Veterinarie: professioniste fra disparità, molestie, tutele minori e poca sicurezza

Laura ha dovuto affrontare l’aggressione di proprietari di cani da combattimento. Ilaria quella di un allevatore. Poi c’è un’altra Laura che ha creato un seguitissimo gruppo su Facebook, le ‘Mamme Super Vet’, dove tutte insieme si discute ogni giorno dei bisogni e delle difficoltà delle veterinarie che faticano a combinare vita professionale e vita personale. Ci sono altre due Laura, professioniste in prima linea, impegnate in campo sindacale e nella rappresentanza. C’è Sharon, laureata da appena qualche anno ma già immersa nel mestiere con tutta la passione possibile. C’è Concetta, la buiatra: alzi la mano chi conosce questa specializzazione. Parliamo della ‘ginecologa delle vacche’, la dottoressa che lavora al fianco degli allevatori di bovini e bufali ma che, prima di tutto, segue la gravidanza delle bovine da latte e fa nascere i vitelli, assicurando il benessere degli animali da reddito.

Scordatevi la figura del veterinario che molti bambini e bambine sognano di diventare da piccoli, dimenticate l’ambulatorio in cui ci si prende cura del gattino, del criceto e del barboncino. C’è ovviamente anche questo, ma il contesto professionale veterinario è qualcosa di molto più complesso e vede le donne in quota maggioritaria sugli uomini. Tutto bello e sereno? Non sempre.

Le aggressioni

Le aggressioni, in verità, fisiche e verbali sono diffuse: non è raro che una famiglia che non riscontra l’immediata disponibilità del medico per il suo animale si scagli violentemente nei suoi confronti e le veterinarie sono un bersaglio particolarmente preso di mira, subendo richieste e pressioni fuori misura, sia che si lavori come libere professioniste titolari di studi veterinari, sia che si lavori come dipendenti di strutture pubbliche e asl (o anche di strutture private).

Partecipando all’Assemblea dell’Enpav, la cassa di previdenza della categoria, abbiamo avuto la conferma, scontata, che quello veterinario è un mondo di grande rilevanza economica, forse sottovalutato nella sua importanza ma purtroppo, per taluni aspetti, critico e difficile per le dottoresse. Al punto che la stessa cassa ha voluto dare voce a denunce e segnalazioni di situazioni particolarmente problematiche per capire come poter intervenire a tutela ma soprattutto a prevenzione di questi deprecabili fenomeni.

Ascoltiamo la tua storia

Una delle iniziative concrete e immediate è stata l’avvio della campagna ‘Ascoltiamo la tua storia’ con lo scopo di migliorare in particolare il welfare delle dottoresse veterinarie. Nel sito si trovano informazioni molto puntuali sul funzionamento e le erogazioni di misure di sostegno al reddito destinate alla categoria: le indennità di maternità, i sussidi alla genitorialità, le agevolazioni sui contributi.

Tutto utile, certo. Solo che all’evento di Roma le dottoresse hanno chiesto qualcosa in più: iniziative per far emergere il sommerso delle situazioni di disagio che si fa fatica ad esprimere, fino all’apertura di un tavolo di lavoro permanente che metta in atto strategie utili a tutelare le professioniste in ogni aspetto della loro vita lavorativa, assistenziale e previdenziale, come spiega Laura Gianneschi, consigliera del Sivelp, Sindacato Italiano Veterinari Liberi professionisti.

«Nella nostra professione la vera emergenza è legata al fatto che le donne hanno una gestione di attività di impresa che mal si combina con le esigenze personali e familiari. Essere imprenditrici di sé stesse comporta il non potersi permettere di assentarsi dalla propria attività, pena una perdita economica, oppure essere inquadrate nel ruolo dei cosiddetti ‘finti liberi professionisti’, ovvero figure con partita Iva ma con unicità di rapporto lavorativo. Aggiungiamo un’ulteriore difficoltà: il dover affrontare una clientela sempre più esigente e a volte aggressiva».

Laura Gianneschi ricorda come il 12 marzo 2022 sia nata la Giornata Nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari a cui ha aderito anche FNOVI (Federazione nazionale ordini veterinari italiani) con una campagna di sensibilizzazione contro la violenza sui veterinari e la designazione di un rappresentante della nostra categoria all’interno dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie. Da un questionario anonimo di fine 2022 intitolato ‘Violenza contro i medici veterinari’ è emerso che le denunce sono poche se non in caso di gravi lesioni fisiche, mentre le minacce e le aggressioni verbali non vengono mai segnalate.

«Eppure, il disagio delle professioniste è concreto – continua Laura Gianneschi – soprattutto se lavorano da sole o in contesti ritenuti più a rischio o se ricoprono ruoli di responsabilità per la salute pubblica le cui decisioni potrebbero infastidire o non essere accettate. Per questo riteniamo che sia necessario che nello svolgere la nostra professione si delinei la figura del ‘pubblico ufficiale’. E l’obiettivo del Sindacato veterinari liberi professionisti è rendersi parte attiva nel monitoraggio del fenomeno».

Disparità nel sistema previdenziale

Anche l’Associazione Donne Medico Veterinario presieduta dalla dott.ssa Laura Cutullo (al momento circa 200 associate) per indagare a fondo su questi aspetti, conduce indagini e ricognizioni periodiche al fine di capire le esigenze delle colleghe e raccogliere le loro considerazioni sullo stato della professione, sui servizi di cui c’è bisogno.

«Cosa ci mette in difficoltà? Se da un lato alcune di noi hanno raggiunto livelli molto elevati di soddisfazione professionale ed anche economica, dall’altro c’è un’importante quota di mediche veterinarie, partite iva, spesso monoreddito, che fanno veramente fatica a far quadrare i conti. Le donne che operano come libere professioniste, molte delle quali monoreddito, spesso devono affrontare difficoltà enormi per coprire anche solo le spese quotidiane. La gestione del lavoro si scontra infatti con le incombenze familiari che ricadono ancora quasi esclusivamente su noi donne, erodendo il tempo e le energie necessarie per portare avanti la propria attività» spiega Cutullo, che prosegue: «Questa disparità si riflette anche nel sistema previdenziale: molte professioniste non riescono a mantenere regolari i pagamenti dei contributi alla cassa di previdenza Enpav, trovandosi così in difficoltà ad accedere a forme di assistenza quando ne avrebbero maggior bisogno. Attualmente chi è in seria difficoltà non ha la sicurezza di supporto proprio nei momenti di vera necessità».

La proposta di ADMV è chiara: permettere anche a chi è in ritardo di uno o due versamenti di accedere agli aiuti, magari con una riduzione percentuale che premi la buona volontà nel rispettare gli obblighi contributivi. «Noi, come ADMV, quindi vorremmo la nostra cassa, l’Enpav, come alleata al fianco dei suoi iscritti, non come un ente distante e poco accessibile. In particolare, che sia sostegno per le donne medico veterinarie, soprattutto quelle con redditi più bassi che, purtroppo, sono anche le più vulnerabili. In un contesto in cui le pensioni femminili sono spesso esigue proprio perché i redditi in età lavorativa sono stati scarni, vorremmo che le donne veterinarie (ma anche gli uomini) possano finalmente contare su un supporto concreto da parte della propria cassa previdenziale» chiosa Cutullo.

Sicurezza professionale

Andiamo poi alla quotidianità, un altro aspetto che non può essere ignorato è il tema della sicurezza professionale. «Le colleghe sono sempre più esposte a comportamenti aggressivi da parte dei clienti. Purtroppo, è noto che le donne sono spesso bersaglio di atteggiamenti di prevaricazione, che si manifestano sia fisicamente che verbalmente. Questi attacchi non solo minano la sicurezza fisica e psicologica delle professioniste, ma intaccano anche la loro reputazione, costruita con anni di impegno e sacrificio. Le colleghe che si occupano di ispezioni e controlli sono particolarmente vulnerabili, poiché i loro interlocutori spesso hanno interessi economici rilevanti, il che può aumentare il rischio di conflitti. Ma ciò succede frequentemente anche nelle cliniche e negli ambulatori da parte dei proprietari di animali d’affezione. Il lavoro delle donne medico veterinarie è fondamentale per il benessere degli animali e della società, ma è necessario che venga riconosciuto e supportato adeguatamente – conclude Cutullo – anche a livello istituzionale. ENPAV ha dimostrato un’apertura significativa: la sua apertura e disponibilità all’ascolto sta già portando cambiamenti positivi».

Professioniste e madri

Particolarmente sensibile alla situazione delle veterinarie che sono anche madri la dott.ssa Laura Russo, libera professionista, fondatrice e amministratrice del gruppo Facebook “Mamme Super Vet”. Un’idea che poggia sulla volontà di darsi un aiuto reciproco e raccogliere gli sfoghi di mamme in difficoltà, nel continuo tentativo di combinare vita personale vita professionale. Anche per le veterinarie una faticosa ricerca di equilibrio.

«Spesso ci capita di dover creare l’angolo bambini in ambulatorio: ma non se ne giova certo la nostra concentrazione» spiega la dottoressa Russo che ci racconta della denuncia toccante di una collega, arrivata sulle pagine del gruppo Facebook, costretta ad indebitarsi per pagare i contributi previdenziali. Dal 2019 ad oggi c’è stato un leggero calo delle erogazioni delle indennità di maternità: da 466 alle 458 del 2023, come indica la dott.ssa Maura Montesano, coordinatrice Organismo Consultivo Welfare e Pari Opportunità e delegata Enpav della provincia di Napoli, e una sostanziale stabilità nel riconoscimento di sussidi alle genitorialità (oggetto di riforma Enpav nell’aprile 2024): si tratta di spese per centri estivi, per asili nido, baby-sitting e scuole di infanzia.

«Certo, durante la gravidanza riceviamo una indennità ma paghiamo tutte le tasse come se lavorassimo a pieno regime. È insostenibile. Inoltre, per chi come me è proprietaria dell’ambulatorio, con la gravidanza si corre il rischio reale che tutti i clienti se ne vadano, perché esigono la piena reperibilità (con la ricetta elettronica poi è un delirio): a me è successo e per fortuna che mio marito è un collega e ha potuto sostituirmi in parte. Prima di diventare madre ero la giovane professionista che poteva garantire la continua disponibilità: tornata dalla gravidanza ho impiegato un anno a ricreare da zero un pacchetto clienti completamente diverso e più adatto anche alle mie esigenze» ribadisce Laura Russo, che aggiunge: «Per non parlare di tutte le colleghe che invece hanno un rapporto di collaborazione continuativo, magari da anni, con una struttura e, da un giorno all’altro, si vedono lasciate a casa (alcune senza nemmeno un confronto de visu, ma con un sms), perché “se non sei disponibile a fare le notti, non fai per noi. E questo anche se si tratta di colleghe esperte, in gamba e magari anche specializzate, perché la verità è che nel nostro lavoro importa poco quanto sei davvero brava, conta molto di più se ti fai pagare poco e soprattutto se dai disponibilità piena, assoluta e senza limiti di orario. Ovviamente il tutto con la tua partita IVA, sia mai un contratto di assunzione. Questo è uno dei motivi (molto più del numero chiuso nelle nostre facoltà che è ancora ben al di sopra delle reali necessità del Paese) per cui le strutture faticano a trovare collaboratori e per cui l’Italia registra un così importante calo della natalità. Lavoro e maternità sono diventati inconciliabili, perché la maternità è diventata una condizione molto più impegnativa di quanto non lo fosse per le nostre madri e nonne e il lavoro ha smesso di avere orari e calendari e per la veterinaria questo vale in particolar modo».

Le specializzazioni

Nelle evidenti difficoltà di molte ci sono anche storie che sembrano letteralmente fuori dal coro e quasi un po’ d’altri tempi, come quella della dott.ssa Concetta Avallone, professione buiatra che, da definizione del vocabolario sarebbe il veterinario che cura le malattie del bovino e comunque dei cosiddetti ‘animali da reddito’. Concetta Avallone si sente meglio definita come la ginecologa delle vacche (si, vuole chiamarle così): ci sono delle giornate in cui esegue anche 200 esplorazioni rettali (casi eccezionali, ma una giornata tipica ne prevede almeno 50) per verificare che le gravidanze procedano regolarmente.

«E’ giusto quando dici che lavoro con le vacche (si chiamano così!) ma in realtà lavoro per il 97% con bufale, e dici bene quando mi definisco una ginecologa e durante una mattina faccio mediamente una cinquantina di visite ma non solo diagnosi di gravidanza (l’unico macchinario che usiamo a supporto della nostra manualità è l’ecografo) ma anche visite post partum in cui settimanalmente visitiamo le puerpere (animali che hanno partorito da poco) e fecondazioni artificiali in cui provvediamo noi a mettere il seme ricco di spermatozoi nell’utero degli animali per farli ingravidare».

Oltre all’aspetto ginecologico nel mio gruppo io sono anche neonatologa/pediatra: mi occupo anche dei vitelli e della gestione delle vitellaie (asili nido) laddove ce n’è necessità. Un lavoro davvero impegnativo, che però Concetta sente di avere nel Dna. «Sono figlia di allevatori e quando ho iniziato, 11 anni fa, eravamo solo due anni a fare questo mestiere. Abbiamo fatto da apripista e per fortuna non ho mai percepito problemi di discriminazione, semmai un po’ di diffidenza maschile. Piuttosto, il vero problema che sento è fisico: il nostro è un ambiente che usura parecchio, sto già pensando a cosa fare nella seconda fare della mia vita professionale». La sua giornata è un peregrinare continuo per allevamenti di bovini e bufali, la chiamata notturna per un parto è frequente ma Concetta si sente sicura delle relazioni professionali con i suoi clienti e racconta di non aver mai subito nessun tipo di attenzioni particolari e imbarazzanti, e anzi, di essere riuscita a stringere rapporti di grande fiducia e stima con i suoi interlocutori. Che sono, in pratica, tutti uomini.

Il coraggio di denunciare

Poi ci sono le storie che sono cadute nel dramma. La dott.ssa Ilaria Cosco è una specialista ambulatoriale convenzionata di Crotone. Ha avuto il grande coraggio di denunciare le condizioni di lavoro nella macellazione, un ambiente che spesso resta avvolto nel silenzio. Non è raro, infatti, che i responsabili scelgano di tacere e far finta di niente, minimizzando ciò che accade e talvolta lasciando intendere, con ambiguità non troppo velata, che forse sia stata la donna a provocare certe situazioni.

«Sono stata assegnata alla macellazione praticamente senza affiancamento – ci racconta la dottoressa Cosco – e nel giro di poco tempo ho subito episodi di molestie sessuali. La prima volta ho taciuto, la seconda volta sono fuggita e ho denunciato. Le procedure sono profondamente sbagliate, veniamo lasciate sole – in certi contesti è indispensabile lavorare in coppia. Per non parlare del mio responsabile che all’epoca dei fatti, nonostante gli avessi segnalato questa situazione e le difficoltà a lavorare in certi contesti, ignorò la mia denuncia e continuò a mandarmi nello stesso distretto dove operava l’aggressore, titolare dell’impianto di macellazione che mi aveva molestato. Io ritengo che il nostro Ordine professionale debba essere investito di queste responsabilità. Il Presidente dell’Ordine di allora non volle nemmeno costituirsi parte civile e sostenermi, ritenendo troppo costoso affidare l’incarico a un legale. Di conseguenza, ho portato avanti la mia battaglia da sola, con il solo supporto del sindacato».

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  • Cristina |

    Sono una medica veterinaria 59 anni, figlio dodicenne, separata. Va tutto bene, però: non tollero più che quando
    Si affronta la difficoltà di conciliare maternità’ e lavoro si citino come elementi impedenti solo il tipo di lavoro o solo le condizioni di lavoro o solo le condizioni economiche delle donne madri coinvolte.
    I nostri figli hanno un padre che nella maggior parte dei casi magari è anche loro e nostro convivente o perlomeno è vivo e in buona salute e ha in occupazione.
    Chi è che legittima questi padri, che hanno un nome e addirittura lo stesso cognome dei nostri figli, a delegare a noi madri l’80% dell’accudimento della comune prole
    e così a pesare in modo enormemente asimmetrico sulle difficoltà di conciliazione vita lavoro?
    Il peccato originale è questo. Siamo NOI donne portatrici sane di una cultura maschilista e patriarcale a legittimare questa
    disparità che non permette di distribuire più equamente gli impegni gemitoriali . Noi NON lottiamo abbastanza o per nulla per affermare nei confronti dei padri dei nostri figli il diritto a conciliare genitorialita’ e lavoro.
    Il bisogno di strumenti normativi e sgravi fiscali e strumenti sociali per sostenere le lavoratrici madri e’innegabile e’urgente ma da solo non basterà a risolvere un problema culturale di maschilismo e patriarcato che e’ il “peccato
    originale “ alla base delle nostre difficoltà.
    Infatti ad oggi non esiste un gruppo di Super Babbi Vet.

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