Diversità, aziende più inclusive ma c’è un gap generazionale

7 persone su 10 che scelgono con convinzione brand che parlano di inclusione, e altrettante che non consiglierebbero quelli percepiti come non inclusivi. Si chiama DEIA, acronimo di Diversity, Equity, Inclusion & Accessibility, ed è la linea che i consumatori scelgono di seguire nei confronti di un marchio e dei suoi prodotti.

Il mercato riflette il contesto sociale e politico attuale: da una parte si osserva un incremento dei ricavi del +24% a favore di brand virtuosi e impegnati con continuità sulla DEIA nel B2C, e +20,1% per le aziende che hanno iniziato più di recente o che hanno meno continuità.

E poi c’è il percepito comune, che vede molti marchi italiani impegnati sul tema (+65% rispetto al 2023) ma anche una piccola diminuzione del coinvolgimento dei consumatori verso la DEIA, a causa probabilmente del fatto che se ne parla molto ma in concreto si fa ancora poco (e quel poco lo si fa male).

Diversity Brand Index 2025

Questi appena citati sono solo alcuni dei principali risultati emersi dal Diversity Brand Index 2025, ricerca italiana ideata e curata dalla Fondazione Diversity e Focus Mgmt volta a misurare la capacità dei marchi di sviluppare con efficacia una sensibilità verso la DEIA. I risultati partono da una survey web del 2024 alla quale ha risposto un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana: più di un migliaio di persone che hanno indicato un numero di brand inclusivi superiore rispetto all’anno precedente (488 contro i 295, pari al+65%, di cui 260 quelli emersi spontaneamente). Il numero maggiore rilevato nel corso degli 8 anni della ricerca, a conferma della rilevanza numerica delle iniziative DEIA nel mercato e della sensibilità di consumatrici e consumatori.

Complessivamente, i dati emersi confermano come l’approccio inclusivo sui temi di genere, etnia, LGBT+, età, status socio-economico, disabilità, religione e credo e aspetto fisico (le 8 aree della diversity interessate dalla ricerca) impattino positivamente sulle aziende sia in termini di reputazione e di fiducia da parte del mercato che in termini economici, grazie al legame tra inclusione, NPS (Net Promoter Score, l’indicatore che misura il potenziale del brand in termini di passaparola) e la crescita dei ricavi.
«Se in America colossi come Meta, Harley-Davidson, McDonald’s, Ford e Walmart hanno deciso di abbandonare le iniziative per la diversità e l’inclusione, in Europa il contesto è profondamente diverso – ha detto Francesca Vecchioni, presidente di Fondazione Diversity – grazie anche a un quadro normativo che incentiva e tutela la DEIA come un asset fondamentale per la crescita economica, il benessere sociale e l’innovazione, come testimonia la promozione di policy come l’European Accessibility Act. D’altronde – conclude – sono le nostre radici culturali: a differenza degli States, l’Unione europea si fonda proprio sul valore della diversità, tant’è che il suo motto recita ‘Unita nella diversità’.»

Cambia il profilo di consumatrici e consumatori

La ricerca mostra anche una leggera flessione delle persone indifferenti verso la DEIA (al 12,7%, -0,1%), tipicamente individualiste che mostrano disinteresse verso le tematiche della diversità e si dichiarano poco vicine/i ai temi della sostenibilità sociale e ambientale. Il cluster più numeroso resta sempre quello delle/degli impegnatə, con il 26,7% (-1,7%) insieme a quello delle/dei coinvoltə, che scendono al 13,9% (-1,3%).
Pressoché stabili i tribali all’11,1% (-0,1%), persone caratterizzate da un atteggiamento collettivista e da un’attenzione ai temi della DEIA, soprattutto LGBT+, solo se coinvolgono il proprio nucleo familiare, e poco vicine ai temi della sostenibilità etica e ambientale.
Sale invece il gruppo delle persone consapevoli, al 10,4% (+1,6 p.p.), persone con un alto contatto con la DEIA, ma che non si sentono direttamente coinvoltə,superando le/gli inconsapevoli, in discesa al 7,3% (-2,4 p.p.), ovvero coloro che non hanno ancora nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con la diversità, ma di base propensi verso la collettività.

Il gap generazionale

Il Diversity Brand Index 2025 fa luce in maniera ancora più sensibile anche sulla decrescita di tutti i livelli di coinvolgimento, soprattutto verso la diversità di genere, etnica, quella relativa alla disabilità e all’aspetto fisico. Dati che indicano un rischio generale di “disillusione” verso le tematiche DEIA e importanti differenze generazionali: la Gen Z è molto sensibile alla DEIA e penalizzante verso i brand non inclusivi; meno severi, ma simili alla Gen Z, i Millennials, mentre Gen X e Boomer hanno minore familiarità e contatto con queste tematiche perché si sentono meno coinvoltə.

Inoltre, analizzando la profilazione dei due gruppi più estremi, il cluster delle persone impegnate è equamente distribuito tra donne e uomini, con una leggera prevalenza di questi ultimi (51,7%), in una fascia d’età compresa tra i 35 e i 54 anni (53,6%), ma con una percentuale significativa tra i 18 e i 24 (11,8%); le generazioni più rappresentate, infatti, sono i Millennials e la Gen X, con una quota importante di Gen Z. Circa tre quarti di essi percepisce un reddito lordo inferiore ai 50mila euro. In termini di area geografica, poi, vi è una netta predominanza dell’area del Sud Italia e delle Isole (quasi la metà del cluster, pari al 45,5%), con il 36,9% di loro che ha conseguito una laurea sia di primo che di secondo livello.

Per quanto riguarda il cluster degli “ostili”, questo è composto prevalentemente da uomini (61%), per la maggior parte del Nord (51,8%) e di età compresa tra i 18 e i 34 anni (39,7%), appartenenti quindi alla Gen Z e ai Millennials, e non manca una percentuale abbastanza rilevante (28,4%) di persone tra i 45 e i 54 anni (Gen X). Come conseguenza della loro giovane età, la maggior parte di essi percepisce un reddito inferiore ai 30mila euro (50,4%). Tuttavia, circa un quarto dei soggetti nel cluster (24,8%) percepisce un reddito lordo tra i 30mila e i 50mila euro, con il 44% di loro che ha conseguito una laurea sia di primo che di secondo livello.

«In questo contesto socipolitico così polarizzato – ha aggiunto Francesca Vecchioni – oggi più che mai le iniziative Diversity devono essere al centro delle mission e dei propositi aziendali e costantemente aggiornati: solo con una visione a lungo termine è possibile generare iniziative davvero efficaci ed evitare di creare l’effetto saturazione o di rigetto verso la cosiddetta cultura woke e il politically correct. Come emerge dai dati della ricerca di quest’anno, infatti, solo i brand capaci di creare un rapporto di fiducia coi propri clienti e costruire una reputazione solida e autorevole su questo fronte sanno fare davvero la differenza sul mercato, ancora di più in questo contesto, sia in termini di innovazione (disability drives innovation) che di competitività (diversity improves performance) guadagnandone anche in termini di ricavi».

Le aziende premiate

Nuvenia vincitore “overall”, Sephora Italia vincitore “digital”, a Ikea Italia il Premio Accessibilità – Design 4 All: i tre brand si sono aggiudicati i Diversity Brand Awards 2025 nel corso dell’ottava edizione del Diversity Brand Summit – Iniziative che cambiano il mondo, per le loro iniziative capaci di lavorare concretamente sulla DEIA – Diversity, Equity, Inclusion & Accessibility e avere un impatto reale sulla percezione di consumatrici e consumatori.

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