
Il Senato ha appena approvato in prima lettura e all’unanimità il disegno di legge che istituisce, tra l’altro, il reato di femminicidio punito con l’ergastolo, e il voto unanime – accolto con un applauso dell’Aula – non era affatto scontato. Lo saluta con soddisfazione Fabrizia Giuliani, coordinatrice del comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale antiviolenza istituito al Dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio, che ha curato il Libro bianco per la formazione sulla violenza contro le donne presentato lo scorso novembre dalla ministra per la Natalità, la Famiglia e le Pari opportunità Eugenia Roccella.
«Unirsi – dice ad Alley Oop la filosofa del linguaggio, ex deputata Pd, da sempre in prima linea sui diritti delle donne – vuol dire riconoscere la priorità del contrasto alla violenza contro le donne. Metterla al primo posto invece di farne terreno di scontro e competizione. La politica, così, mostra di vederla e volerla combattere, ne riconosce la gravità invece di strumentalizzarla per trarne consenso. È un salto decisivo nella qualità del contrasto, ma soprattutto una prova di maturità delle forze politiche. Del resto, come ho ricordato in audizione, tutti i passaggi chiave relativi ai diritti delle donne, alla tutela della loro libertà sono stati fatti in maniera trasversale, superando l’appartenenza. Non si è raggiunta sempre l’unanimità, ma si è riconosciuta la posta in gioco e il Paese tutto ha fatto un passo avanti».
Quali sono i punti qualificanti del testo?
Il riconoscimento è un passaggio chiave nella lotta alla violenza. Come abbiamo scritto nel Libro bianco, è la condizione di possibilità del contrasto. Il primo ostacolo è rappresentato dalla negazione del fenomeno, antica ma insistente. Ancora circola l’idea che in fondo il femminicidio non esista che anche le donne uccidono gli uomini e la violenza domestica un’invenzione. Il diritto accompagna la storia, cambia con essa. Oggi il femminicidio – uomini che uccidono donne con le quali hanno una relazione perché non riconoscono la loro libertà – è uno dei crimini più ricorrenti. Si può ignorare questo fatto, lasciare che l’uxoricidio sia l’unico riferimento normativo – come se lo stato civile fosse il tratto rilevante – ma, come hanno spiegato i magistrati e gli operatori che nelle aule di tribunale si occupano quotidianamente di questi reati, farlo vuol dire lasciare tutto com’è, ignorare che le donne di ogni età, condizione, etnia, orientamento sessuale, muoiono in queste forme e con questi numeri. Lo ha già fatto l’America Latina, una regione dove il fenomeno ha dati comparabili al nostro ma dove i movimenti femministi hanno lottato e lottano duramente per il riconoscimento. Tornando alla norma approvata: il punto centrale riguarda l’introduzione del reato di femminicidio, per la sua valenza culturale, politica e giuridica. Ma sono rilevanti anche le misure di rafforzamento per la tutela della persona offesa, l’estensione dell’azione del braccialetto elettronico – un chilometro contro i 500 metri precedenti – come il no al limite dei 45 giorni per le intercettazioni, le tutele per gli orfani di femminicidio e, soprattutto, il rafforzamento all’obbligo della formazione per la magistratura.
Le critiche in questi mesi non sono mancate, anche da parte di alcune esperte di violenza contro le donne. Come le ha lette?
Le critiche sono fisiologiche, necessarie a un’elaborazione condivisa. Dunque, sono sempre un fatto positivo. Nel merito, credo che vada tenuta ferma la lezione della Convenzione di Istanbul che invita a non divaricare tra loro i piani del contrasto: prevenzione, repressione e protezione devono camminare insieme. Dovremo ricordarcelo, invece di opporre un piano all’altro, ricordare che la violenza contro le donne impone di rivedere, non di riproporre le categorie tradizionali della politica e del diritto. I femminicidi sono reati che maturano in modo specifico: nascono dentro le relazioni, sono annunciati e talvolta rivendicati, sono figli di una cultura che colpevolizza le vittime, una cultura del “se l’è cercata”, che giudica la denuncia il tradimento di un ordine. Del resto, ogni passo avanti, dal diritto di famiglia al divorzio, al’’interruzione volontaria di gravidanza alla violenza sessuale, ha suscitato forti critiche in ambito giuridico. C’è un’ampia letteratura a riguardo. È ovvio che una legge, nessuna legge, risolve. Ma non si sconfigge un crimine, nessun crimine, senza norme adeguate. Ed è singolare che il discorso delle pene vada sempre in evidenza quando si discute di violenza contro le donne. Non ho sentito uguale enfasi in altre occasioni.
Il Libro bianco per la formazione contro la violenza sulle donne assume ancora più rilievo. Il Ddl è una spinta ulteriore perché quelle raccomandazioni diventino realtà? E dove, secondo lei, c’è più lavoro da fare?
Mi auguro che la formazione, al centro del Libro bianco, guadagni sempre maggiore centralità. Bisogna agire qui, far sì che tutte le figure coinvolte a livello istituzionale nel contrasto siano adeguatamente formate, dagli ospedali alle forze dell’ordine, dalla magistratura agli operatori sociali. Che il sapere maturato dalle donne, che vive nel lavoro dei Centri antiviolenza, sia diffuso e concorra al riconoscimento. Quanti Pronto Soccorso, ad esempio, sono a norma secondo le linee guida del 2018 – ossia sono in grado di accogliere giorno e notte le donne che hanno subito violenza e vogliono uscirne? Bisogna agire, poi, nelle scuole: raccontare il cammino di libertà delle donne, spiegare di cosa è figlia questa violenza e perché si ripropone. Parlarne, ascoltare. Diffondere il 1522, intercettare i primi segnali di richiesta d’aiuto, introdurre figure che possano essere punti di riferimento. Insomma, far saltare il tabù. Le denunce che salgono, le chiamate al 1522 che aumentano indicano che il silenzio si è rotto, non che il fenomeno è in crescita. Mi auguro vi sia consapevolezza del fatto che l’emersione è un processo recente, appena cominciato. La politica, le istituzioni hanno il compito di accoglierlo in modo adeguato, con fondi e strategie dedicate. C’è molto lavoro da fare ancora, mi auguro che l’unità raggiunta oggi non vada perduta.
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