La libertà di vivere da sole senza chiedere scusa

Gabriella Grasso firma un libro che mancava: un’indagine giornalistica sul vivere da sole – «senza vincoli» – che sottrae le donne alla definizione per mancanza e le restituisce a un lessico di scelte, affetti e autonomia. Smettetela di dirci che non siamo felici (uscito il 26 settembre per Enrico Damiani Editore), smonta e rimonta in nuova forma. Distrugge “couplemania” e stigma, poi alterna dati, studi internazionali e testimonianze italiane dai 30 ai 69 anni, con un intermezzo narrativo di quattro storie a fare da cerniera emotiva.

L’autrice

Il tono è accessibile ma rigoroso, frutto di una lunga pratica nei periodici: giornalista, Grasso ha lavorato per venticinque anni nei principali giornali femminili, da Cosmopolitan a Elle. Oggi è freelance e scrive tra gli altri per Elle, Vogue, Donna Moderna, HTSI/Sole24Ore.  E l’asse del libro non può allora che essere femminile: l’autrice lo rivendica, spiegando che lo stigma colpisca le donne con maggiore ferocia.

L’opera si legge come un lungo servizio di magazine, con fonti, voci e contesto, più che come un trattato accademico. È, insomma, giornalismo culturale che prende posizione e lo dichiara subito.

Pregiudizi e aspettative

Dai pregiudizi quotidiani («domande moleste», «paura di perdere il treno») all’analisi delle aspettative irrealistiche sulla coppia, fino alla rivendicazione della singolitudine come spazio non infernale, ma anzi stanza tutta per sé, reti di prossimità, piani di vita. Una mappa limpida, con la svolta narrativa di Daniela, Feven, Marika e Clarissa: qui la tesi smette di essere concetto e diventa gesto, case, stipendi, voli presi all’ultimo, amicizie che reggono la quotidianità.

È proprio nei ritratti che l’argomentazione acquista calore e realismo. Daniela, in Sicilia, mette in scena la cura della solitudine e cita le etère come contro-modello di libertà nella classicità: un’immagine spiazzante, che però funziona come antidoto al vittimismo. Feven, quarant’anni, Milano Sud, fotografa il nodo economico e abitativo – «Vorrei poter rispondere come Cher, Io sono l’uomo ricco» – e lega autonomia a contratti e mutui.

Clarissa trasforma un viaggio lampo a Napoli per Marina Abramović in un manifesto di agency: «La vita nelle proprie mani». Sono momenti che bucano la pagina e chiariscono cosa significhi, in concreto, scegliere la propria forma di vita.

Poi arriva il costo della libertà, che inevitabilmente finisce per diventare questione politica (e di politiche): affitti, formati di spesa, accesso al credito, criteri dell’edilizia pubblica che premiano le famiglie con figli e scoraggiano di fatto l’autonomia dei single. I numeri – Moneyfarm, Altroconsumo, ABI – rendono visibile l’asimmetria (più spese pro capite, meno offerta sotto i 50 mq, mutui preferiti alle coppie) e una tesi finale: non “quote single”, ma neutralità delle regole rispetto alla composizione familiare. È un’agenda di buon senso, che il libro traduce in racconto, mai in slogan.

Singles studies

Sul piano culturale, Grasso allinea e aggiorna un canone. Quello di Bella DePaulo (Singled Out, Single at Heart), Eric Klinenberg (Going Solo), Elyakim Kislev (Happy Singlehood) e di una costellazione di memoir e saggi recenti. Mai per citazione ornamentale, bensì per mostrare che l’onda dei singles studies è globale e crescente, mentre l’Italia resta ancorata a un immaginario unico (coppia/figli) che non restituisce la varietà delle biografie reali.

Il libro, va detto, non edulcora: nomina la fatica (economica, organizzativa, relazionale), l’altalena tra solitudine e socialità, la ricerca spirituale come lavoro su di sé, ma rifiuta la cornice cupa dell’inadeguatezza. L’orizzonte è quello di città e servizi ripensati per biografie plurali, dove l’amicizia diventa infrastruttura affettiva e di cure e la coabitazione tra amiche (o intergenerazionale) non è ripiego ma scelta abitativa. È un invito a spostare lo sguardo pubblico: dalle “soluzioni private” di coppia a un welfare che non presupponga un modello unico.

Verdetto: Smettetela di dirci che non siamo felici è un libro necessario. Cambia lingua e prospettiva, passando dalla difesa all’azione: non “perché sono single”, ma “come voglio vivere, con chi, dove e a quali condizioni”. Per lettrici e lettori, uno specchio non consolatorio e vero. Per media e istituzioni, una bussola per aggiornare sguardo e politiche a una realtà ormai strutturale. E per il giornalismo culturale, la prova che un tema iper-discutibile può diventare racconto bello, solido e – finalmente – completo.

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