Birra: nella filiera produttiva il talento femminile resta invisibile

La valorizzazione del talento femminile è una sfida aperta anche nella filiera brassicola. Un comparto a cui le donne hanno dato per secoli un contributo determinante, salvo poi essere oscurate da una gestione prevalentemente maschile. Basti pensare che sulla presenza femminile nel settore, a oggi, in Italia non esiste un monitoraggio.

Le imprese brassicole censite nel nostro Paese sono 1.326 (dato 2022), ma non è chiaro quante siano guidate da donne, come titolari, socie o dirigenti. «È un segnale evidente della scarsa inclusività del comparto» – denuncia Giuliana Valcavi, cofondatrice dell’associazione Le Donne della Birra, realtà nata oltre dieci anni fa proprio per dare voce a tutte coloro che operano nel settore e che, come spesso accade, lo fanno silenziosamente e senza un’equa rappresentazione.

Donne come Giovanna Merloni, premiata come migliore beersommelier in Italia e fondatrice del birrificio Ibeer, o Luana Meola, che ha riportato alla vita la storica Fabbrica della Birra Perugia, fondata originariamente nel 1875. E ancora, come Lucia Del Vecchio, fondatrice del birrificio 5+, realtà trentina che ha aperto le porte ai ragazzi di Casa Sebastiano, cooperativa che si occupa di adolescenti e adulti affetti da autismo, dando loro la possibilità di apprendere l’arte birraia. O come Elisa Lavagnino, progettista europea presso l’Università degli Studi di Genova, che ha iniziato a coltivare luppolo e fondato il birrificio ligure Taverna del Vara.

Gli stereotipi ancora presenti

«C’è sempre stato un forte pregiudizio verso le donne, come se non fossimo abbastanza brave, abbastanza competenti o semplicemente abbastanza idonee a occuparci professionalmente di birra. Anche la comunicazione è sempre stata molto maschile, relegando la donna a ruoli marginali o stereotipati» sostiene Valcavi.

Una scarsa inclusione di cui è consapevole anche Serena Savoca, vicepresidente di AssoBirra con delega ai temi ESG, nonchè marketing & corporate affairs director di Carlsberg Italia, e prima donna ad aver ricevuto (dopo 120 anni) l’incarico ai vertici dell’associazione di settore: «Per tornare a valorizzare la presenza femminile nella filiera brassicola abbiamo lanciato un tavolo di lavoro interno che si occuperà di stilare le linee guida per il linguaggio inclusivo. Abbiamo creato il tavolo ispirandoci a quanto fatto da Brewers of Europe, associazione europea di riferimento che ha redatto il primo documento di settore dedicato allo sviluppo di una cultura dell’inclusività interna alle organizzazioni birraie» – spiega.

Anche a livello internazionale c’è molto da fare per raggiungere la parità nel comparto, ma almeno esistono dei monitoraggi: la British Beer and Pub Association, in particolare, ha rilevato che solo il 17% delle donne ricopre posizioni nei consigli di amministrazione delle società birraie e appena il 7% dei ceo nel settore è donna.

E questo, nonostante per secoli le donne abbiano dato un impulso determinante allo sviluppo del comparto. Cleopatra promosse la diffusione della birra nel bacino del Mediterraneo, in un’epoca in cui si consumava esclusivamente vino. Più avanti, nel XII secolo, la monaca tedesca Hildegard von Bingen sistematizzò l’uso del luppolo nella produzione. Mentre nel 1700, circa l’80% delle licenze per la produzione di birra nelle campagne e nei villaggi inglesi era intestato alle donne, in particolare alle “alewise” ovvero “birraie”. Con l’avvento dell’industria, invece, la produzione è passata quasi completamente in mano agli uomini, facendo scomparire l’immaginario femminile dal mondo brassicolo.

Dalle Stem all’age gap: i nodi da sciogliere

Secondo Savoca, il raggiungimento della parità di genere nel settore birraio – comparto che in Italia  produce oltre 17,2 milioni di ettolitri all’anno di birra, con 109 mila posti di lavoro creati – passa anche da una maggiore partecipazione delle donne alle discipline scientifiche e tecnologiche: «Come conferma l’osservatorio Women’s Empowerment di The European House Ambrosetti, nonostante un aumento generale degli studenti iscritti alle facoltà Stem, la percentuale di donne sul totale è rimasta praticamente invariata negli ultimi dieci anni. Serve un impegno strutturato per colmare questo divario e la presenza di donne in ruoli apicali può essere di forte ispirazione» – commenta.

Non solo: oltre al gender gap, il comparto brassicolo  dovrà lavorare sulla promozione dell’intergenerazionalità. «Le aziende birraie hanno una seniority alta: servono politiche capaci di valorizzare esperienze, competenze e punti di vista diversi. Così come altrettanto urgente è la sfida ambientale, per una transizione ecologica che segua ogni fase della filiera brassicola, dalla materia prima al packaging. In questo modo – conclude Savoca – anche la birra può diventare uno strumento per promuovere la cultura dell’inclusione e della sostenibilità».

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