Burnout, se lo stress nasce dalla mancanza di inclusione

Sentirsi inclusi significa cose diverse per persone diverse, ma c’è un punto comune a tutti: meno ci sentiamo inclusi sul lavoro e più crescono i livelli di stress. La conferma arriva da un’indagine di Boston Consulting Group intitolata “Four Keys to Boosting Inclusion and Beating Burnout” e condotta su 11.000 lavoratori in otto Paesi di diverse aree geografiche. La ricerca afferma che il 48% delle persone intervistate, quindi quasi 1 su 2, sta attualmente affrontando uno stato di burnout. E i gruppi più numerosi a trovarsi faccia a faccia con questo disagio sono le donne, la comunità LGBTQ+ e le persone con disabilità che lo sperimentano fino al 26% in più rispetto al resto della popolazione aziendale.

I gruppi emarginati devono affrontare più oneri rispetto alla maggioranza sul posto di lavoro, tra cui l’aumento della discriminazione, la stigmatizzazione, la scarsa rappresentanza e il pregiudizio. Tutti fattori che nutrono il senso di burnout. Una condizione sempre più diffusa anche in Italia: «Nei primi mesi del 2024, il numero di italiani che manifestano disagio sul lavoro è aumentato rispetto all’anno scorso, una situazione allarmante che non può essere ignorata dalle aziende e in cui lo sviluppo di ambienti inclusivi potrebbe giocare un ruolo importante. L’inclusione, infatti, è direttamente collegata al benessere dei dipendenti» – commenta Sara Taddeo, BCG Diversity, Equity & Inclusion Senior Manager.

L’importanza dell’inclusione

L’inclusione è fondamentale per costruire e mantenere un capitale umano attivo, coinvolto e soddisfatto del proprio lavoro.  Se le persone si sentono apprezzate, rispettate e supportate, miglioreranno le loro performance professionali e saranno meno propense a dimettersi, generando un beneficio per l’intera organizzazione. Per questo, BCG ha quantificato il sentimento di inclusione dei dipendenti nel proprio posto di lavoro utilizzando l’indice BLISS, uno strumento statistico che ne identifica i fattori a maggiore impatto.

Dai risultati emerge che burnout e inclusione sono strettamente legati in tutti i mercati analizzati: la probabilità di burnout aumenta con una bassa inclusione da 1,2 a 2,6 volte. Allo stesso tempo, quando l’inclusione aumenta, il burnout si dimezza, dimostrando che l’inclusione dovrebbe essere parte della soluzione.

Ad alimentare il sentimento di inclusione sono l’ambiente e le condizioni di lavoro che spesso sono strutturate in maniera identica per tutti i dipendenti. Ma questo approccio “universale” trascura le singole identità e non risulta efficace per rispondere a bisogni specifici. Le esigenze in termini di orari di lavoro di una persona che ha anche un ruolo da caregiver, ad esempio, potrebbero essere diverse rispetto a quelle di chi, oltre a lavorare, è impegnato in un percorso di studi. Per questo, è sempre più importante ragionare sui dati relativi ai dipendenti, reimmaginando gli ambienti di lavoro a seconda dei bisogni specifici.

Le aree chiave per l’inclusione

L’indagine ha identificato quali sono le aree che hanno maggiore impatto sul senso generale di inclusione: accesso alle risorse, supporto da parte della leadership, senso di sicurezza psicologica con il proprio manager diretto, opportunità eque di crescita. Vediamoli in dettaglio.

Per “accesso alle risorse” si fa riferimento all’opportunità di usufruire di orari flessibili, di percorsi di formazione e programmi di mentorship. Ma anche: all’assistenza all’infanzia e all’agevolazione della logistica che potrebbe avvenire, ad esempio, con l’organizzazione di programmi di mobile sharing.

Fondamentale è, inoltre, sentirsi sostenuti dai propri responsabili. Sviluppare legami profondi con i colleghi e la dirigenza nutre il senso di inclusione: essere sostenuti significa sentirsi apprezzati e rispettati come lavoratrici e lavoratori ma anche come individui. Significa, quindi, rimettere al centro le relazioni, uscire dai pilastri divisivi del “tu” e “io” e ragionare in termini di comunità, che è poi la dimensione primaria quando si parla di inclusione. Quando le persone condividono questi sentimenti, secondo BCG, saranno anche più produttive e fedeli all’azienda per cui lavorano.

Il terzo aspetto rilevante per l’inclusione è la sicurezza psicologica, ovvero creare ambienti in cui ognuno di senta libero di condividere i propri pensieri e le proprie idee, anche in disaccordo con il proprio manager. I team i cui i leader promuovono la sicurezza psicologica mostrano, infatti, una maggiore motivazione e un minor numero di abbandoni.

Infine, la meritocrazia: lavorare per un’azienda in cui tutti hanno la possibilità di avere successo in modo equo e paritario, indipendentemente dal loro background o dalla loro identità, favorisce la fiducia, incoraggia la collaborazione e fa sentire le persone apprezzate. In questo contesto, i dipendenti si sentono a proprio agio nell’essere autentici, senza temere che ciò possa diminuire il loro potenziale di carriera. Attenzione: questo non significa solo evitare discriminazioni, ma sostenere la diversità in tutte le sue forme e in ogni momento della vita comunitaria.

Praticare l’ascolto

Nonostante siano molto importanti, queste aree sono quelle nelle quali il campione intervistato da BCG ha denunciato livelli più bassi di soddisfazione. Ciò significa che non sono tenute sufficientemente in considerazione dai datori di lavoro e che un miglioramento in questi quattro ambiti potrà avere un notevole impatto sulla vita degli individui. Per riuscirci, è fondamentale praticare l’ascolto costante del capitale umano.

Conoscere a fondo i propri dipendenti, significa poter essere capaci di rispondere ai loro bisogni, contribuendo a creare un ambiente che li renda felici, motivati e fidelizzati. Questo non vuol dire necessariamente offrire più benefit, ma sforzarsi per capire come riprogettare le strategie di diversity, equity & inclusion per andare incontro a chi al momento si sente più marginalizzato.

In questo, è cruciale sensibilizzare il management, affinché valorizzi le voci e le prospettive dei gruppi sottorappresentati e costruisca relazioni autentiche tra i membri del proprio team. Ogni singolo manager deve essere consapevole dell’importanza del proprio ruolo: è la persona con cui i dipendenti si confrontano più di frequente ed è il canale con cui l’organizzazione dimostra il proprio impegno in materia. Infine, è bene ricordarsi che l’inclusione non si dimostra solo in fase di assunzione, ma va praticata quotidianamente, con molte e diverse risposte.

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