La poesia come cura per l’anima: questa suona come una sdolcinatezza retorica, ma a prenderla sul serio si finisce per assumere versi in precise prescrizioni curative. «La prima Poetry Pharmacy al mondo offre prescrizioni senza appuntamento, per affrontare ogni tuo disturbo emotivo. Visita il nostro splendido negozio vittoriano, per curiosare nella libreria o fermati al Dispensary Café». Così si presenta la Poetry Pharmacy, l’idea di una poeta e libraia del Regno Unito, che è passata dall’offrire un servizio di “poesia di emergenza” con tanto di ambulanza vagante, all’apertura di uno spazio dedicato a «usare la poesia come mezzo di cura e di empatia».
L’intuizione della potenzialità poetica come strumento di cura della comunità e dell’individuo non è una novità assoluta: qui in Italia abbiamo ad esempio Claudia Fabris, che dal 2011 con la sua nomade “Cameriera di poesia” offre un servizio di “piccola ristorazione dello spirito”, ovvero una performance artistica in cui la poesia diventa strumento di dialogo e meraviglia aperto a tutti e tutte. Chi ha avuto la fortuna di imbattersi in questo “servizio” si è fatto testimone di un muoversi dell’anima verso una gioia piccola e sottile, qualcosa che è difficile raccontare, e forse bisogna chiamare all’appello la scienza per gli increduli.
La scienza, infatti, studia da diverso tempo le connessioni neurali e i circuiti cerebrali coinvolti nella lettura della poesia. Per citare solo uno studio svolto nel Regno Unito e pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers of Psychology: «Credo che i nostri risultati sostengano un’origine profondamente intuitiva della poesia», ha affermato il professore di psicologia Guillaume Thierry. «La poesia è come un’intuizione profonda, ogni essere umano è un poeta inconscio». Magari non un poeta che scrive, ma senz’altro capace di leggere. È un po’ come per la musica: non è necessario essere diplomati al Conservatorio per emozionarsi con una composizione musicale, poichè essa segue delle forme e delle strutture che, è il caso di dirlo, fanno risuonare corde profonde dentro di noi. Certo, poi si può emozionarsi con un pezzo trap (vi ho visti storcere la bocca) o con il concerto n. 3 di Rachmaninov. O con entrambi. Chi siamo noi per giudicare?
Lasciarsi suonare dalla musica o lasciarsi intuire dalla poesia: lasciarsi curare quell’anima sballottata dalla superficialità e dall’effimero di questi tempi algoritmici, in cui la nostra attenzione si frammenta e si separa senza offrirci la consolazione di un compimento. Fermarsi, non per un giorno, ma anche per pochi minuti, a esercitare l’intuizione, uno dei nostri superpoteri sottovalutati. Ecco cos’è, in fondo, la lettura della poesia. A sostenere questa tesi, due libri apparentemente lontanissimi, non solo per forma e temi, ma anche, banalmente, per geografia.
“Nel concerto del tempo” di Marco Pelliccioli
Il primo è “Nel concerto del tempo”, di Marco Pelliccioli (Lo Specchio-Mondadori), tra i vincitori del XXV Premio nazionale Guido Gozzano e segnalato in diversi concorsi nazionali. Pelliccioli ha una scrittura mite, intima e riflessiva, eppure i suoi versi esplorano temi universali come il tempo, la memoria, le emozioni.
Un viaggio, un sogno, o forse una visione.
Rastrellavo i granelli di un muro ormai in frantumi. Bussole e clessidre erano guaste. Così le cantine, i sottotetti, le oasi urbane, le foglie.
Restavo io, controfigura assente, a proferire gli accadimenti…
Così comincia il viaggio: dallo spazio intimo dell’abitare al luogo urbano della collettività, per deflagrare nell’intimo dell’animo, unica cosa veramente autentica che ci rimane quando comincia la sincerità dell’introspezione. E, subito dopo, il secondo componimento racconta con una spiazzante chirurgia la memoria di un ricordo, un attimo ben preciso che appartiene al poeta, sì, ma è anche memoria collettiva: la caduta del muro di Berlino.
È una sera di novembre,
come tante, mia madre
pulisce la cucina, l’Angiolina
rammenda un’altra toppa,
mio padre afferra stanco
il telecomando e urla:
“Zitti!”
Sembra lieto. Al prurito sul polpaccio
fanno strada gli occhi grandi, la bocca
spalancata, il lavandino
chiuso e l’ago,
senza ditale o filo:
“Il muro è caduto!”
Tra quei cocci, ora, che il notiziario
ha portato in casa, ci muoviamo
incerti, noi, senza più
confini, siamo
un’unica materia.
Chi c’era, sa. Chi lo ha vissuto durante l’infanzia, probabilmente ricorda. Quello spaesamento, quel non capire, quella certezza di una frattura, di un prima e un dopo, il vento del cambiamento. Versi così sono capaci sì di svegliare l’intuizione, e far conflagrare i ricordi personali nel tempo collettivo, sollevare l’animo dalla solitudine e celebrare in una sorta di rito pacificatore l’appartenenza che dimentichiamo. La scrittura di Pelliccioli riesce nel miracolo di muovere un senso di armonia e continuità attraverso un linguaggio limpido, fresco, con una delicata attenzione alla musicalità e al ritmo del verso, capace di sobria semplicità o di prose densissime di immagini. Arrivano netti i versi di Pelliccioli, come lame di luce, e ci si passi la metafora anche se le lame sono oggetti che feriscono, mentre questi versi, piuttosto, leniscono.
“L’anniversario dell’insalata” di Tawara Machi
E proprio per questa precisione di linguaggio e intenti, con un triplo salto carpiato, ho scelto di affiancare a questa splendida raccolta quella di un’autrice giapponese: Tawara Machi. “L’anniversario dell’insalata” è una raccolta del 1987 pubblicata per la prima volta in Italia da Interno Poesia lo scorso agosto, con la traduzione e la cura di Damiana De Gennaro. Quando pensiamo alla poesia giapponese, ci viene in mente subito l’haiku, il componimento di tre soli versi che segue una metrica tanto precisa quanto musicale. Machi è stata però maestra soprattutto per un altro tipo di componimento, detto tanka: cinque versi, con un numero fisso di sillabe nella sequenza: 5-7-5-7-7. Proprio la capacità di Machi di unire la tradizione del tanka a temi e luoghi della vita contemporanea ha dato luogo a quello che si può ritenere un successo straordinario per un’opera di poesia, con oltre due milioni di copie vendute.
Sfogliare questo libro è come muoversi tra piccole fotografie che raccontano una storia, così intima, precisa ed emotivamente dettagliata da diventare la storia di chi legge. Spiagge e tramonti, ma anche spazzolini da denti, un biglietto del treno o, in effetti, un’insalata, che si fa simulacro di un investimento affettivo: Tawara Machi esplora l’amore, le emozioni quotidiane e l’esperienza di una giovane donna nel Giappone contemporaneo, conservando la potenza tradizionale del tanka ma innestandovi la vitalità di un linguaggio colloquiale, sottilmente evocativo.
sotto il cielo
di Kujūkuri, inondato
d’arancione,
mi appoggio alla tua
spalla monocroma
un altro sabato
ad attenderti –
le donne
vivono mangiando
il tempo dell’attesa
le rose
fioriscono fingendo
di non sapere
che saranno mie
per quattro soldi
Il conflitto che vaga tra i versi e le sillabe nascondendosi nei sottotesti, è quello dell’esperienza femminile nel Giappone sgargiante e smargiasso degli anni Ottanta: le luci della skyline di Tokyo, l’indice di borsa giapponese in costante crescita, la gioventù che prende sempre più spazio per superare definitivamente l’esperienza bellica dei padri. È in questo contesto che si assiste al procedere dell’emancipazione femminile, e le donne entrano nel mondo del lavoro, guadagnando spazio, economico e relazionale. Eppure, come non manca di notare De Gennaro, la società tende ancora a idealizzare l’immagine di una donna astratta, contraddizione che è «resa visibile anche ne “L’anniversario dell’insalata”, in cui l’io-femminile è mostrato a più riprese nell’azione di prendere appunti per soddisfare i gusti del ragazzo che frequenta (e delle aspettative di genere che gravano su di lei), anche se ciò non le impedirà di lasciarlo come alzandosi e uscendo / da una catena di fast-food». E anche in questo caso, chi ci è passata sa. Chi ha intrapreso un percorso di consapevolezza ed emancipazione, troverà in questi versi, rimestando nel personale, un’esperienza universale. Che sì, in qualche modo, delicato e sottile, lenisce e cura.
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Autore: Marco Pelliccioli
Titolo: “Nel concerto del tempo”
Editore: Lo Specchio – Mondadori
Prezzo: 16 euro
Autrice: Tawara Machi
Titolo: “L’anniversario dell’insalata”
Traduttrice: Damiana De Gennaro
Editore: Interno Poesia
Prezzo: 15 euro
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