, osservando una disparità che per gli uomini tende a essere meno esplicita. Ne deriva una filiera in cui la presenza femminile resta marginale nei ruoli apicali. «Nei festival le donne reggono tutto, ma restano dietro: segreteria, organizzazione, ruoli di supporto» evidenzia Montellanico. In questo quadro, la visibilità delle donne nei luoghi decisionali assume un valore che va oltre le singole traiettorie: rende riconoscibili percorsi possibili e contribuisce a costruire riferimenti per chi si affaccia oggi alle professioni musicali. «Dobbiamo ricoprire dei ruoli, è un dovere – conclude l’artista – La resistenza oggi si fa così: ognuna dal proprio posto cerca di ampliare lo spazio anche a beneficio delle altre».

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