Eri la più brava a scuola e ti sei laureata con il massimo dei voti? Bene, sappi che il tuo compagno di classe che tentennava, è stato rimandato diverse volte a settembre e ha preso un voto finale alle superiori senza infamia né lode ha più probabilità di te di fare carriera. A scuola non avresti mai detto che proprio lui avrebbe gestito team più grandi di te, avrebbe fatto carriera e guadagnato di più, anzi. Eppure è quello che capita.
A mettere nero su bianco, con tanto di dati, ciò che molte sperimentano ogni giorno nella propria vita lavorativa, è stato un nuovo studio americano pubblicato su Social Forces, che ha analizzato il rapporto tra buoni voti alle superiori e future responsabilità di leadership sul posto di lavoro. A lungo termine questa relazione non è più paritaria tra uomini e donne.
Per la ricerca sono stati intervistati 5.000 lavoratori e lavoratrici negli Stati Uniti tra i 57 e i 64 anni e ha messo in evidenza che chi aveva una media più alta alle superiori, ha poi avuto più probabilità di avere ruoli di leadership al lavoro in maniera paritaria sia per gli uomini che per le donne.
Tutto a posto quindi? Non proprio. Purtroppo, infatti, accade che una volta diventati genitori, gli uomini che hanno preso voti bassi alle superiori hanno ruoli di leadership più complessi (ad esempio gestiscono team più ampi) rispetto alle donne con voti alti. Diventare genitori, quindi, è così penalizzante per donne che al lavoro sono “superate” anche dai loro compagni di scuola più scarsi.
La lista dei motivi per cui questo accada è nota, ma vale la pena ripercorrerla magari per cercare di capire come risolvere la stortura. I lavori di cura ricadono più sulle donne che sugli uomini, e quindi le prime si trovano a fare le stesse cose dei colleghi ma con uno zaino pesante sulle spalle. Le donne, poi, prendono più permessi per motivi familiari rispetto agli uomini e quindi possono avere una permanenza minore al lavoro e accumulare meno esperienza e soprattutto perdersi dei cicli di valutazioni, in cui le aziende decidono gli avanzamenti di carriera.
Non ha alcun senso, invece, una spiegazione del tipo “gli uomini sono naturalmente più portati alla leadership”, perché, come sottolinea lo studio, alle superiori maschi e femmine partecipano in modo uguale alla vita “politica” studentesca, ad esempio.
Gli autori della ricerca forniscono non solo dati e analisi ma anche alcune raccomandazioni politiche:
● I governi dovrebbero stabilire politiche lavoro-famiglia più solide che incoraggino l’occupazione delle madri e la cura dei padri;
● Le organizzazioni di lavoro dovrebbero implementare sistemi che riducano i pregiudizi nell’assunzione e nella promozione;
● I sistemi educativi dovrebbero stabilire un curriculum studiorum per ridurre gli stereotipi di genere e consentire a ragazze e ragazzi di immaginare le stesse opzioni di carriera.
Se la media dei voti delle scuole superiori è un indicatore di competenza ed etica del lavoro, questi passaggi possono aiutare a mantenere una cultura del merito dove le ragazze competenti possono giocarsi la partita alla pari su un percorso che consente alla società di sfruttare appieno i loro talenti.
In Italia?
In Italia, secondo il World Economic Forum, siamo in cima alla classifica degli altri Paesi mondiali per la parità di genere sull’educazione. Le ragazze italiane a scuola sono più brave dei ragazzi: si laureano di più, impiegano meno tempo a finire gli studi e hanno i voti più alti.
Il Rapporto 2019 sul Profilo dei laureati di Alma Laurea mostra che tra i laureati del 2018, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (58,7%), la quota delle donne che si laureano in corso è pari al 55,5% (è 50,9% per gli uomini) con un voto medio di laurea uguale a 103,7 su 110 (è 101,9 per gli uomini).
Se si guarda al mondo del lavoro, tra i laureati magistrali biennali, a 5 anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 6 punti percentuali in termini occupazionali: il tasso di occupazione è pari all’83,0% per le donne e all’89,0% per gli uomini.
A un lustro dal titolo i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato sono una prerogativa tutta maschile: riguardano il 63,0% degli uomini e il 52,6% delle donne. Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo. Tra i laureati magistrali biennali che hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale, a cinque anni, è pari al 16,9% a favore degli uomini: 1.688 euro netti mensili rispetto ai 1.444 euro delle donne.
La lettura dei dati conferma che le donne sono più penalizzate sul lavoro se hanno figli. Il forte divario in termini occupazionali, contrattuali e retributivi tra uomini e donne, infatti, aumenta in presenza di figli. Il differenziale occupazionale a cinque anni dalla laurea sale addirittura a 27,3 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione risulta pari all’89,7% per gli uomini, rispetto al 62,4% per le donne. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a 5 anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole è pari all’83,7%, con un differenziale di 21,3 punti percentuali rispetto alle donne con figli. Tra i laureati con figli il differenziale retributivo sale al 26,8%, sempre a favore degli uomini, che percepiscono 1.738 euro rispetto ai 1.371 delle donne.
Inutile dire che anche a livello di carriera la differenza pesa. E la strada da fare è ancora lunga.