AI: la tecnologia come “grande equalizzatore”? L’analisi del Women’s Forum

Dagli chef stellati che cercano suggerimenti sugli ingredienti migliori per aggiustare l’acidità di un piatto, ai professori che chiedono supporto per la stesura delle lezioni. Quest’anno l’intelligenza artificiale sembra essere davvero esplosa in termini di uso da parte dei professionisti di qualsiasi ambito. Non più appannaggio solo di programmatori, data scientists o sviluppatori almeno dal 2023, può diventare “il grande equalizzatore” capace di colmare il pesante divario di genere nel mondo del lavoro?

Lo sviluppo attuale della tecnologia rappresenta un punto di svolta epocale, dalle ricadute importanti in termini di opportunità professionali. Ma anche, essendo elemento dirompente, potenziale fonte di rischi enormi, in particolare per certe professioni e categorie. Donne in testa. Ricorda il recente rapporto “The Future is Fem[al]le: Using AI to bridge the gender gap at work” dell’organizzazione internazionale Women’s Forum for Economy and Society, al mondo circa il 40% delle occupazioni sono esposte all’impatto dell’ai. Occupazioni che nella maggior parte dei casi sono al femminile.

Per quanto, certo, “esposizione” non corrisponde necessariamente a una scomparsa completa di mansioni, gli effetti dell’AI generativa mostrano già di incidere diversamente sui lavoratori in base al genere. A punto che in tutte le regioni del mondo le lavoratrici risultano più a rischio rispetto agli occupati uomini. In certi casi anche molto più esposte. Lo indicano, tra gli altri, i dati riportati dal rapporto del Women’s Forum: in America settentrionale per esempio se sono esposti agli effetti della tecnologia il 2,8% dei lavoratori, lo sono il 7,4% delle lavoratrici. In Europa occidentale queste quote salgono rispettivamente al 2,9% e al 8,4%. E in estremo oriente si attestano all’1,4% per gli uomini e al 4,1% per le donne.

Davanti al quadro attuale, però, secondo gli autori del report un simile sviluppo «non è inevitabile; piuttosto una scelta sociale. Vogliamo che l’AI sia solo specchio delle disuguaglianze attuali del mercato del lavoro, o che diventi l’acceleratore dell’ambiente (professionale) che ci piacerebbe costruire?»

Immagine da: The Future is Fem[AI]le: Using AI to Bridge the Gender Gap at Work

Chi usa l’AI?

Nella sempre più stretta relazione lavoro-intelligenza artificiale, sono noti la delicatezza della “questione femminile” e la profondità dei rischi del lasciare la situazione attuale inalterata. Ricordiamo tra le criticità, l’autoalimentarsi degli stereotipi di genere insiti nella struttura della tecnologia – “alimentata”, com’è stata sin dai suoi albori, da dati che continuano a perpetuare le differenze. O pensiamo alla sproporzione esistente tra percentuali di utilizzatori e utilizzatrici dello strumento (con ragioni di base che abbiamo esplorato qui).

In termini numerici, per esempio, secondo Gallup negli Stati Uniti rispetto al 2024 la percentuale generale di quanti affermano di aver usato l’intelligenza artificiale nello svolgere il proprio ruolo è raddoppiata nella prima parte di quest’anno. È crescita dal 21% al 40% tra quelli che affermano un uso sporadico annuale, dall’11% al 19% tra chi ne fa uso almeno alcune volte a settimana. E dal 4% all’8% tra gli user quotidiani. Spostandoci a guardare attraverso una lente di genere, le professioniste sono il 20% meno propense ad adottare la tecnologia rispetto ai colleghi secondo svariate analisi.

Altre differenze importanti tra uomini e donne emergono poi portando l’attenzione, nello specifico, alle professioni direttamente legate all’intelligenza artificiale. Ricorda il report del Women’s Forum, le studiose di ia sono un quarto del totale. Le professioniste coprono meno del 25% dei ruoli tecnici in questi settori. E nelle imprese, le leader occupano solo il 33% dei ruoli incaricati di prendere decisioni relative allo sviluppo della tecnologia.

Insomma, la disparità è diffusa e ha costi economici oltre che sociali, in una spirale che si approfondisce. Meno impegnate nel loro utilizzo, meno propense a sfruttarne le opportunità, le donne partecipano meno all’evoluzione degli strumenti e, conseguentemente, tendono a venirne penalizzate invece che emancipate. Se non lavorano in ambiti ia, poi, risultano ancora meno propense a usare gli strumenti generativi nello svolgere le loro mansioni. Ma anche già nel cercare lavoro, prepararsi per un colloquio o perfezionare il proprio cv*.

Visto che tendenzialmente accolgono la tecnologia più lentamente, non sorprende che sviluppino meno le loro competenze digitali, skills ormai considerate indispensabili per il futuro del lavoro. E per assicurarsi un’occupazione.

Nel trovare un impiego oggi, infatti, avere conoscenze sufficienti della tecnologia risulterebbe più importante rispetto all’avere esperienza in un determinato campo. Lo confermano le tendenze raccolte dal Trend Index di Microsoft e Linkedin: secondo i dati, nel 2024 il 71% dei manager affermava che avrebbe preferito assumere un profilo meno esperto ma con più conoscenza dell’intelligenza artificiale, rispetto a un’altro dalla carriera più lunga ma con meno abilità in questo campo. Il 66% confermava addirittura che non avrebbe assunto candidati senza queste competenze.

I rischi di stereotipi che si autoalimentano

Imparare a navigare gli strumenti più innovativi non è più, allora, un’opzione, un nice-to-have. È un imperativo. Per le donne in particolare. Grazie proprio all’AI potrebbero fare salti verso posizioni e responsabilità a loro precluse in precedenza. E, tra l’altro, in modalità e tempistiche inimmaginabili fino a qualche anno fa. Per estensione, dato che amplia le opportunità, la tecnologia potrebbe contribuire a colmare una parte del profondo gap di genere della partecipazione al mondo del lavoro. Le donne occupate, a livello globale, infatti restano meno del 49%. Contro il quasi 73% degli uomini con un lavoro**.

Certo, non nascondono gli autori de “The future is Fem[Al]le”, nonostante le opportunità che offre, «l’AI da sola non può superare barriere strutturali radicate. Sebbene alcuni strumenti sembrino promettenti, come i suggerimenti sui percorsi di carriera o la formazione degli assistenti, i report disponibili sottolineano che il loro potenziale inclusivo dipende fortemente dai dati utilizzati e la  progettazione dei modelli». La tecnologia, insomma, invece di contribuire a livellare la situazione, potrebbe rischiare di beneficiare solo alcuni segmenti della società, portando, di fatto, ad approfondire le differenze.

Inoltre, continua il rapporto del Women’s Forum: «Se le donne rimangono sotto-rappresentate, le economie rischiano di trovarsi di fronte a un “freno economico” e a disuguaglianze causate dall’AI, perdendo innovazione e nuove prospettive che team diversificati apportano» ai progetti. «La maggior parte dei modelli di ia è ancora addestrata su set di dati a prevalenza maschile, con conseguenti punti ciechi rispetto ai ruoli economici delle donne. Quando l’ia non riesce a riconoscere le imprese a guida femminile, il lavoro informale o l’assistenza non retribuita, distorce le decisioni politiche e di investimento, rafforzando la falsa idea che le donne siano economicamente meno rilevanti».

Cosa funziona contro tendenze che sembrano autoalimentarsi? Tra le tantissime azioni possibili, suggerisce il Women’s Forum, un sforzo efficace sarebbe quello di portare più donne nelle stem. Un impegno di medio lungo periodo che deve partire dagli anni degli studi. Attualmente, infatti, seppure è diffusa la consapevolezza del ruolo di questi ambiti nell’evoluzione delle opportunità proprio per le donne, la presenza femminile si va assottigliando lungo il percorso dalla formazione al lavoro. Tra i Paesi del G20, per esempio, nel passaggio tra scuole superiori e università la percentuale delle studentesse cala del 18%. Se, poi, in questi settori le laureate sono il 35%, scende però al 22% la quota di quante risultano occupate in professioni stem – dati UNESCO per il 2023***.

La formazione alle digital skills, però, non dovrebbero orientare solo alle professioni specificamente scientifiche e tecnologiche. Perché visto che l’AI sta espandendo le occasioni di impiego e carriera, creando nuovi posti di lavoro proprio in questi settori – pensiamo alla “costruzione”, mantenimento e gestione delle infrastrutture -, le potenzialità della tecnologia si espande a interessare davvero tutti gli ambiti professionali. Dalla salute alla sicurezza, all’agricoltura e all’energia.

Se, insomma, la  tecnologia cancella certe mansioni, allo stesso tempo “aumenta” le opportunità, crea nuovi spazi e potenzia lavori già esistenti.

* Secondo il Job Insight survey di The Harris Pool, nel 2024 negli Stati Uniti il 40% delle intervistate ha affermato di non aver usato mai strumenti di ia generativa per cercare lavoro. Mentre lo ha indicato solo il 27% degli uomini.

** Dati riportati nel documento dell’Organizzazione internazionale del lavoro: “Women in business and management: building on the legacy of the Beijing declaration”, pubblicato a marzo 2025.

*** Dal rapporto UNESCO “Changing the equation: securing STEM futures for women”, 2024.

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