Sembra esserci un mito da sfatare: l’AI non preoccupa, anzi, incuriosisce e motiva. Secondo il nuovo report PwC Global Workforce Hopes and Fears 2025, chi utilizza quotidianamente l’intelligenza artificiale al lavoro si dichiara non solo più produttivo, ma anche più fiducioso e ottimista sul futuro rispetto a chi non la utilizza. A dirlo è addirittura il 90% dei cosiddetti “power user”, ossia gli utilizzatori quotidiani, che rappresentano il 14% dei 50mila partecipanti allo studio, svolto in 42 Paesi.
Un dato che acquista ancora più significato se letto accanto a un altro: il 54% del campione ha utilizzato l’AI almeno una volta negli ultimi dodici mesi. Non più, dunque, un vezzo per pochi, ma uno strumento che sta diventando parte integrante del lavoro. A ciò, si aggiunge il fatto che il 70% del campione ritiene di poter avere un controllo significativo o moderato sull’impatto della tecnologia nei prossimi tre anni. Solo il 10% afferma di non avere alcun margine di influenza.
Ma cosa rende alcuni lavoratori più pronti ad accogliere l’AI rispetto ad altri? E soprattutto: quali condizioni permettono di tradurre questa curiosità in un’integrazione efficace nelle attività quotidiane?
Manager e visione: cosa fa davvero la differenza
È noto: la fiducia nel futuro passa (anche) per una visione chiara. Non è un caso se la ricerca di PwC rivela che chi percepisce un forte allineamento con gli obiettivi della leadership è il 78% più coinvolto rispetto a chi si sente distante dalle strategie aziendali.
Rafforzare la motivazione nei confronti dell’AI è dunque possibile definendo e condividendo una direzione chiara, capace di offrire una visione condivisa. Inserire la narrazione sull’intelligenza artificiale all’interno di una prospettiva di lungo termine non può essere trascurato. Tuttavia, avere un orientamento comune non basta: in un mondo in cui la tecnologia ridefinisce ruoli e competenze, è fondamentale anche crescere e aggiornarsi.
Competenze: crescere con l’AI
L’AI sta già imponendo una difficile sfida in tema di upskilling e reskilling. Ciononostante, l’analisi condotta evidenzia un trend positivo: il 75% degli utenti quotidiani sente di avere accesso alle risorse formative necessarie, specialmente se dirigenti. A rimanere più indietro sono coloro che non ricoprono ruoli di responsabilità: una persona su due dichiara di non possedere le risorse utili per interfacciarsi adeguatamente con la tecnologia.
Un gap che va colmato. Soprattutto perché, chi si sente supportato nei percorsi di aggiornamento professionale, risulta il 73% più motivato rispetto a chi dichiara di non ricevere alcun supporto. In un contesto che cambia rapidamente, costruire percorsi di upskilling e reskilling diventa pertanto una priorità strategica, che deve necessariamente accompagnarsi a una cultura organizzativa che sostenga realmente l’innovazione.
Sicurezza psicologica: la base per crescere e innovare
Ambienti di lavoro psicologicamente sicuri sono quelli in cui si può sperimentare, crescere e innovare. Ed è proprio qui che l’AI può prosperare. La stessa ricerca mostra che i dipendenti che sperimentano i più alti livelli di sicurezza psicologica sono il 72% più motivati.
Più l’intelligenza artificiale accelera e i modelli organizzativi cambiano, più i leader devono essere in grado di favorire un clima in cui le persone si sentono libere di parlare, esporsi, imparare dagli errori e sfidare lo status quo. Eppure, questa capacità è ancora poco frequente: solo il 56% dei lavoratori ritiene sicuro sperimentare nuovi approcci, mentre la stessa percentuale afferma che all’interno del proprio team gli errori non vengono considerati opportunità di apprendimento e crescita.
In sintesi, emerge con chiarezza quanto sia necessario lavorare su più fronti: da un lato, investire nella formazione manageriale per promuovere visione e sicurezza psicologica, dall’altro, garantire percorsi di aggiornamento a tutti i livelli. Senza però dimenticare l’importanza di una comunicazione trasparente sulla direzione che si intende intraprendere insieme all’AI. Ancora una volta, è evidente come tecnologia e fattori umani debbano sostenersi a vicenda. Solo così, sarà possibile rendere i luoghi di lavoro davvero a prova di futuro.
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