
Una ‘mappatura’ dell’Italia realizzata grazie alla combinazione di metodi di machine learning (Ml) con l’uso di dati territoriali per individuare le aree a maggior rischio ‘femminicidio’: è il contributo di uno studio dell’Uvi, l’Ufficio di valutazione impatto del Senato, alle politiche di prevenzione della violenza di genere utilizzando le tecniche di intelligenza artificiale.
Il punto di partenza dello studio è che, accanto a fattori di rischio idiosincratici, individuali e familiari, siano presenti determinati fattori socio-economici ancorati al territorio. Per dimostrare la validità di questo approccio, gli autori (Augusto Cerqua, Costanza Giannantoni, Marco Letta e Gabriele Pinto dell’Università romana de La Sapienza) hanno ricostruito 1.942 casi di femminicidio avvenuti tra il 2006 e il 2022. I dati sono stati poi incrociati con informazioni complete sulle caratteristiche demografiche, socio-economiche, politiche e geografiche dei 610 sistemi locali del lavoro italiani, Sll (si tratta di unità territoriali di due o più comuni limitrofi definita dall’Istat sulla base dei flussi giornalieri di pendolarismo da/verso il luogo di lavoro). Questo, tramite l’utilizzo di algoritmi di machine learning, ha permesso di elaborare una mappa predittiva del rischio di femminicidio a livello locale.
La mappatura ha portato ad evidenziare alcuni aspetti. E’ assente una netta dicotomia Nord-Sud risultando quindi una marcata eterogeneità del rischio sul territorio italiano. Inoltre, appare obsoleta la visione tradizionale della violenza di genere come più prevalente nelle comunità isolate e con minore partecipazione femminile al mercato del lavoro: il rischio di femminicidi è risultato più elevato nelle aree più popolate e in cui è verosimile che l’emancipazione delle donne sia maggiore (un dato che viene considerato in linea con la teoria del ‘rigetto dell’emancipazione’ che collega la maggiore autonomia femminile all’aumento della violenza di genere).
L’analisi ha poi riguardato la presenza di Centri anti-violenza (Cav) sul territorio ed è emerso che la loro distribuzione, che è quasi sempre avviata spontaneamente dal volontariato locale, rispecchia solo in parte la mappa del rischio di femminicidio: in 111 Sll mappati come ad alto rischio non è presente alcun centro. Questo mostra, come rileva il focus che accompagna lo studio, che c’è ampio spazio per migliorare le azioni di policy contro la violenza di genere. Ad esempio, i criteri per l’apertura o il rafforzamento dei Centri anti-violenza potrebbero tenere conto dei dati come la distribuzione territoriale e i fattori di rischio, portando alla promozione dell’apertura nelle zone individuate a maggior rischio.
In questo senso va anche l’approfondimento fatto nello studio sull’impatto dell’apertura di Cav sia sui femminicidi che sui cosiddetti reati-spia: dalle analisi non emerge un effetto differenziale tra le nuove aperture e i femminicidi, risulta un leggero aumento non rilevante a fini statistici del numero di segnalazioni per maltrattamenti ed episodi di stalking, mentre emerge una riduzione pronunciata delle segnalazioni di episodi di violenza. Gli effetti sul territorio, viene riportato, non sono uniformi ma, per esempio sulla violenza sessuale, sono più pronunciati nelle aree ad alto rischio. Naturalmente, si osserva, per prevenire la violenza di genere è necessario un approccio integrato che comprenda interventi e programmi basati sulla formazione, sull’educazione e sulla diffusione di una cultura di rispetto nei rapporti di coppia.
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