Violenza sulle donne: nel lockdown boom (+73%) di chiamate al 1522

engin-akyurt-orrvlr61duy-unsplash

Conclusa la fase uno dell’emergenza coronavirus, è tempo di bilanci e riflessioni, in modo da ripartire nel modo migliore nelle fasi che seguiranno. E questo vale anche e soprattutto per situazioni delicate come quelle che riguardano le donne che subiscono violenza. A lanciare l’allarme sulla condizione di donne e bambini per i quali la casa non è un posto sicuro è stato, già nel pieno dell’emergenza, il Grevio (il gruppo di esperti sulla violenza di genere del Consiglio d’Europa), che ha esortato i Paesi firmatari della Convenzione di Istanbul a rispettare gli standard anche nei tempi della pandemia. Grevio ha richiamato tutti gli Stati a fare il massimo per assicurare la continuità delle prestazioni e a continuare a offrire sostegno e protezione alle donne e alle ragazze che sono a rischio di violenza, con il coinvolgimento di tutti gli attori rilevanti: forze dell’ordine, servizi sociali, settore della giustizia, servizi di supporto specialistici e tutti i ministeri competenti.

Il richiamo di Grevio vale ancor più ora che ci apprestiamo a vivere un nuovo periodo di cambiamento, con l’allentamento di alcune restrizioni. Anche perché la violenza, stando a quello che raccontano numeri, non si è fermata nel periodo del Covid. Come comunicato oggi dall’Istat, durante il lockdown sono state 5.031 le telefonate valide al 1522, il numero anti violenza, il 73% in più sullo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono state 2.013 (+59%). L’incremento, precisa tuttavia l’Istituto, non è attribuibile necessariamente a maggiore violenza ma alle campagne di sensibilizzazione che hanno fatto sentire le donne meno sole.

D.i.Re: ad aprile +17% le donne che vanno per la prima volta in un centro
Intanto, per avere un’idea di come la violenza sia cambiata, e probabilmente aumentata con la costrizione nelle mura domestiche, basta guardare ai recenti dati della rete D.i.Re-Donne in rete contro la violenza che raccoglie sotto lo stesso ombrello oltre 80 centri. Tra il 6 aprile e il 3 maggio, rispetto al precedente mese di lockdown, è salito del 17% il numero delle donne che per la prima volta si sono rivolte a un centro anti-violenza della rete D.i.Re per chiedere sostegno. Secondo la rilevazione dati curata da Paola Sdao e Sigrid Pisanu, del totale di 2.956 richieste di aiuto arrivate, 979 sono donne che si sono rivolte a un centro D.i.Re per la prima volta, pari al 33 per cento del totale. Nel precedente mese, dal 2 marzo al 5 aprile, le richieste erano state pari a 2.983 donne, di cui 836, pari al 28%, i contatti ‘nuovi’. Inoltre “confrontando il numero di richieste ricevute tra il 6 aprile e il 3 maggio, ancora in pieno lockdown, vale a dire 2.956, con il numero di richieste ricevute mediamente al mese nel 2018, ultimo anno per cui è disponibile la rilevazione dati, pari a 1.643, si nota un incremento complessivo di richieste del 79,9 per cento”, fa notare Paola Sdao.

Lanzoni (Pangea): “Mantenere case rifugio messe a disposizione in emergenza”
Ma vediamo uno per uno i nodi dolenti della lotta alla violenza. Innanzitutto, nota Simona Lanzoni, coordinatrice della rete Reama e vicepresidente di Pangea Onlus, “molte delle azioni e misure da adottare o già adottate durante la pandemia Covid-19 avrebbero dovuto esserci a prescindere dalla pandemia”. Un esempio è quello delle case rifugio che, nel periodo dell’emergenza, sono state aumentate per iniziativa della ministra Bonetti con la ministra dell’interno Lamorgese che si sono attivate per trovare nuovi spazi. Tuttavia “ad oggi – commenta Lanzoni – non sappiamo quante unità abitative in più sono state trovate in totale, ciononostante speriamo che quelle messe a disposizione per il Covid saranno poi mantenute, come raccomandato all’Italia anche dal Gruppo di esperti contro la violenza del Consiglio d’Europa-Grevio nel rapporto per l’Italia di gennaio prima del Covid”. Non solo: “il Grevio – prosegue Lanzoni – nel suo rapporto raccomanda anche che siano utilizzati maggiormente tutti i dispositivi e le misure di allontanamento e di messa in sicurezza per le potenziali vittime come ad esempio gli ordini di protezione, sia in ambito penale che civile. In questo periodo Covid come ha messo in risalto la procura di Trento, allontanare il potenziale violento è forse la migliore soluzione per gestire il rischio di violenza ripetuta! Sotto Covid questa opzione soprattutto in ambito penale è stata utilizzata in maniera disomogenea in diverse zone d’Italia ma nel civile è ancora molto difficile, speriamo che questo trend non si fermi anche dopo la ripartenza!”

Un capitolo molto importante riguarda poi le risorse finanziarie destinata alla lotta alla violenza, da sempre il nodo più dolente. Sotto Covid sono stati sbloccati i 20 milioni del 2019 per centri antiviolenza e le case rifugio. “Il problema che rimane prima e durante e dopo il Covid – commenta Lanzoni – è la tempestività ovvero sarebbe bello che questi soldi raggiungessero al più presto le oltre 600 realtà tra centri antiviolenza e le case rifugio di tutta Italia! Quindi la questione del monitoraggio puntuale rimane un nervo scoperto!” . L’appello al rispetto delle raccomandazioni di Grevio è condiviso da D.i.Re che chiede, tra l’altro, di rivedere “i criteri minimi per la qualificazione dei centri antiviolenza previsti dall’Intesa Stato-Regioni del 2014 al fine di renderli coerenti con le disposizioni della Convenzione di Istanbul, evitando così anche la polverizzazione delle risorse verso strutture che non assicurano un supporto alle donne completo, dall’accoglienza all’autonomia.

Veltri (D.i.Re): “Si aggrava la violenza nella costrizione della quarantena”
Inoltre i dati diffusi da D.i.Re sulle richieste delle donne nei centri dell’associazione “confermano da un lato l’aggravarsi della violenza nella costrizione della quarantena, con l’alta concentrazione di richieste in un solo mese rispetto a mesi senza lockdown, dall’altro l’importanza del rapporto di fiducia che si crea tra operatrici dei centri antiviolenza e donne accolte”, commenta Antonella Veltri, presidente dell’associazione. “È fondamentale – aggiunge – tenere presenti questi dati ora che la fase 2 comincia a dispiegarsi.E questo perché le donne avranno maggiore facilita’ a contattare il centro anti-violenza o recarvisi e il trend confermato delle richieste di aiuto ricevute a marzo e aprile, complessivamente triplicato rispetto al 2018, dà la misura del lavoro che ricadrà sui centri anti-violenza”. Infine, aggiunge la presidente di D.i.Re: “a fronte della crisi economica che si sta delineando, diventa ancora piu’ urgente concepire interventi di sistema che valorizzino l’accompagnamento all’autonomia e all’inserimento lavorativo che caratterizza il lavoro dei centri anti-violenza”. Sul punto Simona Lanzoni sottolinea che “le conseguenze economiche e sociali della crisi dovrebbero infine mettere al centro la questione dell’empowerment economico, che non sono soldi da restituire ma è un reddito di libertà per le donne che sono in uscita da percorsi di violenza”.

  Post Precedente
Post Successivo