Dipendenza da smartphone: la Gen Z verso un cambio di passo?

Nove giovani su dieci tra i 16 e i 35 anni possiedono uno smartphone e il 64% lo utilizza in modo frequente o continuo, trascorrendo da 4 a oltre 6 ore al giorno connessi. Che il rapporto con il device non sia sano risulta evidente dai dati, ma la notizia positiva è che fra gli under 35 l’81% ha la consapevolezza della propria dipendenza da smartphone. Non mancano le differenze di genere: le donne, in generale, risultano più dipendenti degli uomini (69% contro 64%) e prediligono social media e app di messaggistica, gli uomini, invece, sono più attratti da notizie, app di intrattenimento, giochi, scommesse online, pornografia e Intelligenza Artificiale.

È quanto emerge da ricerca Changes Unipol, in collaborazione con Kkienn Connecting People and Companies, condotta su un campione di 1.518 persone: circa 900 giovani tra i 16 e i 35 anni e circa 600 adulti tra i 36 e i 74 anni. La ricerca evidenzia che i cellulari sono una concausa di una serie di comportamenti problematici: il 40% degli intervistati preferisce interazioni online a quelle faccia-a-faccia; il 30% riscontra una diminuzione delle prestazioni a scuola, a lavoro o nelle relazioni; il 57% usa lo smartphone fino a tarda notte, con conseguente perdita di sonno.

Dipendenza consapevole

L’utilizzo assiduo dello smartphone si traduce per il 90% dei giovani (16-35 anni) in una serie di abitudini controproducenti: perdita del sonno (il 57% usa lo smartphone fino a tarda notte); ansia da interazione (il 50% teme di non essere raggiungibile o perde tempo controllando notifiche); riduzione della socialità (il 40% preferisce interazioni online a quelle faccia-a-faccia); diminuzione delle prestazioni (il 30% riscontra problemi a scuola, a lavoro o nelle relazioni).

Possiamo parlare dunque di vera e propria dipendenza, definendola come una condizione in cui una persona sviluppa un legame talmente forte con un comportamento (in questo caso) da non riuscire a farne a meno, nonostante le conseguenze negative che ciò comporta. È qualcosa che si insinua nella vita quotidiana fino a diventare un bisogno impellente, che spesso si sostituisce a priorità importanti come la salute, le relazioni o il benessere generale.

Ogni dipendenza è come a una trappola: all’inizio può sembrare innocua, quasi piacevole, perché spesso nasce da una ricerca di conforto, sollievo o piacere. Il problema principale è che, man mano che ci si abitua a fare affidamento su quel comportamento, si perde la capacità di osservare come e quanto incida sulla nostra capacità di essere presenti e consapevoli.

Gli effetti dell’abuso da smartphone

E infatti la ricerca evidenzia che tra le conseguenze della dipendenza da smartphone vi sono riduzione della concentrazione (colpisce il 60% dei giovani contro il 37% degli adulti); ansia e depressione (51% contro 32%); isolamento sociale (50% contro 35%). I giovani adulti (28-35 anni) sono i più vulnerabili, anche a causa delle pressioni lavorative, sociali ed economiche.

Significative le testimonianze condivise dai focus group qualitativi, ovvero le parole dirette delle persone intervistate:
«Stai facendo una cosa e nello stesso momento inizi a farne un’altra… poi non ti ricordi cosa stavi
facendo…»
«Spesso esci con gli amici e ti accorgi a un certo punto che stiamo tutti guardando lo smartphone.»
«Spesso ti passa la voglia di uscire perché sei su Instagram.»
«I rischi io penso alla salute, per esempio all’insonnia. L’uso prolungato dello smartphone a me fa spesso questo effetto nel senso che quando lo uso più spesso, per vari motivi, tendo a non esagerare, ma mi bruciano gli occhi, mal di testa, insonnia, emicrania.»

Il 53% dei giovani (tra i 16 e i 35 anni) riconosce la necessità di difendersi dallo smartphone, ma solo una minoranza riesce a ridurne l’utilizzo. Il 57% degli italiani è contrario a restrizioni sull’uso dello smartphone, tranne che alla guida (73%) o in classe (64%).

Lo smartphone come amplificatore di problemi

Lo studio Changes Unipol rileva, inoltre, che lo smartphone amplifica disagi derivanti da fattori economici e sociali, come insicurezza lavorativa, aspettative di performance, difficoltà di bilanciamento tra vita e lavoro e declino delle relazioni sociali. Se da un lato offre visibilità e opportunità, dall’altro può accentuare insicurezza e bassa autostima.

Si ripete sempre che la vita mostrata sui social non è la vita vera, ma ne è una versione edulcorata e brillante, priva di tutti i disagi, i momenti no, le difficoltà quotidiane, che le persone non mostrano online. Eppure lo spettro del confronto con le vite meravigliose altrui sembra non scomparire mai.

Un trend di cambiamento sembrerebbe arrivare dalla Gen Z, come raccontato oltreoceano dalla ricerca svolta dallo psicologo sociale Jonathan Haidt (“La generazione ansiosa: Come i social hanno rovinato i nostri figli” Rizzoli), che studia l’effetto degli smartphone e dei social sulla salute mentale, e raccontata sul New York Times: il 45% della Gen Z – che ha oggi tra i dodici e i venticinque anni – sarebbe contraria a regalare un cellulare ai figli prima della scuola superiore. Si evidenzia inoltre un rimpianto generale relativo agli algoritmi di raccomandazione personalizzati pensati per agganciare gli utenti: pochissimi rimpiangerebbero l’assenza di YouTube (15%), Netflix (17%) e Internet (17%), delle applicazioni di messaggistica (19%) e degli smartphone in generale (21%), preferendo che i social non fossero mai esistiti. Le percentuali sono molto significative: il 34% della Gen Z non vorrebbe Instagram, il 37% Facebook, il 43% Snapchat e il 47% TikTok. Insoddisfazione generale per X (il vecchio Twitter), respinto dal 50% dei più giovani.

Possiamo considerare questi numeri un segnale positivo? Certo sono il segnale di qualcosa. Scrive Haidt: «Un modo per quantificare il valore di un prodotto è scoprire quante delle persone che lo usano vorrebbero che non fosse mai stato inventato. Sentimenti di rammarico o risentimento sono comuni verso prodotti che creano dipendenza (le sigarette, ad esempio) e attività che creano dipendenza come il gioco d’azzardo. Per i prodotti che non creano dipendenza (ad esempio spazzole per capelli, biciclette, walkie-talkie o ketchup) è raro trovare persone che usano il prodotto ogni giorno e vorrebbero che venisse bandito dal mondo».

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com