L’ambivalenza, in psicopatologia, descrive il comportamento di chi prova sentimenti o impulsi opposti verso una stessa persona o oggetto; è una condizione destabilizzante, che genera ansia e una sensazione d’incertezza dovuta alla fatica e all’incapacità di prendere una decisione ben precisa, di fare una scelta. Sigmund Freud riteneva che l’ambivalenza fosse intrinseca alla psiche umana, un’esperienza comune che spesso riflette la complessità delle nostre emozioni e pensieri. L’ambivalenza si manifesta in molte situazioni della vita di tutti i giorni; molti di noi si trovano a sperimentarla magari senza saperla definirla: ci si sente spaccati a metà, tirati da forze contrapposte; dilaniati tra due opposti comportamenti.
Zygmunt Bauman, in Amore liquido, esplora la manifestazione dell’ambivalenza nelle relazioni moderne affermando: «Nel nostro mondo di individualismo rampante, le relazioni presentano i loro pro e contro. Vacillano costantemente tra un dolce sogno e un orribile incubo, e nessuno può mai dire quando l’uno si trasforma nell’altro. Quasi sempre le due manifestazioni coabitano, sebbene a diversi livelli di coscienza. In uno scenario di vita liquido-moderno, le relazioni sono forse le più diffuse, acute, sentite e sgradevoli incarnazioni dell’ambivalenza.»
L’ambivalenza nelle relazioni di abuso
Ma è nell’ambito delle relazioni abusive che, questo stato psicologico, già complesso di per sé, assume un ruolo ancora più rilevante e delicato. Amore e odio, speranza e paura si intrecciano in un legame patologico complesso e difficile da spezzare; un legame in cui l’ambivalenza si può trasformare in un meccanismo destabilizzante e disfunzionale meritevole di una particolare attenzione.
Nelle relazioni maltrattanti, che per la maggior parte dei casi vedono come vittime le donne, l’ambivalenza da mero concetto teorico, diventa una realtà sconvolgente, visibile e tangibile non solo per le donne vittime, ma anche per tutti coloro che sono testimoni del maltrattamento. Comprendere questa dinamica è, quindi, il primo passo per offrire a queste donne un adeguato supporto.
Il caso di Elena
Pensiamo a Elena (il nome è di fantasia), una donna intrappolata in una relazione caratterizzata dalla violenza domestica. Elena che si aggrappa con tutte le sue forze ai ricordi di momenti felici: le serate in cui lui le portava i fiori, le parole tenere e i gesti gentili che sembravano cancellare ogni dolore e ogni risentimento. Immaginiamo Elena che si aggrappa alle promesse di cambiamento che alimentano le sue speranze e le danno la forza di resistere nonostante le sue profonde ferite, quelle del corpo e dell’anima, quelle visibili e quelle invisibili. Immaginiamo, ancora, Elena che si ripete spesso «Lui non è sempre così» o «mi ha promesso che si farà aiutare». Cerca di convincersene… ma intanto il tempo passa: le promesse vengono infrante, le aspettative disattese, le violenze continuano… Elena resta prigioniera in una gabbia invisibile fatta di speranze, di giustificazioni, di negazioni.
Il ciclo della violenza e la storia di Marta
In una simile situazione l’ambivalenza, si insinua serpeggiando fino a divenire una presenza costante, ma inesorabile che permea ogni pensiero e contamina ogni emozione e decisione della donna maltrattata. L’ambivalenza, in lei, non nasce da una debolezza caratteriale o da una scelta razionale, è piuttosto, il risultato di un processo psicologico complesso che prende piede all’interno di un ciclo in cui il partner alterna violenza a gesti apparentemente amorevoli. Questa alternanza, questa confusione emotiva rende difficile distinguere l’amore dalla dipendenza. In molte storie di abuso, il violento non è soltanto un “mostro”, ma anche un “amante” tenero che, spesso mostra affetto e pentimento dopo l’episodio di violenza (la famosa fase della Luna di Miele).
È il caso di Marta (e di tante donne come lei), che dopo ogni episodio di violenza si sente dire frasi come «ti chiedo scusa….non succederà più… mi farò aiutare…. dammi un’altra possibilità» e Marta quella possibilità la concede, ancora e ancora perché vuole credere in lui, e nel suo cambiamento perché l’alternativa sarebbe il sentirsi inghiottire dall’angoscia e dall’assenza di speranza. Tutto questo crea un legame emotivo molto forte, che diventa difficile da spezzare. Un legame, però, che è profondamente traumatizzante (trauma bonding) e che lega la vittima al suo carnefice attraverso catene invisibili fatte di speranza, paura, confusione e quindi, ambivalenza.
Il ruolo del senso di colpa e l’illusione del controllo
L’amore e la paura si mescolano in un turbinio di emozioni contrapposte. La donna maltrattata si ritrova ad affrontare un’incredibile contraddizione: il suo partner è sia fonte di dolore che di amore, è il carnefice che tanto teme ed odia, ma al contempo è anche la persona che un tempo amava o che, forse, ama ancora.
L’ambivalenza è spesso alimentata anche dal senso di colpa che spesso accompagna la vittima; le donne maltrattate, in particolare, tendono a colpevolizzarsi per quanto accade. Spesso pensano: «Se solo riuscissi ad essere una moglie migliore, lui non mi picchierebbe» o ancora “è colpa mia se lui si arrabbia” Questo senso di responsabilità, in realtà, non è la conseguenza di una colpa reale, ma di un meccanismo difensivo per cercare di dare un senso alla violenza imprevedibile ed improvvisa e contrastare un profondo senso di impotenza.
Altri fattori che alimentano l’ambivalenza nella donna maltrattata sono la paura di ritorsioni, di essere giudicata, di rimanere sola, e ancora la paura del cambiamento e l’illusione di avere il controllo. Quest’ultimo fenomeno è legato alla convinzione disfunzionale che, se si cambia qualcosa nel proprio comportamento o nelle dinamiche quotidiane, la violenza cesserebbe. Queste convinzioni, tuttavia, sono illusorie.
Alcuni psicologi evoluzionisti suggeriscono che l’ambivalenza abbia un ruolo adattivo, permettendo agli esseri umani di valutare simultaneamente i pro e i contro di una situazione e migliorando, così, le possibilità di sopravvivenza. È ciò che accade quando le donne maltrattate cercano di modificare il proprio comportamento per evitare conflitti, assumendo un ruolo di sottomissione.
“È possibile che molte volte nelle situazioni affettive non ci si renda conto che i rapporti siano improntati a una ostilità profonda. Questo può stupire la maggioranza, ma non l’esperto che ben conosce le ambivalenze del cuore umano” (Aldo Carotenuto)
Le difficoltà di chi è vicino alla vittima: il contagio dell’ambivalenza
Ed ecco quindi che la complessa e dolorosa ambivalenza della donna maltrattata spesso “contagia” coloro che la circondano o che la vogliono aiutare: perplessi per i movimenti caotici e confusi della donna nei suoi tentativi di sopravvivere e di uscire dalla relazione violenta, possono strutturare nei suoi confronti emozioni contrastanti: rabbia, compassione, un mix di empatia, frustrazione e impotenza
Questi sentimenti ambivalenti sono dovuti ad una molteplicità di fattori tra cui la complessità della situazione insita nel maltrattamento, la lentezza del percorso di uscita dalla relazione frutto anche dell’ambivalenza della donna verso il partner che la viene espressa attraverso una serie di comportamenti che riflettono il conflitto interno tra il desiderio di lasciare la relazione e la difficoltà di farlo. Ad esempio non è insolito assistere a ritorni frequenti dal partner violento perché nonostante episodi di violenza, la donna può talvolta ritornare nella relazione, ritornare dal partner sperando in un cambiamento in virtù di quell’amore da lei tanto desiderato o della paura che la situazione possa peggiorare. L’ambivalenza della donna è anche espressa nella sua difficoltà di prendere decisioni come la scelta o meno di denunciare, di accettare l’inserimento in un centro d’accoglienza, di chiedere la separazione o nell’alternante ed intermittente richiesta di supporto, infatti la donna spesso chiedere aiuto a familiari o amici, ma poi può ritirarsi per paura di ritorsioni o per vergogna, o ancora chiedere aiuto a centri antiviolenza o servizi sociali per poi abbandonare il percorso e progetto di uscita dalla relazione maltrattante.
Di tale possibilità di “essere contagiati dall’ambivalenza”, così come dal trauma, gli operatori devono esserne consapevoli per evitare che diventi un ostacolo al supporto della donna. Comprensione del complesso fenomeno dell’ambivalenza e sospensione del giudizio, diventano quindi necessari per offrire alla donna il giusto supporto per poter essa stessa lavorare sulla sua ambivalenza verso il loro partner, elaborarla e quindi trovare le forze per uscire dalla relazione maltrattante.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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